Gli elementi costitutivi del giusto processo canonico

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I bari, seguace di Michelangelo Merisi, 1700 circa, olio su tela, collezione privata

Abbiamo avuto modo, nel precedente articolo (QUI) di affrontare l’argomento del giusto processo canonico e particolarmente di taluni profili che lo accostano agli ordinamenti civili e più specificamente a quello italiano. Nella riflessione che segue vorremmo offrire elementi utili a comprendere quali siano gli elementi costitutivi del giusto processo nell’ordinamento della Chiesa.

Alcune premesse: l’epoca delle Decretali

È noto che l’Ordinamento canonico non conosce subito l’era dei Codici, ma gli stessi sono frutto di una secolare stratificazione del Diritto. Nel tempo, almeno fino alla prima codificazione del 1917, l’orizzonte nel quale il Diritto canonico si muoveva, in relazione al diritto di difesa, particolarmente, era indubbiamente quello dell’equità, a cui pure va ricondotto il più generale concetto di giusto processo. Il concetto di ius defensionis legato al soggetto, infatti, è di formulazione relativamente recente, infatti nel Diritto delle Decretali – precedente a quello codiciale – il concetto di difesa era proprio della persona del reus, del convenuto, tanto nel processo penale, quanto in altre tipologie processuali.

Allo stesso modo il concetto di agere era proprio dell’attore, sicché facilmente si potevano identificare le parti a seconda del loro ruolo nel contenzioso processuale; tuttavia è doveroso sottolineare che il concetto di defensio era compreso anche con l’accezione della vindicatio [1]. Quanto appena detto si riferisce agli albori del Diritto canonico che, nel tempo, andava man mano definendosi in forma sempre più solenne, come ben si evince dalle Decretali di Gregorio IX. Al di là della disamina dei vari decreti in materia, la preoccupazione dei Pontefici era quella di mantenere il processo in una situazione di equilibrio tra le parti, ove la garanzia era costituita da contraddittorio e litiscontestatio. Quanto appena detto vale anche per il processo sommario, dove il Giudice aveva facoltà di decisione: «simpliciter et de plano, et sine strepitu et figura iudicii» [2].

Questa visione, certamente conforme alla società e morale del tempo era sostanzialmente in linea con quella di Diritto oggettivo, non già soggettivo e a motivo di ciò non abbiamo una formulazione dello ius defensionis nel Corpus Iuris Canonici [3]. Il periodo delle Decretales, comunque, non vede del tutto estraneo il concetto soggettivo di diritto alla difesa. Il successivo periodo è il periodo dei decretalisti e trattatisti, sostanzialmente poco rilevante in termini di sviluppo del concetto di ius defensionis, se non per una più organica visione del processo con un più ampio e considerato contraddittorio.

Il Codex del 1917 e lo ius defensionis

Il vero sviluppo significativo è dato dall’avvento della prima codificazione, quella piano-benedettina del 1917. Quest’ultima fa esplicito riferimento allo ius defensionis, in particolare nel XII titolo – De processus publicatione, de conclusione in causa et de causae discussione – e nei cann. 1862 §1 e 1861 §2 C.j.C. del 1917. Prima di ogni cosa, lo ius defensionis non è più una facoltà riconosciuta ad una sola delle parti, ma indistintamente ad entrambe. Dunque, al convenuto o al reo per rispondere alle pretese attoree o alle accuse, ma altrettanto ad un eventuale attore dalle pretese ed azioni riconvenzionali del convenuto. Questo nella generalità, ma più specificamente abbiamo una netta distinzione tra concetto di difesa e cognizione probatoria, valevole anche per le eccezioni [4]; inoltre l’attività del se defendere veniva esercitata contro le prove addotte dalla controparte, limitando di fatto anche la facoltà della proposizione di nuovo materiale probatorio dopo la conclusio in causa.

Una nota distintiva degna di menzione va fatta, a questo punto, tra oggetto del diritto di difesa, richiamato, e l’effettiva defensio scripta che il Codex normava, pur tuttavia prevedendo anche una breve disputatio definita moderata. Altro elemento significativo dal punto di vista procedurale riguarda il locus di espletazione dello ius defensionis: non soltanto dinanzi al Giudice, ma altrettanto dinanzi alle altre parti, private e pubbliche a seconda del caso. Infine, la difesa tecnica, da sempre riconosciuta anche nelle Decretales, era nel Codex intimamente connessa a quello che era l’esercizio della difesa della parte processuale, a norma dei cann. 1655 e 1862 §1 del C.J.C. del 1917. Ulteriore sviluppo si ha con la revisione del Codex e la promulgazione del vigente Codice di Diritto canonico nel 1983. Analogo al titolo XII del Codex del 1917 appare l’attuale can. 1598 C.J.C., ma riporta una differenza circa la pubblicazione degli atti, certamente e nettamente subordinata alla necessità di difesa delle parti.

