L’errore sull’essenza del matrimonio canonico nel Codice del 1917

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Francisco Goya, la famiglia di Carlo IV, 1800-1801, olio su tela, Museo del Prado, Madrid

L’errore sull’essenza del matrimonio canonico è un vizio del consenso disciplinato dal can. 1096 del Codice di Diritto Canonico: “§ 1. Perché possa esserci il consenso matrimoniale, è necessario che i contraenti almeno non ignorino che il matrimonio è la comunità permanente tre l’uomo e la donna, ordinata alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione sessuale. § 2. Tale ignoranza non si presume dopo la pubertà“.

Matrimonio canonico e cambiamenti sociali

Le attuali trasformazioni sociali rendono attuale il contenuto di questa norma. Infatti, la scelta matrimoniale comporta la decisione definitiva dell’uomo e della donna di istituire una piena relazione d’amore. Tale decisione presuppone una manifestazione del consenso piena, libera e incondizionata [1]. Tuttavia, si assiste ad una relativizzazione della concezione dell’istituto matrimoniale, tanto da parlare di “matrimonio invertebrato” [2]. Nonostante ciò, il matrimonio canonico possiede caratteristiche specifiche in forza dell’ordinamento giuridico di appartenenza e non può modellarsi a seconda delle esigenze di un dato momento storico o di particolari modelli culturali e giuridici [3].

Il contenuto minimo di conoscenza da parte dei nubendi

Le risposte legislative alle nuove esigenze sociali non hanno però intaccato l’unicità e le caratteristiche del vincolo coniugale, che piuttosto sono rafforzate. Infatti, il Legislatore universale ha disciplinato il contenuto minimo di conoscenza che i contraenti devono possedere al momento della celebrazione: in tal modo è stata garantita la validità del vincolo, pur in presenza di circostanze culturali o sociali che ostacolerebbero la piena consapevolezza di questa scelta di vita.

Le prime risposte del legislatore

I primi approcci legislativi dinanzi al grado di conoscenza dell’istituto matrimoniale richiesto alle parti avevano ad oggetto l’età dei contraenti oppure l’errore sulla persona o sulle qualità. Non emergevano altre tipologie di errore sull’essenza del matrimonio [4]. Anche la dottrina precedente al Codice del 1917 riteneva che l’errore sulla sostanza del matrimonio fosse il solo errore di persona [5].

In particolare, l’errore sull’essenza del matrimonio determinava un errore sull’oggetto dell’istituto, che pertanto ne causava la nullità perché i contraenti manifestavano la propria volontà su qualcosa di diverso dal matrimonio (come ad esempio una società amicale priva della finalità procreativa). Invece, l’errore sulle proprietà essenziali non era causa di nullità matrimoniale perché esso aveva ad oggetto soltanto la sostanza del matrimonio.

La disciplina del Codice del 1917: il can. 1082

Soltanto a partire dalla legislazione abrogata è stata introdotta una disciplina volta ad attestare il grado di conoscenza degli sposi ai fini della validità del consenso matrimoniale prestato. Il can. 1082 disciplinava che: “Perché possa aversi il consenso matrimoniale, è necessario che i contraenti almeno non ignorino che il matrimonio è una società permanente tra l’uomo e la donna volta alla procreazione dei figli”. Pertanto, ai fini del contenuto minimo di conoscenza si richiedeva di sapere che il matrimonio era una “societas permanens inter virum et mulierem ad filios procreandos”.

Ad filios procreandos”: teoria minimalista e teoria massimalista

I dubbi interpretativi riguardavano l’espressione “ad filios procreandos”. La teoria minimalista non riteneva necessaria la conoscenza della copula coniugale e del modo fisiologico di concepire la prole. Era sufficiente sapere, seppur in modo vago e confuso, che il matrimonio era ordinato alla prole. In questo modo era possibile distinguere l’unione coniugale da qualsiasi altro negozio giuridico [6].

