Ordo Virginum: uno sguardo al can. 604

Il Codice del 1983 tra le Norme comuni a tutti gli Istituti di vita consacrata (cann. 573-606) disciplina anche alcune forme di consacrazione individuali: la vita eremitica o anacoretica e l’ordo virginum. Il presente contributo proporrà un approccio alla forma di vita delle vergini consacrate alla luce del can. 604 e dell’ Istruzione Ecclesiae Sponsae Imago del 2018.

Cenni storici

L’ ordine delle Vergini è una delle forme di consacrazione verginale più antica, nei primi tre secoli, infatti, numerosissime furono le vergini consacrate e


«A partire dal IV secolo l’ingresso nell’Ordo virginum avveniva mediante un solenne rito liturgico presieduto dal Vescovo diocesano. In seno alla comunità riunita per la celebrazione eucaristica, la donna manifestava il sanctum propositum di permanere per tutta la vita nella verginità per amore di Cristo e il Vescovo pronunciava la preghiera consacratoria. Come attestato già dagli scritti di Ambrogio di Milano e successivamente dalle più antiche fonti liturgiche, il simbolismo nuziale del rito era reso particolarmente evidente dall’imposizione del velo alla vergine da parte del Vescovo, gesto che corrispondeva alla velatio compiuta nella celebrazione del matrimonio» . «Nello stesso periodo, attraverso le decretali dei Papi e le costituzioni dei Concili Provinciali, prese avvio la definizione della disciplina degli aspetti essenziali di questa forma di vita». «Mentre nei primi secoli le vergini consacrate vivevano generalmente nell’ambito delle proprie famiglie, con lo sviluppo del monachesimo cenobita la Chiesa associò la consacrazione verginale alla vita comunitaria, e quindi all’osservanza di una regola comune e all’obbedienza ad una superiora.

Nel corso dei secoli progressivamente scomparve la forma di vita originaria dell’Ordo virginum, con il suo caratteristico radicamento nella comunità ecclesiale locale sotto la guida del Vescovo diocesano. I riti di ingresso nella vita monastica si affiancarono e, nella maggior parte dei monasteri, si sostituirono alla celebrazione della consecratio virginum» . «L’impulso di rinnovamento ecclesiale che ispirò il Concilio Vaticano II suscitò interesse anche nei confronti del rito liturgico della consecratio virginum e dell’Ordo virginum. «In questo modo ha ritrovato esplicito riconoscimento ecclesiale la consacrazione verginale di donne che restano nel proprio ordinario contesto di vita, radicate nella comunità diocesana radunata attorno al Vescovo, nelle modalità dell’antico Ordo virginum, senza essere ascritte ad un Istituto di vita consacrata. Lo stesso testo liturgico e le norme in esso stabilite delineano negli elementi essenziali la fisionomia e la disciplina di tale forma di vita consacrata, il cui carattere istituzionale – proprio e distinto da quello degli Istituti di vita consacrata – è stato successivamente confermato dal Codice di Diritto Canonico (can. 604)»  (ESI nn. 3-7).

Analisi del canone

Il can. 604 nei suoi tre paragrafi disciplina tale forma di consacrazione individuale:

Can. 604 – §1. A queste diverse forme di vita consacrata si aggiunge l’ordine delle vergini le quali, emettendo il santo proposito di seguire Cristo più da vicino, dal Vescovo diocesano sono consacrate a Dio secondo il rito liturgico approvato, si uniscono in mistiche nozze a Cristo Figlio di Dio e si dedicano al servizio della Chiesa.

§2. Le vergini possono riunirsi in associazioni per osservare più fedelmente il loro proposito e aiutarsi reciprocamente nello svolgere quel servizio alla Chiesa che è confacente al loro stato.

§3.n Il riconoscimento e l’erezione di tali associazioni a livello diocesano compete al Vescovo diocesano, nell’ambito del suo territorio, a livello nazionale compete alla Conferenza episcopale, nell’ambito del proprio territorio.

