Johann Friedrich Overbeck, il fidanzamento della Vergine Maria, 1835, museo nazionale, Poznan
Promessa di matrimonio e sponsali nell’ordinamento canonico secondo i cann. 1062 del CIC e 782 del CCEO
Il matrimonio cristiano per la sua stessa natura non solo religiosa, ma anche giuridica e sociale, occupa un posto di prim’ordine nella vita della Chiesa ed è per questo che l’ordinamento canonico ha accolto e disciplinato nel proprio ambito l’istituto giuridico degli sponsalia o promessa di matrimonio. La celebrazione del matrimonio, infatti, può essere preceduta da un tempo, spesso chiamato fidanzamento, caratterizzato da promesse di matrimonio che i nubendi si possono scambiare. Si tratta di un’usanza molto antica che era già praticata dagli Ebrei, dai Greci, dai Romani e da altri popoli, e che la Chiesa antica non ha mancato di assumere nella propria prassi pastorale e giuridica, spogliandola però di ogni superstizione e dando ad essa un rilievo e un significato di carattere cristiano e religioso [1].
È bene, anche, ricordare che gli sponsali hanno perso molta della loro importanza nel contesto dell’attuale cultura occidentale, ed anzi in alcuni casi sono pressoché caduti in disuso. Tuttavia appare opportuno che ad un negozio giuridico così rilevante come il matrimonio si faccia precedere un tempo di particolare impegno che ne faccia emergere la fondamentale importanza [2]. In modo particolare analizzeremo brevemente la disciplina dettata per la Chiesa latina e quella per le Chiese orientali.
La promessa di matrimonio nel CIC del 1983
La promessa di matrimonio è disciplinata al can. 1062, e può essere definita, nell’ambito del diritto canonico, come l’istituito mediante il quale un uomo e una donna con una reciproca e libera promessa di matrimonio si impegnano a contrarre matrimonio in un tempo futuro [3].
La promessa unilaterale e/o bilaterale
La promessa di matrimonio può essere sia unilaterale che bilaterale: a) unilaterale se fatta da una sola persona che si vincola in favore di un’altra; quest’ultima, poi, è semplicemente chiamata ad una libera accettazione; b) bilaterale se l’impegno delle parti è reciproco [4].
Legislazione di diritto meramente ecclesiastico e competenza delle Conferenze episcopali
Inoltre il can. 1062 rinvia per una sua disciplina più specifica alle norme che le Conferenze episcopali nazionali [5] possono stabilire per le chiese e i territori particolari di propria competenza, e nel rispetto di eventuali consuetudini e leggi civili. Da ciò discende anche l’ovvia constatazione che la legislazione che riguarda la promessa di matrimonio sia di diritto meramente ecclesiastico e non anche di diritto divino.
Due aspetti fondamentali della promessa di matrimonio
Il can. 1062, §2 stabilisce due importanti principi: a) innanzitutto dalla promessa di matrimonio non può mai scaturire alcuna azione volta a esigere la celebrazione del matrimonio promesso: il matrimonio, infatti, sarebbe invalido per difetto di consenso, mancando la necessaria libertà dell’inadempiente alla promessa [6]; b) in secondo luogo viene concessa la possibilità di agire in giudizio per la riparazione degli eventuali danni sorti dalla mancata celebrazione del matrimonio.
L’emissione valida della promessa, soggetta alle stesse condizioni richieste per il consenso matrimoniale
Nulla, poi, è detto dal canone in modo specifico riguardo alla capacità dei promittenti. Tuttavia, siccome la promessa di matrimonio è volta alla celebrazione del matrimonio, è chiaro che valgono anche per essa le norme e i principi previsti per la validità del consenso matrimoniale (cf. cann. 1095-ss.) [7].
Ne consegue che non possono emettere promessa di matrimonio coloro che mancano del sufficiente uso di ragione; coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da prestare e accettare reciprocamente; o ancora coloro che per cause di natura psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio [8].
