Disturbo dipendente di personalità in ambito matrimoniale canonico

Jan Steen, La famiglia felice, 1668, RijksMuseum, Amsterdam

Personalità e disturbo, cosa sono?

Comprendere che cosa si intenda con il termine personalità è il primo passo verso una comprensione più profonda del disturbo in questione. La personalità consiste nella “permanenza di un nucleo individuale irriducibile nella molteplicità e diversità dei comportamenti e delle situazioni ambientali”[1]. Theodore Milano, famoso psicologo statunitense nell’ambito dei disturbi di personalità, ritiene che l’integrazione delle influenze biologiche e sociali sia il fondamento della strutturazione della personalità. Essa viene da lui definita come:

“complex pattern of deeply embedded psychological characteristics that are largely unconscious, cannot be eradicated easily, and express themselves automatically. Intrinsec and pervasive, these traits emerge from a a complicated matrix of biological dispositions and experiential learnings”[2].

Compreso che cosa sia la personalità possiamo ora passare al termine disturbo di personalità, che è stato introdotto per la prima volta dal Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali (DSM). Esso spiega come si possa essere in presenza di un disturbo unicamente quando esso costituisca “un modello costante di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo e si manifesta in almeno due delle seguenti aree: cognitività, affettività, funzionamento o controllo degli impulsi. Il quadro è stabile e di lunga durata, e l’esordio si può far risalire almeno all’adolescenza o alla prima età adulta”[3].

Quando la personalità è normale e quando disturbata?

Detto ciò, dobbiamo comprendere in quale caso siamo di fronte ad un disturbo dipendente di personalità. Stabilire con precisione quando una personalità rientra nella normalità e quando no è un processo molto arduo, dato che ciò che viene considerato normale in un tempo, potrebbe essere considerato anormale in un altro. Tuttavia è stato possibile individuare un criterio per scorgere un modello di funzionamento patologico della personalità, ovvero “quando le strategie alternative impiegate per raggiungere gli obiettivi prefissati, o relazionarsi agli altri, sono numericamente poche e rigidamente applicate (inflessibilità adattiva), oppure quando le percezioni, i bisogni e gli atteggiamenti abituali perpetuano e intensificano le difficoltà preesistenti (circoli viziosi); oppure quando la persona tende a non avere resistenza in condizioni di stress (tenue stabilità)“[4].

Le tre principali caratteristiche del soggetto smisuratamente dipendente: egli ha una necessità eccessiva di essere accudito, ha un comportamento sottomesso che ha lo scopo di suscitare un istinto protettivo nell’altro soggetto, inoltre, sulla base di una concezione di sé fuorviata, secondo la quale egli è incapace di prendersi cura di sé, ha un forte timore della separazione. Dunque ricapitolando è presente una scarsa fiducia in sé stessi, paura della solitudine, dell’abbandono e una costante necessità di una guida e di rassicurazione. L’origine di questi tratti abnormi può essere ricondotta a modelli educativi anomali, a rapporti genito-filiali distorti oppure ancora ad una modalità difensiva per evitare di rivivere dei traumi passati.

Caratteristiche della dipendenza affettiva

La persona dipendente soffre di scarsa autostima e ciò la porta ad esaltare ed idealizzare l’altro che viene visto come perfetto. Il disturbo porta la persona ad essere caratterizzata dall’egoismo di pretendere che l’altro soddisfi tutte le proprie pretese. L’inevitabile conseguenza dell’idealizzazione infranta sarà la delusione. Alcune altre caratteristiche della dipendenza affettiva sono la transitorietà e la sensazione di ebbrezza che il rapporto fa vivere, e, come in ogni forma di dipendenza, la dose diventa fondamentale, dato che il soggetto dipendente ha necessità di aumentare sempre di più il tempo che trascorre con l’altra persona per trarre gli stessi benefici. Tuttavia esiste una macro distinzione tra una forma di dipendenza sana ed una malsana. La prima, definita dipendenza fisiologica o adulta, ha lo scopo di far sviluppare al soggetto la sua propria autonomia ed indipendenza, la seconda, chiamata dipendenza patologica o infantile, che è quella che stiamo analizzando[5].

Causa di nullità del matrimonio

Le relazioni di coppia costituiscono suolo fertile per la dipendenza affettiva, anche se bisogna far notare che in ogni relazione umana è presente un certo grado di subordinazione. Il DSM ha specificato che coloro che soffrono di dipendenza affettiva hanno difficoltà a prendere decisioni quotidiane, hanno bisogno che altri si assumano la responsabilità al posto loro, hanno difficoltà ad esprimere disaccordo e quando termina la relazione affettiva cercano subito un’altra persona affinché colmi le loro insicurezze[6].

Alla luce di queste caratteristiche si può comprendere come il disturbo dipendente di personalità possa andare a precludere la prestazione valida di un libero consenso, talvolta la creazione di relazioni interpersonali intime ed anche l’assunzione delle responsabilità del matrimonio. Questo per quale motivo precisamente? Perché il soggetto dipendente non ricerca semplicemente un consiglio, ha necessità che un’altra persona lo guidi e prenda le decisioni al posto suo. Le domande che dobbiamo porci sono:  il soggetto sarebbe in grado di prendere una decisione senza qualcuno che lo guidi ed indirizzi? Se la risposta alla prima domanda dovesse essere no, come si potrebbe parlare di un consenso matrimoniale ragionato e libero, se il soggetto, incapace di decidere da solo, abbandonato a sé stesso, prestasse il suo consenso senza una sufficiente capacità critica previa[7]?

