La perizia, da cosa è costituita?

perizia

La perizia, di cui abbiamo già parlato QUI è il mezzo di prova migliore di cui il giudice o l’avvocato si può avvalere per accertare la presenza o meno di un disturbo di personalità in un dato soggetto. Al contempo essa serve non solo per determinare la presenza del disturbo ma anche per stabilire se e quali ripercussioni tale patologia provochi nell’ambito del diritto matrimoniale canonico e più specificatamente del consenso matrimoniale.

Il lavoro del perito

Il perito persegue lo scopo di “inquadrare la peculiarità del caso in esame in un preciso rapporto giuridico e di fornire a chi deve giudicare tutti gli elementi utili alle esigenze di tale rapporto” [1]. A tal fine il perito per realizzare la perizia, quale indagine tecnica ordinata allo scopo del processo, dovrà provvedere alla raccolta degli antecedenti familiari e personali del periziando, definita, in termini tecnici, anamnesi.

Ciò che è necessario tenere a mente è che nella pratica forense canonica molto spesso le condizioni in cui il soggetto versa al momento dell’esame da parte del perito non sono rilevanti quanto le condizioni in cui versava al momento delle nozze, ovvero dello scambio del consenso. L’indagine peritale deve avere come oggetto d’analisi lo stato (patologico o meno) del soggetto all’epoca del consenso nuziale. Infine si noti che il perito è tenuto a partire dai fatti accertati, dai documenti clinici e dalle testimonianze attendibili, e a procedere secondo metodo induttivo [2].

L’esame psichico

L’anamnesi deve tuttavia essere integrata anche con le notizie che il perito desume dagli atti, dato che i ricordi e le verità del periziando sono soggetti ad un’interpretazione soggettiva e dunque passibili di errore. Il principale mezzo di cui l’esperto dispone per effettuare la sua indagine è il colloquio clinico con il periziando, durante il quale inizialmente il soggetto esaminato deve essere lasciato libero di esprimersi sugli argomenti che più lo aggradano per poi approfondire determinati aspetti tramite domande specifiche poste dal perito, il quale indirizza la conversazione. All’esame psichico sovra citato è necessario si affianchi anche un esame somatico generale ed un esame neurologico.

La diagnosi finale

La diagnosi finale deve dimostrarsi il risultato di un processo critico che mira a fare luce sulla particolare condizione psichica che affliggeva il nubente al momento dello scambio del consenso. Grazie all’opera del perito, che permette di determinare se il soggetto fosse affetto da qualche disturbo, da quale disturbo nello specifico, in quale momento fosse affetto dal disturbo, e in che gravità lo affliggeva, al giudice sarà possibile stabilire, in base a tutte queste informazioni presupposte, se la condizione psichica sia stata di tale gravità, da poter dar luogo ad uno delle ipotesi di incapacità previste dal Codice di diritto canonico, ovvero sarà possibile stabilire se via sia un nesso di causa tra la condizione in oggetto e l’effetto giuridico, ovvero l’invalidità del consenso matrimoniale.

Conclusioni aprioristiche errate

Non bisogna mai giungere alla conclusione affrettata che la presenza di un disturbo psichico determini automaticamente ed aprioristicamente un insufficiente libertà interiore e dunque un soggetto incapace di esprimere un valido consenso matrimoniale.

“L’incapacitas assumendi può manifestarsi solo in certe circostanze, dipendere da determinate condizioni, rispondere alla presenza di alcuni stimoli e non di altri. Talvolta siamo in presenza di difficoltà più o meno grandi, di ostacoli più o meno imbarazzanti, e non di una vera impossibilità di compiere l’atto del consenso o realizzare il matrimonio. Donde la necessità di indagare, nel caso concreto, le attitudini e gli atteggiamenti, le motivazioni e le dinamiche dei comportamenti” [3].

Per produrre l’invalidità del consenso matrimoniale non è dunque sufficiente la mera sussistenza di un disturbo di personalità, bensì è richiesta anche la gravità dell’effetto della forma morbosa, affinché il disturbo produca una qualche rilevanza a livello giuridico.

La gravità del disturbo – elemento determinante

La gravità del disturbo diventa dunque un tassello determinante e viene suddivisa in vari gradi, ovvero: la gravità clinica, che comporta la valutazione della dimensione psicopatologica del soggetto in riferimento ai parametri psichiatrici, la gravità funzionale generale, con la quale il perito valuta l’incidenza dell’anomalia sul funzionamento globale dell’individuo, la gravità funzionale specifica, che va ad analizzare il grado di incidenza dell’anomalia sulle funzioni coinvolte specificamente nell’atto del consenso matrimoniale, ed infine la gravità giuridica, con la quale si effettua una valutazione della gravità funzionale specifica, ovvero non si esamina più la causa psichica, né la sua incidenza sulle facoltà psichiche, bensì si osserva l’effetto invalidante che essa provoca. Ciò che diviene fondamentale per determinare se vi sia o meno un effetto invalidante sono la collocazione temporale del disturbo e l’intensità delle manifestazioni dell’anomalia [4].

La gravità sulla quale il perito è chiamato a pronunciarsi è la gravità funzionale specifica, nella quale egli valuta l’incidenza del quadro psicopatologico sulle aree del funzionamento della personalità riguardanti il consenso matrimoniale, ed è proprio in questo frangente che in un momento successivo subentrerà la competenza del giudice.

Note

[1] V. M. PALMIERI, Medicina legale canonistica, p. 366.

[2] Cfr. G. ZUANAZZI, Psicologia e Psichiatria nelle cause matrimoniali canoniche, Seconda edizione riveduta ed ampliata, Libreria editrice vaticana, 2012, pp. 469-478.

[3] Cfr. Ibidem, cit., p. 479.

[4] Cfr. M. PROFITA, T. CANTELMI, Nuove prospettive canonistiche in tema di tratti di personalità alla luce del DSM-5, Libreria Editrice Vaticana, 2022, pp. 47-50.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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Chiara Gaspari

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