L’errore sull’essenza del matrimonio canonico: il can. 1096 CIC 83

errore
Pierre-Auguste Renoir, La famiglia Henriot, 1875, olio su tela, Barnes Foundation, Philadelphia

Il Concilio Vaticano II

Dopo aver trattato QUI l’errore sull’essenza del matrimonio nel Codice del 1917, trattiamo oggi l’errore sull’essenza del matrimonio nel Codice del 1983. Le riflessioni del Concilio Vaticano II hanno trasformato non soltanto il volto della Chiesa ma anche la legislazione fino a quel momento vigente, che appariva non più adeguata all’evoluzione della società [1]. Un esempio è offerto dal can. 1082 del Codice abrogato, la cui interpretazione non è stata più incentrata esclusivamente sulla cooperazione sessuale tra i nubenti, ma ha tracciato la strada per la rilevanza giuridica dell’amore coniugale (Lumen Gentium, n. 48).

La disciplina vigente: le modifiche lessicali

Conformemente al precedente quadro normativo [2], il Legislatore del 1983 disciplina i contenuti essenziali che i contraenti devono (saltem) possedere per emettere un valido consenso matrimoniale. Si è concordi nel ritenere che la nuova formulazione lessicale del can. 1096 non abbia aggiunto nulla alla precedente norma, rivestendo solo una mera finalità esplicativa [3]. In tale prospettiva le novità introdotte dal Legislatore giovanneo-paolino sono puramente terminologiche. Il termine societas è stato sostituito dal vocabolo consortium [4], per sostenere l’idea che il matrimonio è un’unione stabile e duratura, che incentiva i nubenti a condividere la stessa vita e lo stesso destino; la parola filios è stata sostituita da prolem, nonché è stata aggiunta l’espressione cooperatione aliqua sexuali.

La conoscenza del consortium permanens inter virum et mulierem…

Alle variazioni lessicali corrisponde una diversità di orientamento della dottrina che, sotto la vigenza del precedente Codice, aveva concentrato l’attenzione esclusivamente sulla finalità procreativa del vincolo nuziale. In particolare, il termine consortium fa riferimento alla nuova dimensione di vita che i coniugi scelgono, mettendo in comune le rispettive sorti. Ciò richiede che i coniugi abbiano una conoscenza effettiva delle conseguenze che tale scelta di vita comporta, non potendo essa dipendere da una decisione superficiale o presa in modo avventato. Tale consorzio traduce l’essenza relazionale dell’uomo, che trova nel matrimonio il momento più alto di creazione di un legame reciproco.

Caratteristica peculiare del consorzio coniugale è il suo essere permanens, dotato cioè di una certa stabilità volta ad escludere le relazioni sporadiche o casuali: non occorre dunque conoscere che il matrimonio è indissolubile, unico ed elevato alla dignità di sacramento [5]. Tale relazionalità presuppone inoltre un rapporto tra due persone di sesso diverso, “inter virum et mulierem”: il can. 1096 § 1 non richiede tuttavia che i nubenti conoscano la proprietà dell’unità, per cui il matrimonio esiste tra un solo uomo e una sola donna, ma è sufficiente che essi non ignorino che l’unico vincolo canonicamente ammissibile è quello eterosessuale, all’interno del quale essi si danno in quanto esseri sessuati, poiché il coniugio è ordinato alla procreazione [6].

ordinatum ad prolem procreandam

Oggetto del can. 1096 § 1 è altresì la conoscenza che il matrimonio è “ordinatum ad prolem procreandam”, che si realizza attraverso “cooperatione aliqua sexuali”. Il dibattito dottrinale registratosi sul punto durante la vigenza del Codice piano-benedettino è stato sedato dalla considerazione che la parte finale del canone deve essere letta in relazione al consorzio permanente tra un uomo e una donna. La cooperazione sessuale finalizzata alla procreazione della prole acquista un senso più specifico, se filtrata alla luce della relazione che si instaura col vincolo nuziale.

La scelta dello stato di vita matrimoniale coinvolge necessariamente anche la sfera sessuale dei nubenti, al punto da esigere la consapevolezza nei coniugi che lo scambio vicendevole non esime dalla dimensione corporale, pur essendo sufficiente averne una consapevolezza anche confusa [7]. Il consorzio coniugale non consiste in un’associazione puramente amicale, di aiuto reciproco ma esso è ordinato alla prole. L’orientamento dominante formatosi con la promulgazione del Codice attuale ha aderito in pieno alla teoria massimalistica, che già in passato richiedeva una conoscenza, seppur vaga e non specifica, di una qualche cooperazione sessuale finalizzata alla procreazione [8].

Il can. 1096 § 2 CIC 83

Il can. 1096 § 2 ha recepito interamente il corrispettivo del Codice del 1917. Esso disciplina che “Haec ignorantia post pubertatem non praesumitur”. Il Legislatore individua così una presunzione di diritto, in virtù della quale la conoscenza minima di quanto previsto al § 1 si presume col raggiungimento della pubertà, ossia dopo aver conseguito la maturità sessuale. Tale previsione conferma la natura della conoscenza richiesta, di cui ciascuna persona è dotata per diritto naturale dal momento in cui è abile a procreare [9].

