La violazione del sigillo sacramentale can. 1386 §1

Sigillo sacramentale
Giuseppe Molteni, La confessione, 1838, Gallerie d’Italia, Milano

Il sacramento della Penitenza (can. 959)

Il canone introduttivo del Titolo IV, Libro IV, Parte I, del vigente Codice di Diritto Canonico, riproponendo il contenuto del precedente can. 870 CIC/1917, ampliandolo e modificandolo [1], attualmente recita:

«Nel sacramento della penitenza i fedeli, confessando i peccati al ministro legittimo, essendone contriti ed insieme avendo il proposito di emendarsi, per l’assoluzione impartita dallo stesso ministro ottengono da Dio il perdono dei peccati, che hanno commesso dopo il battesimo e contemporaneamente vengono riconciliati con la Chiesa che, peccando, hanno ferito».

Il «sigillo» sacramentale (can. 983 §1)

Il contenuto del dialogo tra il penitente, che accusa i peccati commessi, e il sacerdote, che amministra il sacramento della riconciliazione, è sotto sigillo assolutamente «inviolabile» dal confessore a norma del can. 983 §1 CIC – e ciò dal momento in cui viene tracciato il Segno della Croce sino al termine della confessione, conclusa con o senza l’assoluzione sacramentale [2] – al fine di tutelare la libertà di coscienza del fedele e salvaguardare la santità del sacramento istituito da Cristo (Gv 20, 22-23).

In effetti, proprio il diritto divino rivelato e la stessa natura del sacramento impongono l’inviolabilità del sigillo, che non ammette eccezione alcuna, né in ambito ecclesiale né in quello civile. Invero, nessun potere umano ha giurisdizione su di esso, né può in qualche modo rivendicarla [3].

D’altronde, il confessore viene a conoscenza dei peccati del penitente «non ut homo, sed ut Deus – non come uomo, ma come Dio», al punto che «egli semplicemente “non sa” ciò che gli è stato detto in sede di confessione, perché non l’ha ascoltato in quanto uomo ma, appunto, in nome di Dio». Per questo il sacerdote potrebbe anche «giurare, senza alcun pregiudizio per la propria coscienza, di “non sapere” quel che sa soltanto in quanto ministro di Dio» [4].

Proibizioni a tutela dell’inviolabilità

Per tali ragioni, il can. 983 §1 CIC stabilisce che non è assolutamente lecito al confessore svelare, anche soltanto parzialmente, con parole o in qualsiasi altro modo, direttamente o indirettamente, e per qualunque motivo quanto il penitente gli ha riferito durante la confessione sacramentale. L’obbligo non è dispensabile, è sottratto alla disponibilità del penitente e del ministro, e non viene mai meno neanche con il trascorrere del tempo.

Ne consegue che a norma del can. 984 §1 CIC, al confessore è perfino proibito far uso delle conoscenze acquisite attraverso il sacramento della riconciliazione, con pregiudizio del penitente, anche se resti escluso qualsiasi pericolo di rivelazione. Il medesimo canone, al §2, vieta inoltre a colui che è costituito in autorità di avvalersi, «in nessun modo per il governo esterno», di notizie di peccati che in qualsiasi tempo abbia avute in confessione.

Al fine di evitare di portare a livello di governo quanto conosciuto in sede sacramentale, il successivo can. 985 CIC dispone che il maestro dei novizi, il suo aiutante e il rettore del seminario o di un qualsiasi altro istituto di educazione non ascoltino le confessioni degli alunni che dimorano nella stessa casa. A tutela del segreto sacramentale, il can. 240 §2 CIC proibisce, inoltre, di chiedere il parere «del» direttore spirituale e «del» confessore in occasione della ammissione degli alunni agli ordini sacri o della loro dimissione dal seminario.

In ambito processuale, infine, il can. 1550 §2 CIC considera il confessore “teste incapace” che non può essere ammesso a testimoniare, neppure nel caso in cui sia lo stesso penitente a richiedere la sua deposizione nel processo canonico.

La violazione del sigillo sacramentale (can. 1386 §1)

La normativa canonica considera la violazione del sigillo sacramentale un “delitto proprio del confessore” che obbliga l’autorità ecclesiastica a dichiarare o irrogare nei suoi confronti sanzioni penali a norma del diritto.