La teoria massimalista affermava invece che i coniugi dovevano essere consapevoli, anche se con poca chiarezza, che l’oggetto matrimoniale richiedeva anche l’incontro carnale tra gli sposi [7]. Oltre le due teorie si era delineata anche una posizione media, detta tradizionalista. Questa tesi riteneva che la conoscenza, anche non specifica, di una certa cooperazione fisica nel concepimento dei figli consentisse la distinzione tra semplice amicizia e consenso matrimoniale [8].

Intelletto e volontà nella conoscenza del matrimonio canonico

Il can. 1082 andava letto contestualmente al can. 1081, secondo il quale il consenso matrimoniale era l’atto per cui i nubenti, vicendevolmente, scambiavano lo ius in corpus perpetuum et exclusivum. Secondo alcuni il can. 1082 definiva l’oggetto dell’intelletto (società permanente tra un uomo e una donna volta alla procreazione dei figli), mentre il can. 1081 disciplinava l’oggetto della volontà [9]. Altri invece ritenevano che la conoscenza di uno degli elementi di un determinato oggetto consentiva di volere anche quelli non conosciuti [10].

Pertanto, intelletto e volontà, quali elementi di formazione del consenso matrimoniale, erano ritenuti intimamente congiunti, in quanto concorrevano al medesimo atto. L’analisi del rapporto tra intelletto e volontà, alla luce del dettato codicistico che disciplinava l’oggetto del consenso, ha indotto a ritenere che il contenuto minimo della conoscenza richiesta dal Legislatore al can. 1082 aveva ad oggetto la società permanente di corpi e di vita, tra uomo e donna, volta alla procreazione dei figli. Tale modello risultava dunque compatibile con quello previsto dalla Chiesa, anche se nei contraenti mancava la conoscenza esatta degli effetti di tale vincolo, ossia l’unità e l’indissolubilità.

Tale carenza non inficiava dunque la validità del consenso manifestato in quanto, pur formatosi in modo imperfetto, era idoneo a garantire una corrispondenza tra volontà interna e relativa manifestazione esterna, nonché una compatibilità rispetto al modello legale [11]. La definizione legislativa della conoscenza minima era dunque finalizzata alla tutela del valore sociale e teologico dell’istituto matrimoniale.

Note

[1] P.J. VILADRICH, Il consenso matrimoniale, EDUSC, Roma, 2019, p. 69 ss.

[2] J.G. MARTÍNEZ DE AGUIRRE, El matrimonio invertebrado, Rialp, Madrid, 2012, p. 45.

[3] H. FRANCESCHI, Natura e cultura nel matrimonio, in Ius Ecclesiae, 3, 2017, p. 575 ss.

[4] G. D’ANNIBALE, Summula theologiae moralis, vol. III, tract. VI, De matrimonio, Typographia Polyglotta, Roma, 1892, p. 433 ss.

[5] R. BIGADOR, Circa ignorantiam naturae matrimonii, in Periodica de re canonica, 2, 1940, p. 269 ss.

[6] A. BOGGIANO PICO, Il matrimonio nel diritto canonico, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1936, p. 314 ss.

[7] A.C. JEMOLO, Il matrimonio nel diritto canonico, Giuffré, Milano, 1941, p. 239 ss.

[8] F. LORENC, De ignorantiae influxu in matrimoniali consensu, in Apollinaris, 2, 1953, p. 374 ss.

[9] P. GISMONDI, Il diritto della Chiesa dopo il Concilio, Giuffré, Milano, 1973, p. 181 ss.

[10] A. DE LA HERA, El supuesto de hecho del c. 1082 § 1: “Ignorata natura matrimonii”, in Ius Canonicum, 4, 1964, p. 552 ss.

[11] V. PARLATO, Osservazioni sul significato del can. 1082, in Ius Canonicum, 1, 1972, p. 340 ss.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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