Essa si pone come indispensabile nell’ambito applicativo del can. 1096, in quanto la prova diretta dell’ignoranza circa l’essenza del matrimonio risulterebbe di estrema difficoltà o potrebbe essere impossibile fornirla. Inoltre, la presunzione in esame è iuris tantum, per cui si prevede il suo superamento con la prova contraria (di cui è onerato il pubere), che dimostri l’effettiva mancanza di conoscenza nel nubente al raggiungimento della pubertà.

Errore sull’essenza del matrimonio e processo canonico

Il canone 1096 resta di difficile applicazione in ambito processuale [10]. I criteri di prova di cui il giudice può avvalersi non possono limitarsi a dimostrare la presenza dell’errore circa la sostanza del matrimonio nella mente del contraente, ma occorre provare che il nubente effettivamente non conosceva il contenuto minimo del matrimonio canonico e che quella mancanza ha avuto un influsso determinante sulla volontà nel momento in cui ha prestato il consenso matrimoniale. Anche la prassi giudiziale inquadra il capo di nullità in esame nella fattispecie dell’errore. Esso va distinto dall’ignoranza, in quanto solo il primo può configurare il compimento di un atto, a differenza della seconda, che determina invece una “situazione di non atto” [11].

Gli elementi di prova

Le difficoltà applicative del can. 1096 inducono il giudice a formare il proprio convincimento sulla base di elementi probatori che evidenzino in modo inequivocabile il grado di conoscenza del nubente. Tra questi un posto di rilievo è occupato dalla dichiarazione delle parti (can. 1530 CIC), la cui valutazione deve avvenire alla luce del contesto istruttorio generale, affinché emergano eventuali elementi contrastanti [12].

Solo la parte può dichiarare in che modo abbia scelto la vita matrimoniale, quale conoscenza avesse dell’istituto al momento della manifestazione del consenso, consentendo in tal modo al giudice istruttore di inquadrare tali affermazioni nel relativo contesto biografico (educativo e formativo) e socio-culturale, dal quale potrebbe derivare la causa dell’errore. Un valido ausilio ai fini probatori può essere offerto anche dalla prova testimoniale (cann. 1547-1573 CIC), che contribuisce a confermare o meno quanto dichiarato dalle parti, oltre ad offrire potenziali occasioni di ampliamento dell’istruttoria in presenza di nuovi indizi [13].

Ratio del can. 1096 CIC

La disciplina prevista dal can. 1096, seppur in previsione di casi che ad oggi difficilmente si incontrano nella prassi, vuole tutelare la salus animarum di chi si accosta all’istituto matrimoniale, anche se non dotato di quella conoscenza tecnica che consentirebbe di aderire al modello legislativo in piena coscienza.

Riferimenti bibliografici

[1] P.A. d’AVACK, Per una riforma giuridica del matrimonio canonico, in Ephemerides Iuris Canonici, 1, 1974, p. 16 ss.

[2] M.F. POMPEDDA, Annotazioni sul diritto matrimoniale nel nuovo codice canonico, in M.F. POMPEDDA (a cura di), Studi di diritto matrimoniale canonico, Giuffré, Milano, 1993, p. 208 ss.

[3] P.A. BONNET, Errore di diritto e necessità della coscienza dell’importanza vitale dell’opzione matrimoniale, in Il Diritto Ecclesiastico, 2, 1983, p. 466 ss.

[4] R. BERTOLINO, Matrimonio canonico e bonum coniugum. Per una lettura personalistica del matrimonio cristiano, Giappichelli, Torino, 1995, p. 60 ss.

[5] M.E. OLMOS ORTEGA, A. MOLINA MELIA, Derecho matrimonial canonico, sustantivo y procesal, Editorial Civitas, Madrid, 1995, 208 ss.

[6] G. MOSCARIELLO, «Error qui vertetur circa id quod substantiam actus constituit» (can. 126), Pontificia Università Gregoriana, Roma, 2001, p. 208 ss.

[7] P.J. VILADRICH, Can. 1096, in Á. MARZOA, J. MIRAS, R. RODRÍGUEZ-OCAÑA (a cura di), Exegetical Commentary on the Code of Canon Law, vol. III/2, Wilson & Lafleur, Montreal (Canada), 2004, p. 1277 ss.

[8] A.M. ABATE, Il matrimonio nella nuova legislazione canonica, Urbaniana University Press, Città del Vaticano, 1995, p. 48 ss.

[9] R.L. BURKE, Riflessioni sull’errore di diritto quale capo di nullità matrimoniale come proposto da alcuni tribunali diocesani e interdiocesani, in Ius et Iustitia, 1, 2012, p. 68 ss.

[10] J.M. SERRANO RUIZ, Sulla conoscenza richiesta per la validità del matrimonio, can. 1082, in F. CATOZZELLA (a cura di), La centralità della persona nella giurisprudenza coram Serrano, vol. 1, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009, p. 273 ss.

[11] P.A. BONNET, La prova della nullità del matrimonio nell’errore di diritto al can. 1096 § 1 CIC, in M. d’ARIENZO (a cura di), Il diritto come “scienza di mezzo”. Studi in onore di Mario Tedeschi, Pellegrini, Cosenza, 2017, p. 284 ss.

[12] P.A. BONNET, La dichiarazione delle parti, in Periodica de re canonica, 1, 2015, p. 23 ss.

[13] C. PAPALE, I processi. Commento ai canoni 1400-1670 CIC, Urbaniana University Press, Città del Vaticano, 2017, p. 261 ss.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Picture of Federico Gravino

Federico Gravino

Lascia un commento

Iscriviti alla Newsletter