Il sigillo sacramentale si considera violato allorquando il confessore (Vescovo o presbitero), anche se sprovvisto delle facoltà di confessare, perché mai concesse o perché ne sia stato privato [5], volontariamente svela a terze persone «una materia conosciuta in confessionale» a cui il penitente si accosta per ottenere l’assoluzione dei peccati [6].

Significativo è stato il contributo della dottrina volto a precisare il contenuto del sigillo. Esso comprende «tutti i peccati sia del penitente che di altri conosciuti dalla confessione del penitente, sia mortali che veniali, sia occulti sia pubblici, in quanto manifestati in ordine all’assoluzione» [7]. Vi rientrano inoltre «le circostanze della colpa dichiarate in confessione, come l’occasione, il fine, il luogo, il tempo, le modalità, nonché le circostanze della confessione stessa, come potrebbero essere la gravità o meno della penitenza imposta o il diniego dell’assoluzione; evidentemente anche il nome ed il peccato del complice» [8].

Tipologia delle violazioni del sigillo

Il can. 1386 §1 CIC tipizza i delitti di violazione diretta e di violazione indiretta del sigillo sacramentale.

La violazione è diretta quando il confessore rivela a terzi il peccato accusato in confessione e il nome del peccatore che l’ha commesso. Egli incorre nella scomunica latae sententiae riservata al Dicastero per la Dottrina della Fede, fatta salva la competenza della Penitenzieria Apostolica.

La violazione è invece indiretta se, dalle parole o dai gesti manifestate dal confessore, e dalle circostanze che egli palesa, gli altri possono dedurre o sospettare in qualunque modo l’identità del penitente e il peccato da lui commesso. In tal caso, il confessore non è punito con la censura latae sententiae, ma con una pena proporzionata alla gravità del delitto stabilita dall’autorità competente [9].

Nei prossimi contributi saranno approfondite altre fattispecie criminose che parimenti attentano la santità del sacramento della Penitenza.

Note

[1] E. FRANK, I sacramenti dell’iniziazione, della penitenza e dell’unzione degli infermi. Commento ai canoni 834-1007 del Codice di Diritto Canonico, Urbaniana University Press,  Città del Vaticano 2018, p. 156.

[2] Cf. FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al 32° Corso sul Foro Interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica (25 marzo 2022).

[3] Cf. FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al XXX Corso sul Foro Interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica (29 marzo 2019).

[4] Nota della Penitenzieria Apostolica sull’importanza del Foro Interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale, 29 giugno 2019, firmata dal penitenziere maggiore, il Card. Mauro Piacenza, e dal reggente, Mons. Krzysztof Nykiel, approvata da Papa Francesco in data 21 giugno 2019.

[5] Communicationes, a. 1984, 1340

[6] G.P. MONTINI, La tutela penale del sacramento della penitenza. I delitti nella celebrazione del sacramento (Cann. 1378; 1387; 1388), in GRUPPO ITALIANO DOCENTI DI DIRITTO CANONICO (a cura di) Le sanzioni nella Chiesa, Ed. Glossa, Milano 1997, p. 227.

[7] V. DE PAOLIS-D. CITO, Le sanzioni nella Chiesa. Commento al Codice di Diritto Canonico. Libro VI, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2000, p. 345.

[8] K. NYKIEL, Il sigillo confessionale in prospettiva canonica, in K. NYKIEL-P. CARLOTTI-A. SARACO (a cura di) Il sigillo confessionale e la privacy pastorale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015, p. 47. In ordine alla penitenza imposta, si veda E. MIRAGOLI, Il sigillo sacramentale, E. Miragoli (ed.), Il sacramento della penitenza. Il ministero del confessore: indicazioni canoniche e pastorali, Ed Ancora, Milano 2015, p. 159, nota n. 10.

[9] DICASTERO PER I TESTI LEGISLATIVI, Le sanzioni penali nella Chiesa sussidio applicativo del Libro VI del Codice di Diritto Canonico, libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2023, p. 147.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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