Inoltre – tra le altre cose – la promessa non dev’essere viziata da errore sostanziale (can. 1097), timore grave (can. 1103), dolo (can. 1098) o violenza (cann. 125, §1 e 1103) [9]. Ancora la promessa di matrimonio dev’essere fatta avendo un’adeguata conoscenza della natura del matrimonio e degli obblighi che esso comporta (can. 1096) [10]. Infine nel foro esterno la promessa di matrimonio, fatta legalmente con le debite formalità, si presume valida finché non si dimostri il contrario [11].
Vincolo di coscienza, risarcimento del danno e carattere risolutivo
Riguardo agli effetti la promessa di matrimonio, se fatta in modo formale e secondo i requisiti previsti dal diritto [12], vincola in coscienza il promittente, il quale è tenuto ad adempierla, tranne nel caso in cui ci sia un motivo grave. Tuttavia, tenendo presente la natura del matrimonio e poiché come abbiamo detto nessuno può essere costretto ad adempiere ed osservare la promessa fatta, l’unica conseguenza giuridica per il mancato adempimento degli sponsali sarà essere costretti a riparare i danni colpevolmente prodotti nel caso in cui – senza giusto motivo – ci si sia rifiutati di contrarre il matrimonio promesso oppure si sia dato all’altra parte giusto motivo per rompere il fidanzamento [13]. Inoltre, l’azione per il risarcimento dei danni non può sospendere la celebrazione del matrimonio che la parte colpevole intenda contrarre con altra persona [14].
Da ultimo è bene ricordare che il fidanzamento nell’ordinamento canonico, a differenza del matrimonio, può essere sciolto per diversi giusti motivi: decisione comune delle parti; insorgenza di un grave motivo che impedisca il matrimonio; il sopraggiungere di una grave malattia soprattutto se è mentale; sensibile cambiamento delle circostanze; inadempienza di una condizione apposta alla promessa; una delle parti abbia intenzione di abbracciare la vita religiosa o sacerdotale; convinzione che l’eventuale matrimonio non avrà un corso felice; ecc. [15].
Gli sponsali nel CCEO: prassi più radicata e con maggior rilevanza rituale e liturgica
Il CCEO disciplina gli sponsali al can. 782. Gi sponsali nella concezione del diritto delle Chiese orientali sono un rito vero e proprio rito che consiste nello scambio della promessa di matrimonio [16]. Da un punto di vista liturgico tale rito può essere celebrato disgiuntamente o congiuntamente al matrimonio tra le cose da premettere al matrimonio stricto sensu [17]. A tenore del canone gli sponsali sono retti dal diritto particolare di ciascuna chiesa sui iuris, ed inoltre in esso ci ricorda che si tratta di una prassi che per antichissima tradizione delle Chiese orientali si premette lodevolmente al matrimonio [18].
Tale canone, dunque, si discosta dalla normativa prevista per la Chiesa latina per il richiamo all’antica tradizione delle Chiese orientali di premettere al matrimonio gli sponsali: si tratta davvero di un’apprezzabile prassi pastorale, canonica e religiosa [19]. Anche nella disciplina generale stabilita dal CCEO si esclude la possibilità di concedere un’azione specifica in ordine all’obbligo di celebrazione del matrimonio; tuttavia, proprio per la tradizione sia canonica sia religiosa propria agli sponsali stessi, da essi scaturisce un vincolo morale contrattuale sacro [20].
Da una punto di vista liturgico è ancora interessante notare la prassi secondo cui lo scambio del consenso si compie fuori della Chiesa e precede sia il rito degli sponsali sia quello del matrimonio, i quali avvengono invece in Chiesa. Il consenso espresso, infatti, costituisce il fondamento e la condizione di esistenza sia del matrimonio sia degli sponsali, ma il prodigio sacramentale si opera per la potenza dello Spirito Santo e la mediazione del ministro sacro solo durante la benedizione del matrimonio stricto sensu.