La sanzione di nullità

Novità ancor più rilevante la sanzione di nullità in caso di diniego dello ius defensionis. Importante anche la Dottrina [5], legata alla promulgazione del nuovo Codice volta alla promozione della giustizia, particolarmente nel contenzioso giudiziale per controversie sorte da Atti amministrativi singolari, di fatti è eminentemente importante tutta la letteratura giuridica – fondata anche e soprattutto sulla giurisprudenza rotale oltre che sul Codice – circa lo ius defensionis. Fondamentale è anche la riflessione dottrinale sullo ius defensionis nella procedura e contenzioso amministrativo nella Chiesa [6]. Ebbene, mentre nel Diritto delle Decretales si può giungere ad identificare la presenza di un insieme di norme date per assicurare la necessità di difesa dell’imputato o convenuto, in base alla visione dell’epoca, concernente il diritto oggettivo non soggettivo modernamente inteso, nel regime del Codex lo stesso assume un carattere eminentemente normativo.

La dialogicità processuale

Un secondo elemento importante per il principio del giusto processo – che indubbiamente è correlato al diritto di difesa – è quella che potremmo indicare come dialogicità processuale. È noto, infatti, che per esercitare correttamente lo ius defensionis non si possa prescindere da due procedimenti tecnici fondamentali: argomentazione e dimostrazione, elementi in sé stessi apparentemente uguali e talora confondibili, ma in verità differenti. L’argomentazione è personale e collocabile spazio-temporalmente, ha una validità relativa al contesto nel quale è proposta e postula un determinato uditorio, di cui cerca il consenso.

Di questo uditorio ammette gradi di adesione diversi ed usa un linguaggio naturale, implicante comunicazione, dialogo, controversia e discussione. È qualificata da un carattere valutativo, tipico della ragionevolezza di una scelta. La dimostrazione, invece, è differente: impersonale ed indipendente dal tempo e dallo spazio, non ha una validità relativa ed è indifferente rispetto al destinatario. È valida ed opponibile erga omnes, seppure indifferente rispetto al destinatario e fondata su assiomi. Teoricamente autosufficiente, la dimostrazione, implica un calcolo anche meccanico e richiede un’adesione univoca, che non ammette gradi di variabilità. La caratterizza una verità logica, valida sempre e ovunque.

Nella differenza sostanziale, comunque, argomentazione e dimostrazione sono accomunate da un elemento: la razionalità, che ammettono in gradi e a livelli differenti. La dimostrazione è caratterizzata da una razionalità impersonale [7] o insensibile [8] data da una tecnica sintattica pura e dal calcolo. L’argomentazione, invece, è caratterizzata da una razionalità personale o sensibile. Non per questo, tuttavia bisogna pensare all’argomentazione come una maniera di dimostrare che sia debole, infondata, quasi certamente fallibile. È piuttosto la dimostrazione ad essere un modo di rappresentare la realtà più raro.

L’applicazione al processo

E nel processo è bene che nel processo si abbiano rappresentazioni della realtà caratterizzate da razionalità argomentativa, quanto da razionalità dimostrativa, in particolare per taluni elementi di maggior rilevanza o di carattere più tecnico. D’altro canto dalle argomentazioni, in sede processuale, nascono spessissimo conclusioni probabilistiche che, seppure non sempre necessarie concorrono alla formulazione di una certezza che possa dirsi moralmente fondata ed escludente di ogni ragionevole dubbio, certezza che garantisce la giustizia del processo stesso. Resta comunque in sospeso una questione fondamentale, inerente alla dialogicità processuale: quanto asserito è nell’ambito della presunzione, ma per essere utilizzabile quale fondamento della certezza morale – e dunque perché possa anche dirsi fondante la giustizia del processo stesso – deve passare all’ambito dell’effettività.

Questo passaggio avviene tramite la ragione che l’argomentazione offre, ovvero attraverso il carattere normativo della ragione stessa, criterio attraverso il quale avviene la legittimazione dell’asserzione, valida fino a prova contraria, ovvero fino a che non si forniscano ragioni contrarie altrettanto validamente legittimanti [9]. Se dunque la ragione offre un criterio normativo fondante la scelta, allora offrirà anche un criterio idiosincratico, ossia legittimante situazioni medesime o analoghe rispetto all’originale. Da qui si può concludere che ogni scelta, perché posta, pretende anche di essere razionalmente valida: la validazione è quel processo che verifica l’iniziale presunzione di razionalità, con ragioni sufficienti e pertinenti. Proprio questa validazione sana lo scarto esistente tra presunzione ed effettività.