Il soggetto affetto da dipendenza affettiva non è in grado di porre in essere una scelta matrimoniale sufficientemente libera, dato che nel prendere la decisione è vincolato dalla sua necessità di evitare l’abbandono. La scelta dell’altro dunque non è veramente libera e l’atto posto in essere non può considerarsi realmente espressivo di sufficiente autodeterminazione.

La perizia come mezzo di prova

Il disturbo può dunque provocare la nullità del matrimonio per difetto di discrezione di giudizio, oppure per l’incapacità ad assumere gli oneri coniugali, dato che esso va ad incidere non solo sul vissuto personale, bensì anche sulla relazione interpersonale (co-esse). Il soggetto può non essere in grado di mantenere un rapporto stabile, che si basa su reciprocità, incontro reciproco e fedeltà. La perizia è il mezzo di prova privilegiato per indagare la presenza del disturbo o meno in un dato soggetto e il grado della sua incidenza in ambito matrimoniale canonico.

Il fulcro dell’indagine sarà concentrato sulla condizione in cui versava il soggetto al momento delle nozze, ed è proprio in base alla perizia che il giudice sarà in grado di determinare se la peculiare condizione psichica del soggetto abbia effettivamente costituito una delle ipotesi di incapacità previste dal codice, ovvero se sussista un nesso di causa (condizione imprescindibile) tra la condizione in oggetto e l’effetto giuridico. Bisogna in ogni caso evitare conclusioni affrettate, in base alle quali la presenza di un disturbo psichico determini automaticamente un insufficiente libertà interiore, ovvero un soggetto ritenuto a priori incapace di compiere una valida scelta[8].

Di conseguenza, per ritenere invalido il consenso matrimoniale, non è sufficiente essere affetti da un disturbo di personalità, bensì è richiesta anche la gravità dell’effetto della forma morbosa, affinché vi sia rilevanza giuridica. Questo perché il matrimonio per la sua validità non richiede né perfezione assoluta né piena libertà. La gravità sulla quale il perito è chiamato a pronunciarsi è la gravità funzionale specifica, che comporta la valutazione del grado di incidenza dell’anomalia sulle funzioni coinvolte specificamente nell’atto del consenso matrimoniale. Fondamentale per determinare se vi sia o meno effetto invalidante sono la collocazione temporale del disturbo e l’intensità delle manifestazioni dell’anomalia [9].

La coppia e la visione del partner

Un ultimo aspetto che va considerato è l’impatto che tale disturbo ha sulla coppia e sulla visione dell’altro, da parte del soggetto dipendente. Per capire quando il disturbo va ad inficiare una coppia, dobbiamo innanzitutto comprendere che cosa sia una coppia sana, a tal riguardo: “Esiste coppia, quindi, laddove esiste un rapporto tale da consentire, al suo interno, l’armonizzazione e la crescita dei membri che la costituiscono e che, al suo esterno, permette un adeguamento funzionale all’ambiente ed ai relativi mutamenti [10]”.

Il soggetto dipendente però non vede e accetta l’altro per quello che è in realtà, bensì lo idealizza. L’altro non viene visto come essere umano con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti, bensì unicamente come strumento per realizzare i propri bisogni. Infine, per rimarcare un’ultima volta il netto contrasto che sussiste tra una coppia sana ed una non sana, possiamo constatare che in una coppia sana si crea una relazione affettiva simmetrica e paritaria, mentre nell’altra una parte dà tutta sé stessa all’altra, senza tuttavia ricevere il corrispettivo necessario [11].

Note

  1. Personalità in Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Milano, 1993, p. 856.
  2. TH. MILLON, Disorders of personality, New York, 1981, p. 8.
  3. AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION, DSM-IV. Manuale diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, Milano, 1996, p. 688.
  4. TH. MILLON, S.D. GROSSMAN, Personologia: una teoria basata su concetti evoluzionistici, in: J.F. CLARKIN, M.F. LENZENWEGER (a cura di), I disturbi di personalità. Le principali teorie, Seconda edizione. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005, pp. 343-404.
  5. C. BARBIERI, Il c.d. Disturbo Dipendente di Personalità, in AA.VV., Dipendenze psicologiche e consenso matrimoniale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009, pp. 21-23.
  6. AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION, DSM-IV. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, 1996, pp. 782-783.
  7. Cfr. G. ZUANAZZI, Psicologia e Psichiatria nelle cause matrimoniali canoniche, Seconda edizione riveduta ed ampliata, Libreria Editrice Vaticana, 2012, p. 254.
  8. Ibid., pp. 469-478.
  9. Cfr. M. PROFITA, T. CANTELMI, Nuove prospettive canonistiche in tema di tratti di personalità alla luce del DSM-5, Libreria Editrice Vaticana, 2022. pp. 47-50.
  10. C. BARBIERI, La coppia c.d. perversa, in AA.VV., La coppia coniugale: attualità e prospettive in medicina canonista, Libreria Editrice Vaticana, 2007, cit., p. 88.
  11. Cfr. C. BARBIERI, Il c.d. Disturbo Dipendente di Personalità, in AA.VV., Dipendenze psicologiche e consenso matrimoniale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009, pp. 34-36.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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Chiara Gaspari

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