Vita eremitica o anacoretica: approfondimento del can. 603

603
Francesco Hayez, Pietro Eremita che cavalca il mulo bianco, 1827, collezione privata

Il canone 603 è disciplinato nelle Norme comuni a tutti gli IVC, anche se non si occupa di disciplinare Istituti bensì delle forme personali di consacrazione. Nello specifico tratta la forma eremitica che è di colui che decide di vivere una speciale consacrazione a Dio in una più rigorosa vita di solitudine, di ascesi e di preghiera; e l’anacoreta è colui che vive un rigore ancora maggiore di ascesi e solitudine.

Can. 603 – §1. Oltre (praeter) agli istituti di vita consacrata, la Chiesa riconosce (agnoscit) la vita eremitica o anacoretica con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine, nella assidua preghiera e penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo.
§2. L’eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata se professa pubblicamente i tre consigli evangelici, confermandoli con voto o con altro vincolo sacro, nelle mani del Vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva il programma di vita che gli è propria.

CIVCSVA, Orientamenti La forma di vita eremitica nella Chiesa particolare (2021)

«Il can. 603 formula una sapiente sintesi teologica ed ecclesiale delle caratteristiche fondamentali della vita eremitica (…). Offre uno statuto giuridico ai fedeli che desiderano abbracciare questa particolare vocazione senza appartenere ad un Istituto di vita consacrata, sebbene ammetta la possibilità di una vocazione alla vita consacrata nella forma eremitica»[1].

Nel primo paragrafo il CIC esplicita vari elementi che caratterizzano l’essenza di questa forma di vita. Essa è collocata “oltre-praeter” le altre forme istituzionali e la Chiesa “agnoscit” tale forma di vita. Essa è diretta in modo specifico alla lode di Dio e alla salvezza del mondo. Questa modalità di vita richiede una rigorosa separazione dal mondo: l’eremita o l’anacoreta sono coloro che decidono liberamente di vivere una vita profondamente solitaria.

Qui la separazione dal mondo è intesa in senso profondamente radicale. Ciò può essere evidenziato da un confronto tra il contenuto di questo paragrafo e il can 607 § 3 per gli IR che sostiene che:

“La testimonianza pubblica che i religiosi sono tenuti a rendere a Cristo e alla Chiesa comporta quella separazione dal mondo che è propria dell’indole e delle finalità di ciascun istituto”.

Il can. 603 §1 sostiene invece una rigorosa separazione dal mondo, questa diventa quindi elemento imprescindibile, fondante, radicale, che apre alla comprensione dei successivi elementi enunciati che concretizzando il modus vivendi dell’eremita: come la necessità del silenzio, della assidua preghiera e penitenza. Emerge che l’apostolato dell’eremita è un apostolato ascetico. A questa forma di vita hanno fatto riferimento i Padri del Deserto.

Il riconoscimento di tale forma di vita

Attualmente, questa forma di vita consacrata per poter essere “riconosciuta” (cfr. 603 §2) dal diritto ha bisogno di concretizzarsi mediante una professione pubblica dei tre consigli evangelici, mediante un atto liturgico pubblico. Non essendo presente alcun “superiore” religioso che accolga tale pubblica professione sarà accolta dal Vescovo diocesano. La professione dei consigli può essere fatta in forma di “voto” o con diversi vincoli sacri. L’eremita necessita inoltre di una ratio vivendi, cioè di un “programma” di vita personale da doversi seguire nelle giornate:

«Un progetto di vita o propositum che presenti, in modo sobrio ed essenziale, gli elementi spirituali e normativi della specifica identità vocazionale (…) il testo piò essere elaborato nella forma di uno statuto, regolamento o progetto di vita, ed è pensato per custodire il dono della vocazione ricevuto dal Signore»[2].

Molto importante è la regolamentazione di come l’eremita deve vivere la povertà, mediante una regolamentazione di essa che stabilisca come deve rendere conto della propria gestione economica al Vescovo, e generalmente l’eremita vive mediante un lavoro compatibile con la scelta. Questo programma deve essere approvato dal Vescovo, poiché il riconoscimento ecclesiale implica l’accoglienza nella Chiesa particolare, attraverso la conferma, la direzione e l’accompagnamento, da parte del Vescovo diocesano, a cui l’eremita riserva una filiale obbedienza e rispetto. Si comprende, allora, quanto tale consacrazione sia innestata nella Chiesa particolare:

«Sono i pastori delle Chiese particolari, consapevoli di doverla custodire nella sua autenticità e accompagnare nel suo sviluppo»[3].

Nella stesura del programma è bene chiedere il supporto di persone esperte e per garantire una solidità e certezza di vivibilità di esso è bene ricorrere ad una prima fase ad experimentum[4].

Alcune tipologie

 Anche se le tipologie di eremiti del contesto ecclesiale attuale sono di vario tipo:

Chierici e laici sodali: di vita eremitica o semi-eremitica regolati dal diritto universale e proprio; di IVC monastici o apostolici;

Chierici e laici fedeli: che conducono vita eremitica senza professare consigli; che professano i consigli nelle mani del Vescovo[5].

Note

[1]CIVCSVA, Orientamenti La forma di vita eremitica nella Chiesa particolare, Ponam in deserto viam (Is 43,19) LEV, Città del Vaticano 2021, 15.

[2] CIVCSVA, Orientamenti La forma di vita eremitica nella Chiesa particolare, 51.

[3] Ibidem, 4.

[4] Cfr Ibidem, 53.

[5] Cfr Ibidem, 39.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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Sr. Maria Romano

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