Distinzione tra Ordine sacro e stato clericale

ordine sacro

Ordine sacro e stato clericale, che differenza c’è?

Sovente nell’errato sentire comune dei fedeli, l’Ordine sacro e lo stato clericale risultano due realtà unite se non addirittura due facce della stessa medaglia. È bene allora cercare di fare un po’ di ordine e chiarire alcuni aspetti fondamentali sull’argomento.

L’Ordine sacro è un sacramento, il quale una volta validamente ricevuto, non può essere cancellato da nessuna autorità umana sulla terra. È un sigillo dello Spirito Santo che nessuno può cancellare e che conferisce un carattere spirituale indelebile che non può essere ripetuto o conferito per un tempo limitato [1]. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, circa gli effetti del sacramento dell’Ordine dice: «Questo sacramento configura a Cristo in forza di una grazia speciale dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la sua Chiesa. Per mezzo dell’ordinazione si viene abilitati ad agire come rappresentanti di Cristo, Capo della Chiesa, nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re» [2].

Un breve accenno alla teologia del sacramento

Senza voler trattare nel dettaglio la natura teologica del sacramento dell’Ordine sacro, cosa che non possiamo fare in maniera approfondita in questa sede e che rimandiamo al proprio approfondimento personale, l’Antico Testamento, ci dice il modo di intendere il sacerdozio presso il popolo ebraico, facendo riferimento al sacerdozio levitico il quale risulta essere analogo al sacerdozio ministeriale cristiano pur non condividendone la natura, in quanto il sacerdozio del Nuovo Testamento affonda le sue radici nel sacerdozio di Cristo. Ne abbiamo un esempio nelle preghiere di ordinazione, le quali sono vere e proprie epiclesi, preghiere che domandano l’invio dello Spirito Santo sul candidato, segno chiaro che la Chiesa ha piena coscienza che questi ministeri non si ricevono per deputazione, bensì tramite un rito di ordinazione sacramentale. È Gesù stesso che trasmette il suo sacerdozio per il tramite del dono dello Spirito Santo.

La suddivisione in gradi

Il sacramento dell’Ordine è poi diviso in tre gradi: diaconato, presbiterato ed episcopato. Pur essendo chiaro che il sacramento dell’Ordine imprime un carattere [3] indelebile, inteso come ontologica partecipazione ai tria munera Christi (regendi, sanctificandi e docendi) non è altrettanto chiaro come questo carattere si dispieghi nei tre gradi del sacramento. Infatti il Concilio Vaticano II non affronta de facto la questione, che neppure il Concilio di Trento volle direttamente affrontare, per cui non dice il Concilio se il diaconato imprima il carattere, anche se dice espressamente che esso fa parte della gerarchia del sacramento ed è certamente un ministero sacro, come afferma tutta la tradizione occidentale e orientale.

Sembra che si debba intendere l’episcopato, che comporta la plenitudo sacramenti ordinis, come la massima partecipazione al sacerdozio di Cristo, rimanendo i presbiteri ed i diaconi ciascuno in una forma inferiore di partecipazione, organizzata in discendenti gradi gerarchici. Mentre i presbiteri condividono con il Vescovo il carattere sacerdotale, i diaconi ne sono privi, in quanto ordinati ad ministerium, non ad sacerdotium, infatti, il sacerdozio è in stretta correlazione con il potere di celebrare l’Eucarestia.

Lo stato clericale e la sua natura meramente giuridica

Lo stato clericale invece, per la stessa genesi del termine è uno stato che il fedele acquista, il quale perdura fintanto che vi sono le condizioni personali e/o comunitarie e attiene a qualcosa di meramente giuridico, eppure strettamente connesso al sacramento dell’Ordine. Pertanto, è possibile perdere lo stato clericale, contrariamente al sacramento dell’Ordine, il quale una volta validamente ricevuto non può più essere cancellato.

Note

[1] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 2012, n. 1582. A tal proposito si vedano anche: Concilio di Trento, Sess. 23ª, Dottrina de sacramento Ordinis, can. 4, in DS 1767; Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 21, in AAS 57 (1965), p. 25; Ibid., n. 28, in AAS 57 (1965), p. 34; Ibid., n. 29, in AAS 57 (1965) p. 36; Id., Decr. Presbyterorum ordinis, n. 2, in AAS 58 (1966), p. 992.

[2] CCC, Città del Vaticano 2012, n. 1581.

[3] Fu papa Innocenzo III, seguendo la dottrina di Sant’Agostino a stabilire che l’azione sacramentale imprime il carattere, se non ostacolata dall’azione di una volontà contraria che si oppone. Vd. Innocenzo III, lettera all’Arcivescovo di Arles, del 1201, in DS 781.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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