Raffaello Sanzio, Giustizia, affresco del 1508. Decorazione della volta della Stanza della Segnatura – Musei Vaticani
La prova indiretta
Nel diritto processuale matrimoniale canonico, è ben nota agli studiosi la distinzione tra prova diretta e indiretta. L’indagine istruttoria, infatti, affinché possa concludersi con certezza morale, richiede sia un’analisi delle dichiarazioni rese dalle parti [1] e dai testimoni in merito ai fatti principali oggetto di causa sia un approccio di tipo logico deduttivo. Il ragionamento per deduzione – cuore della prova indiretta – procede dall’esame di un fatto secondario per ricollegarsi ad uno principale, che coincide appunto con la valutazione di fondatezza del motivo di nullità concordato nella formula del dubbio. La tipologia di prova in esame, a seconda del capo cui ci si riferisce, potrà assumere diversa connotazione e richiedere modalità d’accertamento specifiche.
La prova indiretta nel caso di consenso matrimoniale simulato
Ad esempio, in ipotesi di presunto consenso simulato per esclusione della proprietà essenziale dell’indissolubilità (can. 1101 § 2), la prova indiretta deriva dall’esame: a) della causa simulandi proxima, ossia dei dubbi e delle perplessità – consistenti nei litigi, negli atteggiamenti di distacco affettivo, negli accordi contrari alla perpetuità del contraendo vincolo et similia – manifestati da uno o da entrambi i coniugi, poco prima delle nozze; b) della causa contrahendi, per cui il giudice indagherà se, sulla reale intenzione di contrarre matrimonio, sia prevalsa quella di escluderne una proprietà o un elemento essenziale.
Pertanto, potrebbe darsi il caso in cui due coniugi abbiano celebrato matrimonio per eventi indipendenti dal proprio reale intimo volere; c) della causa simulandi remota, consistente nell’influsso che abbiano avuto sui nubendi l’educazione e la formazione ricevute. Spesso infatti, per una mentalità divorzista (molto frequente nella odierna società, non a caso definita liquida dal sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman) si ritiene che il vincolo sia precario e suscettibile di risoluzione, con la diretta conseguenza che una o entrambe le parti non si aprano fiduciose ad una progettualità di vita duratura e stabile.
In ultimo, sono oggetto d’esame le circostanze antecedenti, concomitanti e susseguenti il matrimonio, ossia tutti quegli adminicula che, per coincidenza con i fatti per cui è processo, possono avvalorare o meno la tesi sostenuta. Dunque, se la parte attrice dichiara di aver escluso la indissolubilità del vincolo e, tra le circostanze, vi è anche la sua iniziativa di porre in essere la separazione di fatto, sicuramente, il quadro istruttorio sarà più completo e congruente con quanto sostenuto. Diversamente, ben si comprenderà quanto il convincimento del giudicante si formi più difficilmente.
Prova indiretta nel caso di Errore sulla qualità dell’altro coniuge
Valore probatorio analogamente decisivo, ai fini del conseguimento della certezza morale del Tribunale, è attribuito alla prova indiretta per i capi della Condizione (can. 1102 §1) e dell’Errore sulla qualità dell’altro coniuge (can. 1097 §2), che consiste, in entrambi i casi, nella analisi del criterium aestimationis e del criterium reactionis. In merito all’error in qualitate – ossia al caso in cui uno dei coniugi abbia direttamente e principalmente ricercato nell’altro una specifica qualità, della cui sussistenza si sia erroneamente convinto tanto da contrarre matrimonio [2] – fondamentale è l’inquadramento del criterium aestimationis. Esso, infatti, è presupposto di interruzione del matrimonio, per cui quanto più l’errante abbia ritenuto fondamentale quella qualità tanto più velocemente – dopo la constatazione della sua assenza – avrà deciso di porre fine al matrimonio, essendo discutibile il contrario.
Un caso pratico
A titolo esemplificativo, ci riferiremo al seguente caso pratico: Tizia, considerando directe et principaliter significativa la qualità dello stato di incensuratezza – la cui presenza era per lei elemento decisivo per la formazione della volontà matrimoniale – si unisce sacramentalmente a Caio, indirizzando il proprio consenso più sulla qualità che sulla persona del nubente. In costanza di matrimonio, tuttavia, Tizia, fortemente prostrata psicologicamente dall’atteggiamento violento dell’uomo, viene a conoscenza del fatto che Caio, già in passato, si era macchiato di reati particolarmente gravi.