Dunque la scelta compiuta, in base a quanto detto, non sarà più quella che ipoteticamente poteva porsi in essere fra le molte possibili, ma l’unica da dover prendere in considerazione per quel caso specifico, giustificata e dunque anche razionale. Sarà quella che garantirà l’applicazione del criterio del giusto processo. Tramite la dialogicità le nostre ragioni argomentative escono dalla sfera della privatezza per dimostrare l’effettività della pretesa di razionalità erga omnes. Attenendoci a quanto detto fin ora, dunque, l’importanza della razionalità argomentativa all’interno del processo e del processo canonico, risulta decisiva. Non solo, in quest’ottica il processo si presenta come serie di atti giustamente posti e volti alla validazione di una tesi.

Diritto canonico e diritti soggettivi

Parlando di giusto processo non possiamo non fare un cenno al tema dei diritti soggettivi. Tentando una chiarificazione sintetica del rapporto tra diritti soggettivi e Ordinamento canonico non si può prescindere dall’evidente sviluppo avutosi tra il Codex piano benedettino ed il Codice giovanneo paolino; dovuto evidentemente alla rilettura, alla riflessione, sulla natura della Chiesa, compiuta dal Concilio ecumenico Vaticano II. Non solo, al discorso sulla possibilità di esistere di tali diritti nella Chiesa, si aggiunge la problematica relativa all’effettiva loro applicabilità. Se consideriamo il diritto soggettivo (generalmente) una posizione giuridica attiva che spetta ad un soggetto, in virtù della quale gli è proprio un determinato bene esigibile nei riguardi altrui, non sembra problematico riscontrare tale attribuzione nell’Ordinamento della Chiesa, in specie per il tramite della via processuale; in termini di diritti umani o specificamente ecclesiali [11].

Certamente, una più attenta riflessione sul tema dei diritti soggettivi si avvia nel XX secolo, pur non mancando già nel precedente una riflessione in merito con particolare riferimento al fedele laico. Seppur la tematica fosse presente già nel 1917, la svolta, in materia, arriva con il Concilio Vaticano II che riflette – oltre che in vari documenti che esprimono direttamente alcuni diritti del fedele – in modo ampio e più generale sulla tematica dei diritti dei fedeli. Questo nucleo dottrinale si riflette anche sui rapporti costituenti la dimensione intersoggettiva del vivere ecclesiale; il fedele con la sua dignità e libertà di battezzato occupa (dopo il Concilio) un posto da protagonista nell’Ordinamento canonico; la dignità e libertà suddetta sono garantiti dalla norma canonica [12]. Sebbene, tuttavia, appaia abbastanza generalizzato il consenso circa l’esistenza di diritti riconducibili direttamente al soggetto, nella Chiesa, meno pacifica è la Dottrina quanto alla modalità ricettiva di tali diritti.

Libertà del soggetto e autorità

L’attenzione dunque si va spostando sul rapporto tra libertà del soggetto ed Autorità; lì dove negli Ordinamenti secolari i diritti soggettivi si concepiscono con una impostazione di taglio evidentemente individualista che contrappone la libertà del singolo al potere dello Stato. Il retroterra è essenzialmente legato alla concezione costituzionalistica dello Stato di Diritto in cui i diritti del singolo sono primariamente volti alla limitazione del potere statale. Questa concezione è assolutamente inadatta all’Ordinamento canonico; è sufficiente pensare, infatti, che ogni corretto esercizio della libertà dei fedeli ed ogni uso dell’Autorità ecclesiastica, è volto alla medesima finalità, ovvero la salus animarum, che dà senso ad ogni missione ecclesiale. Dunque, l’esigenza si sposta sull’inquadramento dell’armonia necessaria tra funzioni di autonomia del singolo fedele e dell’autorità ecclesiastica.

