La delibazione delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale: la non contrarietà all’ordine pubblico

ordine pubblico

Un breve riepilogo

Abbiamo approfondito, con lo scorso articolo, gli aspetti generali del procedimento di delibazione delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale, che è lo strumento, previsto dagli Accordi di revisione del Concordato con la Santa Sede, diretto a riconoscere gli effetti civili a una pronuncia dell’autorità ecclesiastica.

In breve, è un giudizio, che si celebra davanti alla Corte d’Appello competente per territorio, attraverso cui si valuta la sussistenza di alcuni requisiti, formali o sostanziali, della decisione di nullità: se l’esito sarà positivo, il matrimonio concordatario – in via generale, efficace sul piano canonico e sul piano secolare – sarà nullo in entrambi gli ordinamenti.

Gli effetti della delibazione

Ciò è molto importante, dal momento che la sentenza ecclesiastica riconosciuta in Italia produrrà gli stessi effetti di una sentenza di nullità matrimoniale emessa (per la verità raramente) da un giudice civile, con tutte le conseguenze sul piano personale e, soprattutto, patrimoniale: ad esempio, non è dovuto l’assegno divorzile, ma solo una più modesta corresponsione di somme periodiche di denaro, per un periodo non superiore a tre anni, al coniuge privo di redditi, oppure una congrua indennità, comprensiva del mantenimento per un periodo non superiore a tre anni, da parte del coniuge in mala fede a quello in buona fede (129 e 129-bis cod. civ.).

In questo panorama, si comprende perfettamente come possa apparire a volte più vantaggioso, per uno dei coniugi, ottenere una pronuncia di divorzio, rispetto a una delibazione di una sentenza ecclesiastica.

I cambiamenti sociali riguardanti l’istituto matrimoniale e il loro rilievo nella formazione dell’ordine pubblico

Non solo, l’accentuazione del rilievo del rapporto matrimoniale sul matrimonio-atto, cioè della vita matrimoniale rispetto alla celebrazione, ha portato l’ordinamento a valorizzare il comportamento delle parti in un momento successivo alle nozze.

La progressiva previsione di nuove forme di unioni civilmente riconosciute, nonché il superamento di una concezione giuridica del matrimonio come istituto di rilevanza pubblica, in favore di una concezione individualistica (se non addirittura contrattualistica) dei rapporti familiari, hanno contribuito a sviluppare una sempre maggior ritrosia ad accogliere i valori giuridici provenienti dal diritto canonico, che punta la propria attenzione sul matrimonio in fieri, molto più che su quello in facto esse.

Non solo, vi saranno motivi di nullità che sono immaginabili solo in un ordinamento confessionale: pensiamo agli impedimenti di disparitas cultus, di ordine sacro o di voto; vi saranno motivi di nullità basati su decisioni maturate nel foro interno del contraente; vi saranno, ancora, motivi di nullità legati alla specifica considerazione canonistica del matrimonio.

Che cosa è l’ordine pubblico?

Tutto ciò incide sulla nozione di ordine pubblico, che è l’insieme dei principî essenziali e irrinunciabili per l’Italia, per tutelare i quali i giudici devono negare il riconoscimento di decisioni provenienti da altri ordinamenti, compreso quello canonico.

Se, pertanto, una sentenza si pone contro questi valori, non potrà avere efficacia nel nostro Stato.

Le domande da porsi sono: chi enuclea il contenuto dell’ordine pubblico? Esiste una “codificazione” dell’ordine pubblico”? Sulla base di quali indici si può dire che un principio è di ordine pubblico?

Tali domande trovano risposta nel ruolo interpretativo della giurisprudenza: sono i giudici a dover ricavare dal complesso delle norme vigenti gli orientamenti, i valori, le priorità verso cui la società tende.

Il giudice diventa, così, il mediatore tra le istanze sociali e le esigenze espresse dal legislatore, facendo in modo che che i valori “altri” determinino la violazione dell’identità giuridica italiana (e, mediatamente, europea).

Naturalmente, l’ordine pubblico è soggetto a mutamenti: fino agli anni Settanta, si riteneva che fosse principio di ordine pubblico l’indissolubilità del matrimonio; fino a poco tempo fa, lo stesso si credeva della necessaria differenza sessuale tra i contraenti di unioni matrimoniali o simil-matrimoniali.

Alcuni esempi contrarietà all’ordine pubblico

In conclusione, ecco alcune delle acquisizioni giurisprudenziali consolidate in tema di sentenze di nullità matrimoniale contrarie all’ordine pubblico.

Mi limiterò ad enunciarle, lasciando gli aspetti critici al prossimo articolo.

Anzitutto, è pacifico che non possano essere delibate sentenze che dichiarino la nullità per motivi strettamente confessionali, quali la sussistenza degli impedimenti di ordine sacro, di voto, di disparitas cultus. Si tratta, infatti, per lo Stato, di limiti al ius connubii che non trovano accoglimento in un ordinamento laico, che favorisce il diritto dei singoli a unirsi in matrimonio, a prescindere dal proprio stato religioso.

Ancora, non sarà possibile delibare una sentenza che abbia dichiarato la nullità per riserva mentale, cioè di simulazione unilaterale del consenso, qualora l’altra parte non ne fosse a conoscenza. Ciò è stato richiesto per tutelare l’affidamento del coniuge in buona fede che potrebbe, eventualmente, opporsi alla delibazione e ottenere il divorzio, con condizioni in ipotesi più vantaggiose, basandosi sul fatto che prevale il consenso manifestato rispetto a quello rimasto sconosciuto.

Un temperamento di questo rigoroso orientamento si ha qualora sia provato che il coniuge in buona fede avrebbe potuto conoscere, sulla base di dati obiettivi, la situazione di simulazione e, per sua poca diligenza, non se ne sia accorto.

La convivenza ultratriennale come ostativa alla delibazione

L’ultima, e più controversa, ipotesi di contrarietà all’ordine pubblico riguarda le sentenze di nullità emesse dopo una convivenza ultratriennale delle parti, qualora abbiano costituito un’effettiva comunione di vita.

La Corte di Cassazione, dopo alcune oscillazioni, ha ricavato dal requisito della convivenza ultratriennale, previsto dal legislatore come segno di “stabilità familiare” nell’ambito della legislazione sulle adozioni, un effetto sanante dei vizi del matrimonio canonico.

Trattandosi, però, di elemento che può essere provato solo dal coniuge che si opponga alla delibazione, la giurisprudenza richiede che sia fatta valere come eccezione in senso stretto (con una serie di adempimenti e preclusioni processuali), senza che il giudice la possa rilevare d’ufficio.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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Andrea Micciché

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