Le Norme “Potestas Ecclesiae” sullo scioglimento del matrimonio “in favorem fidei”

delitti riservati

Le condizioni per scioglimento del matrimonio in favorem fidei

La Chiesa cattolica ha riconosciuto il potere del Romano Pontefice di sciogliere i matrimoni non sacramentali in favorem fidei, oltre ai casi previsti dai cann. 1148 e 1149 CIC. Attualmente, la normativa di riferimento è contenuta nelle Norme Potestas Ecclesiae del 2001 [1].

Tradizionalmente, le ipotesi trattate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede riguardano: lo scioglimento di un matrimonio dispari, validamente contratto da un acattolico con un non battezzato, senza dispensa dall’impedimento di disparità di culto[2]; lo scioglimento di un matrimonio contratto tra una parte cattolica e una non battezzata, con dispensa dall’impedimento di disparità di culto; lo scioglimento di un matrimonio tra due non battezzati.

L’art. 1 delle Norme Potestas Ecclesiae indica i presupposti per la concessione dello scioglimento in favorem fidei, che possono essere sintetizzati nella mancanza del battesimo e nell’inconsumazione.

Più precisamente, l’unione non deve essere stata consumata dopo l’eventuale battesimo di entrambi: ciò è l’ulteriore conferma dell’impossibilità di sciogliere un matrimonio rato e consumato.

Se questi requisiti sono ad validitatem, gli artt. 4 e 5 introducono altre tre condizioni, la cui presenza è necessaria per la liceità del provvedimento.

L’art. 4 prescrive che, al fine di concedere lo scioglimento del matrimonio, non sia possibile ricostituire la comunione di vita tra i coniugi e che la parte attrice non versi in colpa esclusiva o prevalente nel fallimento della coppia.

Inoltre, dal momento che lo scioglimento è concesso in favorem fidei, qualora il nuovo matrimonio sia con una parte non battezzata o battezzata non cattolica, è necessario che i nubendi dichiarino formalmente l’impegno a che la parte cattolica non corra il pericolo per la propria fede e che i figli siano battezzati ed educati secondo la religione cattolica.

Ulteriori prescrizioni concernono il divieto di chiedere nuovamente lo scioglimento, qualora esso sia stato già concesso, e, se la grazia è richiesta rispetto a un matrimonio con dispensa dall’impedimento di disparitas, sarà possibile sposarsi solo con una persona battezzata.

Aspetti procedurali alla luce delle Norme Potestas Ecclesiae

Il procedimento delineato dalle Norme Potestas Ecclesiae si divide in due fasi: una istruttoria, condotta a livello diocesano o eparchiale, e una decisionale, spettante al Pontefice.

Con riguardo all’istruttoria, è possibile incardinare il procedimento anche davanti al vescovo della diocesi o eparchia in cui è stata vissuta maggiormente la vicenda matrimoniale o dove si trovino più testimoni.

L’iter amministrativo prende avvio con la supplica o petitio di parte oratrice, indirizzata al Romano Pontefice e consegnata al Vescovo diocesano o eparchiale.

Tra gli elementi essenziali della petitio vi è l’indicazione delle generalità delle parti coinvolte, la descrizione della fattispecie matrimoniale contratta e il motivo del divorzio o separazione; inoltre, si dichiara la presenza o meno dei figli e si espone la situazione attuale; infine, si enuncia il petitum, cioè la grazia dello scioglimento del matrimonio contratto, per contrarre o convalidare un nuovo matrimonio.[3]

Sono allegati alla supplica: l’atto di matrimonio; l’atto del divorzio o separazione; il certificato di battesimo della parte eventualmente battezzata al tempo del matrimonio e della parte che si intende sposare; le liste testimoniali.

La fase istruttoria è diretta, da un lato, a promuovere, quando possibile, la riconciliazione dei coniugi, e, dall’altro, a raccogliere il materiale probatorio, che confermi la sussistenza dei requisiti per ottenere lo scioglimento.

A tal fine, è costituito il tribunale diocesano ed è nominato dal vescovo un istruttore e il difensore del vincolo.[4]

L’istruttore interroga i coniugi e dispone la citazione dei testi; acquisisce i documenti necessari; raccoglie ogni informazione utile sull’educazione religiosa dei figli, sullo stato di vita dell’altra parte, sull’eventuale battesimo della parte pagana e sulla coabitazione delle parti dopo il rispettivo battesimo.[5]

L’istruttore chiude con decreto questa fase, senza che siano pubblicati gli atti[6], e ne cura la trasmissione al vescovo, allegandovi la propria relazione e quella del difensore del vincolo.

Il Vescovo formula un proprio votum, nel qualue precisa il parere sulla concessione della grazia.

Ultimata la fase istruttoria, la decisione passa alla Congregazione per la Dottrina della Fede[7], più precisamente, all’Ufficio Matrimoniale in essa costituito.

L’esame dell’Ufficio Matrimoniale, inizialmente, si appunta sulla completezza dell’istruttoria; se è positivo, interviene con proprie osservazioni il difensore del vincolo della Congregazione.

Infine, la causa è valutata da tre commissari, i quali espongono i propri vota all’Ufficio riunito in seduta comune.

La decisione può essere: negativa, di trasmissione degli atti al vescovo per un supplementum instructorium, di trasmissione delle questioni al Congresso o alla Consulta della Congregazione stessa per la risoluzione di questioni rispettivamente procedurali o dottrinali, o di accoglimento (pro gratia).

Se è formulato il parere pro gratia, gli atti sono inviati al Santo Padre, che provvederà definitivamente sulla grazia, solitamente nell’udienza al Prefetto o al Segretario della Congregazione.

Concesso il rescritto pontificio, le parti lo riceveranno per il tramite del vescovo.

Note bibliografiche

[1] Per una nota storica sulle origini dell’istituto e sulle differenti discipline, cfr. la Praefatio alle Norme Potestas Ecclesiae, nonché l’Appendice I a L. Sabbarese-E. Frank, Scioglimento in favorem fidei del matrimonio non sacramentale. Norme e procedura, Urbaniana University Press, Roma 2010, pp. 107-115. Una completa disamina della disciplina può essere rinvenuta in F. Gravino, La procedura per lo scioglimento del matrimonio non sacramentale “in favorem fidei”, in Diritto e religioni, n. 2/2014, pp. 25-54.

[2] Si segnala che, con il Codice pio-benedettino del 1917, è stato ridotto il campo di applicazione dell’impedimento della disparitas cultus ai soli battezzati cattolici, pertanto, mentre in precedenza queste ipotesi erano trattate sub specie nullitatis, ora l’unico rimedio è lo scioglimento in favorem fidei.

[3] Devono essere indicate le generalità del nubendo nel nuovo matrimonio, a pena di inammissibilità della domanda; rispetto a una domanda priva dell’indicazione della pars desponsa nemmeno è costituito il tribunale diocesano.

[4] Il vescovo stesso può riservare a sé l’istruzione (art. 11 Norme Potestas Ecclesiae), ma dovrà essere sempre assistito dal difensore del vincolo, che ha il compito di individuare se e quali siano i motivi ostativi alla concessione della grazia.

[5] La fase istruttoria è disciplinata negli articoli da 12 a 23 delle Norme Potestas Ecclesiae.

[6] Ciò in quanto si tratta di un procedimento amministrativo e non di un processo contenzioso (cfr. art. 23 Norme Potestas Ecclesiae).

[7] Competente, ai sensi dell’art. 53 della Costituzione Pastor Bonus, a “cognoscere, tum in iure tum in facto, quae privilegium fidei respicuit”.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)

 

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Andrea Micciché

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