“In itinere” per una Chiesa più sinodale: i “non Vescovi” al Sinodo

non vescovi

Ancora intorno al concetto di sinodalità…

La sinodalità è un termine che si riferisce alla pratica di prendere decisioni all’interno della Chiesa attraverso un processo di discernimento condiviso tra i vescovi, il clero e i laici. Questo approccio enfatizza l’importanza della partecipazione attiva di tutti i membri della comunità ecclesiale e la costruzione di un consenso comune. La sinodalità è stata promossa dal Papa Francesco come un’opportunità per rinnovare la Chiesa e la sua missione, promuovendo un atteggiamento di ascolto reciproco e di dialogo fraterno. In altre parole, deve essere modo di vivere la comunione nella Chiesa e di rispondere alle sfide del mondo contemporaneo.

La partecipazione dei non Vescovi ai lavori assembleari

La partecipazione dei laici nell’assemblea consultiva sinodale, con diritto di voto, è un tema di grande attualità e dibattito. Ancor di più se si pensa al ruolo che le donne possono avere nel corso dell’assise. Mentre alcune voci all’interno della Chiesa sostengono l’importanza di una maggiore presenza femminile, altri sono più scettici e ritengono che sia necessaria una maggiore riflessione sul legame tra potestà sacra e potestà di giurisdizione.

In un comunicato stampa del 25 aprile scorso, il Segretario generale del Sinodo dei Vescovi, il cardinale Mario Grech, ha reso note alcune novità per l’assemblea del 2023, tra cui la partecipazione di fedeli non insigniti della dignità episcopale quali membri effettivi.

Pur senza cambiare la natura dell’organo, che rimane costituito principalmente di Vescovi, il Papa è intervenuto sulla sua composizione, prevedendo la presenza di cinque religiosi e cinque religiose, eletti dalle organizzazioni che rappresentano le Superiore e i Superiori Generali. Anteriormente, era stabilito che tali membri fossero esclusivamente chierici.

Ancora, sempre nell’ambito dei membri di nomina pontificia, sono da annoverare settanta persone, scelte da un elenco di centoquaranta fedeli non Vescovi, i quali sono previamente designati dai raggruppamenti continentali di Conferenze Episcopali.

Il Papa vuole che ci sia un’adeguata rappresentatività delle donne, che devono essere la metà dei componenti designati, e di giovani. Il criterio di scelta è la competenza ad ampio spettro delle tematiche sinodali.

La scelta 

Pur salutando positivamente l’innovazione, condotta nel solco dell’art. 2 §2 della Costituzione Apostolica Episcopalis Communio, che dispone:

§ 2. Secondo il tema e le circostanze, possono essere chiamati all’Assemblea del Sinodo anche alcuni altri, che non siano insigniti del munus episcopale, il ruolo dei quali viene determinato di volta in volta dal Romano Pontefice

si deve auspicare che l’individuazione dei soggetti chiamati a dare il proprio contributo come padri e madri sinodali sia condotta secondo un criterio che privilegi il sensus Ecclesiae.

Infatti, il rischio che potrebbe verificarsi nella fase centrale del discernimento è di avere una visione unilaterale del materiale conoscitivo raccolto nella fase preparatoria.

In altre parole, si deve scongiurare una scelta dei sacri Pastori che ricada su persone che hanno una propria idea di Chiesa, un proprio “status” all’interno della comunità ecclesiale di appartenenza, un costante impegno e, possibilmente, anche proprie aspettative (se non, addirittura, rivendicazioni) nei confronti dell’autorità. Il dubbio è che la necessità di affidarsi sempre ai medesimi soggetti – i notabiles, divenuti tali, a volte, per il decorso del tempo e non per una solida formazione cristiana – possa comportare quell’immobilismo che, invece, il Papa condanna come errore che osta all’ascolto dello Spirito. Si avrebbe una deviazione della regola benedettina del ricercare il consenso della maior et sanior pars.

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Andrea Micciché

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