Conclusioni

Alla luce di ciò non si può ridurre il Diritto al sistema di diritti soggettivi o al concetto di contrapposizione pubblico e privato, tenendo conto tanto dell’ambivalenza dei diritti e doveri ecclesiali dei Christifideles, tanto della generalità dei diritti (libertà) loro attribuiti. Un’ultima considerazione vogliamo rivolgerla allo ius defensionis, in particolare. Quest’ultimo rientra certamente in quell’alveo di diritti sovraordnati ed intrinsecamente connessi alla persona, seppur a volte non positivizzato. Strettamente connesso al Diritto naturale, anche lo ius defensionis è considerato tale e, come ogni diritto fondamentale trova il suo fondamento nella dignità della persona umana. L’indissociabile unione tra diritti della persona e dignità umana, nell’Ordinamento canonico, ci fanno concludere che il diritto alla difesa, seppur presente in altri Ordinamenti, in quello della Chiesa è diversamente concepito alla luce del Magistero.

Note

[1] Quanto detto è verificabile consultando direttamente le fonti, dalle quali facilmente si può comprendere questa accezione di difesa, oltre alla classica. Per esempio si veda: C. II q.1 c.14.

[2] Clem. II, 1, 2.

[3] La concezione di Diritto oggettivo, preminente al tempo, e quella di Diritto soggettivo esclusivamente quale sfaccettatura di quello oggettivo è ben espressa da R. Schwarz, Circa natura iuris subiectivi, in Periodica re canonica, LXIX (1980), pag. 191.

[4] Si veda il can. 1861 §2 C.J.C. del 1917 che specifica: «probationes conoscere et se defendere».

[5] cfr. C. Gullo, Il diritto alla difesa nelle varie fasi del processo matrimoniale, in Monitor Ecclesiasticus, CXIII (1988), pagg. 29-50; oppure S. Villegiante, Lo ius defensionis denegatum e il diritto di difesa della parte dichiarata assente, in Monitor Ecclesiasticus, CIX (1986), pagg. 189-205. Per citare due dei maggior esponenti della canonistica del diritto alla difesa.

[6] cfr. M. Cardinale, Il diritto alla difesa nella giustizia amministrativa canonica, in Ephemerides Iuris Canonici, XXXIX (1983), pagg. 104-119.

[7] Come definita da J. Evans – D.E. Over, Rationality and Reasoning, New York 1996, pag. 8.

[8] Come la definisce G. Giorgio, La via, pag. 63.

[9] cfr. C. Lanni, Procedimenti amministrativi disciplinari e jus defensionis, Pontificia Università Lateranense 2020, 16-18.

[11] cfr. A. Garcia, Los derechos de la persona humana en el Ordinamiento canonico, in F. Biffi (cur.), I diritti fondamentali della persona umana e la libertà religiosa. Atti del V colloquio giuridico. Università Lateranense, Roma 1985, pagg. 85-89.

[12] cfr. Paulus PP. VI, Discorso pronunziato nella solenne commemorazione del cinquantenario di promulgazione del Codex Iuris Canonici, in Communicationes, I (1969), pag. 59.

[13] cfr. P. Gherri, Introduzione al diritto amministrativo canonico. Fondamenti, Milano 2015, pagg. 54-55.

[14] Ivi, pag. 55.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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Cristian Lanni

Nato nel 1994 a Cassino, Terra S. Benedicti, consegue, nel 2013 la maturità classica. Iscrittosi nello stesso anno alla Pontificia Università Lateranense consegue la Licenza in Utroque Iure nel 2018 sostenendo gli esami De Universo Iure Romano e De Universo Iure Canonico. Nel 2020 presso la medesima università pontificia consegue il Dottorato in Utroque Iure (summa cum laude) con tesi dal titolo "Procedimenti amministrativi disciplinari e ius defensionis", con diritto di pubblicazione. Nel maggio 2021 ha conseguito il Diploma sui "Delicta reservata" presso la Pontificia Università urbaniana, con il Patrocinio della Congregazione per la Dottrina della Fede e nel novembre 2022 il Baccellierato in Scienze Religiose presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, presso cui è iscritto ai corsi per la Licenza. Dal luglio 2019 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo dei Difensori del Vincolo presso la Regione Ecclesiastica Abruzzese e Molisana, operante nel Tribunale dell'Arcidiocesi di Chieti, dal settembre dello stesso anno è docente presso l'Arcidiocesi di Milano. Nello stesso anno diviene Consulente giuridico presso Religiosi dell'Arcidiocesi di Milano. Dal giugno 2020 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo degli Avvocati canonisti della Regione Ecclesiastica Lombarda. Dal 2021 collabora con il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Sardo e come Consulente presso vari Monasteri dell'Ordine Benedettino. Dal 13 novembre 2022 è Oblato Benedettino Secolare del Monastero di San Benedetto in Milano. Dal 4 luglio 2024 è membro dell'Arcisodalizio della Curia Romana.

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