Stando dunque al tenore letterale della fattispecie indicata nel can. 1097 § 2, Tizia avrebbe dovuto, coerentemente con essa, porre in essere, entro un lasso temporale piuttosto breve, la separazione dal coniuge, atteso il valore che ella attribuiva all’assenza di condanne penali del marito. Tuttavia, la situazione di violenza endofamiliare nella quale la donna versava, che per giunta la costrinse a tacere, né denunciando né interrompendo mai la convivenza coniugale, si protrasse per ben venti anni. La lunga durata del matrimonio era, però, ascrivibile allo stato di dipendenza affettiva che Tizia, paradossalmente, aveva sviluppato proprio nei confronti dell’abusante.
Sempre più spesso distinguere questa condizione, nella quale la vittima si trova imprigionata, non è affatto semplice in un interrogatorio canonico, ove solo la prudenza del Giudice – laddove non vi siano ulteriori rilievi istruttori a sostegno della dichiarazione della parte – potrebbe permettere di ricomporre i tasselli di vicende matrimoniali umanamente così difficili.
Sulla dipendenza affettiva
Seppur in modo sintetico, possiamo sostenere che il soggetto definito typical affective dependent (TAD) sviluppa un modello relazionale disfunzionale, per cui la volontà di porre fine al rapporto “tossico” è fortemente compressa dal legame che si instaura con il coniuge manipolatore e abusante. L’incapacità di sfuggire al controllo dipende non solo da situazioni personologiche e caratteriali della vittima ma, talvolta, anche da fattori esterni, quali i condizionamenti sociali, familiari, economici e così via [3]. Ciò perché chi sviluppa una vera e propria PAD (Pathological Affective Dependence) [4] spesso tende, interiormente, ad attuare un inconscio meccanismo di colpevolizzazione, entrando in uno stato di dissonanza cognitiva, quasi razionalizzando e/o giustificando i comportamenti violenti dell’altro/a. Non sarebbe dunque affatto semplice, pur svolgendosi un meticoloso interrogatorio, individuare il problema. Ci sarebbe il rischio, infatti, mal interpretando il prolungato lasso temporale intercorrente tra la scoperta dell’assenza di quella determinata qualità e la interruzione del coniugio, di incorrere in erronee decisioni circa la nullità del vincolo sacramentale, credendo che il criterium reactionis sia di fatto insussistente. Di dipendenza affettiva si è già parlato QUI.
In conclusione
Alla luce delle valutazioni sopra proposte, va sostenuta e incoraggiata una formazione di tipo giuridico psicologico più costante, affinché i futuri canonisti – che siano essi destinati a diventare giudici, difensori del vincolo, avvocati o consulenti – conoscano in maniera meticolosa le problematiche di ordine scientifico. Non è sufficiente, a nostro avviso, quindi, uno studio generale della psicologia e della psichiatria, rendendosi altresì sempre più necessario un costante aggiornamento obbligatorio, che parta già dal ciclo di Licenza in diritto canonico e che riguardi discipline che, seppure indirettamente, influenzano in modo determinante l’esito dei giudizi matrimoniali canonici. In questo modo, la giustizia ecclesiastica, già per sua natura nutrita da humanitas e sapientia, potrà perfezionarsi nel delicato compito che le è stato assegnato; un compito senz’altro arduo quello di comprendere la persona nella sua interezza e complessità, scrutandone a fondo le mille pieghe dell’animo.
Note
[1] Cfr. M.A. Ortiz, La certezza morale del giudice e il valore probatorio delle dichiarazioni delle parti (2016), VI Corso di aggiornamento in diritto matrimoniale e processuale canonico, p. 3 ss.
[2] Cfr. F. Bersini, I diritto canonico matrimoniale. Commento giuridico, teologico, pastorale (1991), pag. 103 ss.
[3] Cfr. Decisio coram Palestro, diei, 2.5.1991, R.R.Dec., vol. LXXXIII, p. 317, n.4
[4] Cfr. E. Pugliese, Pathological affective dependence (PAD) as an antecedent of intimate partner violence (IPV): a pilot study of PAD’s cognitive model on a ample of IPV victims (2023), p. 305 ss.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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