Conclusione
Da questo breve sguardo comparativistico sulla disciplina che regge l’istituto della promessa matrimoniale, o sponsali o ancora fidanzamento, si può notare come esso stia lentamente perdendo di significatività e di rilevanza soprattutto in ambito occidentale; tuttavia tale processo sembra molto più lento nel contesto sociale e culturale delle Chiese orientali, in cui per antica tradizione e nonostante gli influssi della cultura occidentale, tale prassi rimane assai rilevante.
Cionondimeno, il matrimonio, rimane centrale per la disciplina sacramentale, giuridica e pastorale della Chiesa cattolica, per cui la prassi degli sponsali invece di essere relegata nell’oblio potrebbe essere riscoperta e riorganizzata come una possibilità da offrirsi in vista di una più completa e efficace preparazione al matrimonio.
Se, infatti, il matrimonio – al pari del ministero ordinato – è un sacramento al servizio della comunione della Chiesa, allora non si comprende perché per il sacerdozio si richieda una solidissima formazione umana, intellettuale, comunitaria e pastorale protratta per lungo tempo (da sei a sette anni circa), mentre in vista del matrimonio non si richieda che un breve tempo di formazione a volte neppure troppo curato. È pur vero che a differenza del sacerdozio la vita matrimoniale è realtà alla quale l’uomo e la donna sono naturalmente inclini, ma questo non toglie che esso debba essere preparato e ponderato con il dovuto impegno sia da parte dei nubendi sia da parte di coloro che ne curano la formazione.
Il fidanzamento, dunque, potrebbe essere non solo un impegno giuridico in vista del matrimonio, ma anche un vero e proprio tempo proficuo volto alla preparazione del matrimonio, accogliendo anche le suggestioni che provengo dalla tradizione antica e da quella delle Chiese orientali. Un tempo nel quale chiedere ai fidanzati una formazione umana, dottrinale e religiosa più solida e informata per giungere ad esprimere davvero un consenso pieno e libero il giorno delle nozze.
Note
[1] Chiappetta L., Il Codice di Diritto Canonico, Commento giuridico-pastorale, Vol.II, Catozzella F. (cur.), EDB, Bologna, 2011, p. 279.
[2] D’Auria A., Il matrimonio nel diritto della Chiesa, Lateran University Press, Città del Vaticano, 2007, p. 65.
[3] Chiappetta L., Il Codice, p. 279.
[4] Chiappetta L., Il Codice, p. 279.
[5] Poiché la promessa di matrimonio ha scarso rilievo pratico nell’attuale situazione socio-religiosa italiana la CEI con delibera del 23 dicembre del 1983, ha deciso di non « emanare normative particolari per le promesse unilaterali o bilaterali di matrimonio » (ECEI 3/1579). Per cui per la materia delle promesse unilaterali in Italia è necessario rifarsi alle norme contenute oltre che nel CIC 1893, a quelle del ca. 1017 del CIC 1917, alla legislazione civile (artt. 79-81 c.c.it.), e eventualmente anche alle legittime consuetudini. Chiappetta L., Il Codice, p. 280; inoltre cf. Perlasca A. – Rivella M. (cur.), Codice di Diritto canonico commentato, Ancora, Milano, 2019, p. 890.
[6] D’Auria A., Il matrimonio, p. 65.
[7] Chiappetta L., Il Codice, p. 280.
[8] can. 1095 del CIC 1983.
[9] Chiappetta L., Il Codice, p. 280.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Se la promessa, infatti, fosse emessa in modo semplicemente privato a qual cosa non avrebbe alcun valore né in foro esterno, né in foro interno.
[13] Ibidem.
[14] Ibidem.
[15] Chiappetta L., Il Codice, p. 281.
[16] Pompedda M.F., Commento al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, Pinto P.V. (cur.), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2001, p. 656.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] Salachas D., Il sacramento del matrimonio nel Nuovo Diritto Canonico delle Chiese orientali, EDB, Bologna, 2009, p. 63.
[20] Salachas D., Il sacramento, p. 65.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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