Il testimone nel processo canonico

Un’aula del Tribunale Vaticano – Archivio Ansa / L’Osservatore Romano

Dopo aver esaminato l’evoluzione storica del processo penale canonico QUI, trattiamo oggi una delle figure di primo piano nel processo canonico, il testimone. Il testimone giudiziale indica una persona estranea alla controversia e al tribunale che è chiamata in giudizio per deporre sopra i fatti oggetto del processo. La testimonianza, perciò, è l’insieme delle affermazioni rese dal testimone in giudizio e in ossequio alle formalità stabilite dalla legge.

La prova testimoniale fu il tipo di prova più importante fino a quando, con la scoperta della scrittura, fu soppiantata dalla prova documentale.
La prova tramite testimoni è più complessa, più costosa, facilmente viziabile e può essere indebolita da tante circostanze. Il fondamento della prova testimoniale è la presunzione di veridicità verso chi ha percepito direttamente i fatti di cui riferisce in giudizio. Ma si tratta di semplice presunzione; molto dipende in concreto dai singoli testimoni.

Secondo la tipologia più comune, esemplificata in dottrina, i testi possono essere:
– pubblici, se depongono ratione officii;
privati: se depongono a titolo personale (anche se le persone pubbliche possono deporre come privati, quando non agiscono per cose d’ufficio);
– de scientia, se depongono per aver conosciuto direttamente i fatti;
– de credibilitate, se depongono circa la credibilità dei testi;
– de auditu, se sentirono con il proprio orecchio quanto depongono;
– de visu: se videro con i propri occhi il fatto riportato in giudizio.

Ma chi può essere testimone? Il principio generale è che «tutti possono essere testimoni, a meno che non siano, in tutto o in parte, espressamente riprovati dal diritto» (can. 1549). Il termine “testimone” va inteso anzitutto in senso stretto come colui che è chiamato a deporre, dopo che il giudice ne ha ordinato l’escussione; e poi anche nel senso di testimone spontaneo, dopo che il giudice lo abbia ammesso per la deposizione.

Le persone escluse dalla testimonianza

Non possono però essere testimoni i minori di 14 anni e i deboli di mente, a meno che il giudice con decreto ne ordini l’escussione, in quanto ritenuta opportuna. Sono ritenuti incapaci di testimoniare le parti in causa o i loro legittimi rappresentanti, i giudici e i loro assistenti, l’avvocato e coloro che assistono o hanno assistito le parti nella stessa causa, i sacerdoti tenuti al sigillo sacramentale senza eccezione alcuna (can. 1550).

L’obbligo di comparizione

Il teste legittimamente citato ha l’obbligo di comparire (can. 1557). L’obbligo di comparizione o di giustificare la propria assenza in giudizio si fonda sul fatto che l’amministrazione della giustizia riveste carattere pubblico; ciò vale specialmente nelle cause penali e nelle altre che riguardano il bene pubblico. Nel caso in cui un teste né si presenta né si giustifica, il giudice teoricamente potrebbe comunque comminare sanzioni. L’impostazione squisitamente pastorale del Codice di Diritto Canonico del 1983, nel quale sono cadute le sanzioni previste al can. 1766 § 2 del Codice del 1917  suggerisce di limitarsi ad insistere e a interpretare il significato di tale omissione, ai sensi del can. 1531 § 2.

L’escussione dei testimoni

L’escussione dei testimoni è individuale, avviene separatamente affinché si eviti che si influenzino reciprocamente nell’atto di deporre. Tuttavia, in caso di grave discordanza il giudice potrà ordinare il confronto, con le debite cautele atte ad evitare dissidi e scandalo (can. 1560). Va precisato che di per sé il confronto nel giudizio contenzioso è pur sempre una forma straordinaria di esame; nelle cause penali, invece, appare una forma più ordinaria. Solo il giudice propone le domande, un suo delegato o il giudice uditore. Ed è ancora lui che detta le risposte al notaio. Tutti gli altri che sono presenti all’esame possono proporre domande solamente tramite il giudice. La legge particolare, tuttavia, può permettere che siano altri a proporre le domande direttamente al teste (can. 1561) .

L’interpretazione del giudice

Nell’ambito del diritto probatorio, il compito più difficile affidato al giudice consiste nel proporre una interpretazione giusta, in vista della risoluzione, della forza probante delle testimonianze. Questo è l’impegno per eccellenza del giudice: valutare come il teste abbia ottenuto i dati di sua conoscenza e le qualità personali dello stesso.
Vi sono due modi per giudicare la forza probante delle prove testimoniali:
metodo legale, quando la valutazione principale è affidata al legislatore;
metodo discrezionale, quando la valutazione principale è affidata alla libera discrezionalità del giudice. Il Codice di Diritto canonico preferisce tuttavia dare una certa priorità alla discrezionalità del giudice.

 

Note bibliografiche

L. Sabbarese, Manuale di Diritto Canonico. Analisi di Principi generali, Istituti e Problematiche dottrinali e giurisprudenziali, ed. NelDiritto Editore, Lecce 2021, 546-549.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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Maria Cives

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