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Introduzione
L’allocuzione stabilità del parroco fa riferimento al periodo di permanenza del parroco nella propria comunità parrocchiale. La sua fonte normativa è il canone 522 il quale recita: “È necessario che il parroco goda di stabilità, perciò venga nominato a tempo indeterminato; il Vescovo diocesano può nominarlo a tempo determinato solamente se ciò fu ammesso per decreto dalla Conferenza Episcopale”.
Nel Codice pio-benedettino, il parroco era di fatto detentore dell’ufficio parrocchiale per tutta la vita [1]. Egli è chiamato alla cura pastorale e al bene spirituale dei fedeli a lui affidati. Il fine è offrire ai fedeli un servizio pastorale efficace. Successivamente con l’avvento del concetto della sacramentalità dell’episcopato, il pensare il presbiterio come parte di un collegio riunito intorno al Vescovo Diocesano, fece sì che l’ufficio pastorale venisse inteso come attuazione del ministero, quale forma di apostolato attivo e globale della vita della Chiesa e del sacerdote stesso.
Il concetto di stabilità dell’ufficio pastorale, previsto già dal Codice pio-benedettino [2], subiva un contemperamento nelle norme relative alla rimozione del parroco [3]. Alcuni aspetti di questo processo di revisione trovarono eco anche nel decreto Maxima Cura [4], che pur trattando della formazione sacerdotale, anticipava una visione più dinamica del ministero presbiterale, il quale poi confluì nella revisione del Concilio Vaticano I [5]. A ciò si aggiunga che il parroco in ogni caso, è invitato a presentare in maniera libera e spontanea la propria rinuncia alla parrocchia al compimento del 75° anno di età [6]. Con il Concilio, la stabilità restava compatibile con rigide norme sulla rimozione e sul trasferimento; successivamente, tuttavia, fu reinterpretata secondo criteri più elastici.
La stabilità pastorale alla luce del Concilio Vaticano II
Se prima del Concilio Vaticano II, il parroco “sposava” la parrocchia, successivamente ad esso, il ministero del parroco veniva sempre più delineato fuori dal vecchio concetto di officium da intendersi come una specie di centro di imputazione di diritti/doveri, favorendo maggiormente il concetto di cura pastorale. Sul punto molto ha scritto F. Coccopalmerio [7] alla fine del 1900.
La stabilità pastorale alla luce dell’Evangelii Gaudium
Con questa esortazione apostolica (Evangelii Gaudium) [8], il concetto dell’ufficio del parroco acquisisce un significato e un respiro pienamente missionario: “Nella sua missione di favorire una comunione dinamica, aperta e missionaria, (il Vescovo) dovrà stimolare e ricercare la maturazione degli organismi di partecipazione proposti dal Codice di Diritto Canonico e di altre forme di dialogo pastorale con il desiderio di ascoltare tutti e non solo alcuni, sempre pronti a fargli i complimenti. Ma l’obiettivo di questi processi partecipativi non sarà principalmente l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti” [9].
Inoltre, evitare il cambiamento per basarsi solo sulla tradizione, sarebbe deleterio: “L’abitudine ci seduce e ci dice che non ha senso cercare di cambiare le cose, che non possiamo far nulla di fronte a questa situazione, che è sempre stato così e che tuttavia siamo andati avanti. Per l’abitudine noi non affrontiamo più il male e permettiamo che le cose vadano come vanno, o come alcuni hanno deciso che debbano andare. Ma, dunque, lasciamo che il Signore venga a risvegliarci! A dare uno scossone al nostro torpore, a liberarci dall’inerzia! Sfidiamo l’abitudinarietà, apriamo bene gli occhi e gli orecchi, e soprattutto il cuore, per lasciarci smuovere da ciò che succede intorno a noi e dal grido della Parola viva ed efficace del Risorto” [10].
Papa Francesco interviene dunque su quanto elaborato dalla dottrina, attuando concretamente quanto più volte detto ai vescovi italiani: “La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo” [11].
In tale ottica, già in precedenza, la Conferenza Episcopale Italiana [12] disponeva che il periodo di permanenza del parroco nella parrocchia fosse di 9 anni, periodo rinnovabile (diversamente da quanto previsto in Francia e in Canada previsto in 6 anni, sempre prorogabili) armonizzando le precedenti disposizioni con una visione più aperta e lungimirante nell’ottica di tenere conto delle necessità della singola parrocchia e del sacerdote incaricato alla cura della stessa.
Conclusioni
Una riflessione sull’evoluzione storica del concetto di stabilità pastorale non può prescindere dall’evoluzione stessa della relazione esistente tra parroco e popolo di Dio che senza ombra di dubbio oggi non è più incentrata su una cultura o su una società ‘cristiana’ come avveniva in passato, bensì in un’ottica missionaria, in cui sono i laici stessi, quindi i parrocchiani, ad assumere un ruolo centrale sia sul territorio che in relazione diretta con il popolo di Dio, considerata anche la forte riduzione di partecipazione alla vita parrocchiale, ma più in generale alla vita di fede cristiana. A riguardo, eliminare la permanenza stabile del parroco di certo non elide un fattore molto importante legato allo status del parroco, che rimane il punto di riferimento per la vita di fede e la cura delle anime [13]. Questo comporta altresì il superamento del vincolo di partecipazione del fedele alla parrocchia del proprio centro abitato in una prospettiva di crescente sinodalità.
Note
[1] can. 522 CIC/1983.
[2] Conosciuto anche come Codice Piano Benedettino venne promulgato nel 1917 da Papa Benedetto XV.
[3] cann. 1740-1747 CIC/1983.
[4] Maxima Cura, Decreto della Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi, 22 febbraio 1966, in Enchiridion Vaticanum, vol. II, n. 166. Il decreto, pur trattando della formazione sacerdotale, anticipa elementi della riforma conciliare che influenzeranno anche la concezione dell’ufficio pastorale.
[5] L. DAL LAGO , l’inamovibilità dei parroci dal Concilio Vaticano I al codice di diritto Canonico del 1983, Padova 1991 pp. 182.
[6] can. 538 §3 CIC/1983.
[7] Cfr. F. COCCOPALMERIO, De parrochiæ personalitate iuridica a Codice 1917 usque ad Codicem 1983, in Periodica, LXXIV (1985), pp. 325-388; F. COCCOPALMERIO, De Vicariis parœcialibus, in Periodica, LXXVIII (1989), pp. 319-344; F. COCCOPALMERIO, De Parochis, in Periodica, LXXVIII (1989), pp. 54-112; F. COCCOPALMERIO, De parrochiæ, Roma, 19.
[8] Prima esortazione apostolica di Papa Francesco del 24 novembre 2013, 223; AAS 105 (2013); San Paolo, Milano 2013.
[9] EG, nn. 31; 60-61.
[10] EG, n. 137.
[11] Papa Francesco, Discorso al V Convegno Ecclesiale Nazionale, Firenze, 10 novembre 2015, disponibile su: www.vatican.va.
[12] can. 213 CIC/1983.
[13] can. 515 CIC/1983.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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