Nel primo paragrafo il canone parla di “ordine” e non di Istituto, proprio per indicare che si è dinnanzi ad una classe, ad un gruppo, un ordo, e utilizza il termine “proposito” per indicare  il vincolo canonico di consacrazione. È uno strumento che non è presente in altre forme di donazione a Dio, le quali generalmente si esprimono sotto forma di voto, pubblico o privato, promessa, o altri vincoli sacri. Nel caso delle vergini consacrate la modalità di donazione a Cristo è il “proposito di seguire Cristo più da vicino”. Con questo vincolo esse esprimono:

«La ferma e definitiva volontà di perseverare per tutta la vita nella castità perfetta e nel servizio di Dio e della Chiesa, seguendo Cristo come propone il Vangelo per rendere al mondo una viva testimonianza di amore ed essere segno manifesto del Regno futuro. Questa realtà spirituale è significata e resa operante nella celebrazione liturgica della consecratio virginum, con cui la Chiesa implora sulle vergini la grazia di Dio e l’effusione dello Spirito santo. Il propositum delle consacrande viene accolto e confermato dalla Chiesa attraverso la solenne preghiera del Vescovo, il quale invoca ed ottiene per loro l’unzione spirituale che stabilisce il vincolo sponsale con Cristo e a nuovo titolo le consacra a Dio» (ESI n. 19)

Il canone stesso disciplina che questa particolare forma di consacrazione si attualizza  mediante un “rito liturgico”. Per ciò che riguarda tale rito e per la fase di formazione e discernimento, la Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata della CEI ha pubblicato una nota pastorale: L’Ordo Virginum nella Chiesa in Italia, 25 marzo 2014. In essa si sottolinea che:

«Il ministro ordinario della consacrazione nell’Ordo Virginum è il Vescovo diocesano. A lui spetta di norma la presidenza del rito, da celebrarsi preferibilmente nella Chiesa Cattedrale e nei tempi indicati nel Rito. È opportuno curare forme di partecipazione adeguata della comunità alla consacrazione nell’Ordine delle Vergini: peraltro si tratta di una occasione opportuna per far conoscere e stimare questa singolare vocazione. L’avvenuta consacrazione sarà documentata mediante iscrizione in un registro dell’Ordo Virginum, presso la Curia diocesana. Di essa verrà rilasciata certificazione all’interessata. Inoltre è opportuno che l’avvenuta consacrazione sia comunicata al parroco» (Nota n.12)

Il rito

La presidenza affidata al Vescovo diocesano, la necessaria apertura del rito al “pubblico”, cioè all’intera comunità della Chiesa particolare, vuole evidenziare lo stretto legame che si creerà tra la consacrata e la porzione di popolo di Dio a cui sarà inviata e affidata. Il rito avrà forti connotati sponsali per evidenziare “l’unione a Cristo con mistiche nozze”.

Fin dai primi secoli questa donazione sponsale a Cristo prevedeva, come necessario elemento di idoneità, la verginità fisica della stessa candidata, ma con l’istruzione del 2018 si assiste ad una modifica, sostanziale ed epocale, di questo criterio:

«Si terrà presente che la chiamata a rendere testimonianza all’amore verginale, sponsale e fecondo della Chiesa verso Cristo non è riducibile al segno della integrità fisica, e che l’aver custodito il proprio corpo nella perfetta continenza o l’aver vissuto in modo esemplare la virtù della castità, pur rivestendo grande importanza in ordine al discernimento, non costituiscono requisiti determinanti in assenza dei quali non sia possibile ammettere alla consacrazione» (ESI n. 88)

Elemento necessario, invece, dopo l’istruzione è «che la persona non abbia mai celebrato le nozze e non abbia mai vissuto pubblicamente, cioè in modo manifesto, in uno stato contrario alla castità» (ESI n. 84).

Continua il canone

Il paragrafo secondo del canone in questione disciplina la possibilità che le vergini creino delle associazioni, sia private che pubbliche allo scopo di osservare più fedelmente il loro proposito, così come confermato nell’Istruzione:

«Per osservare più fedelmente il loro proposito e aiutarsi reciprocamente nello svolgere quel servizio alla Chiesa che è confacente al loro stato, le consacrate possono riunirsi in associazioni e chiedere all’autorità ecclesiale competente il riconoscimento canonico dello statuto ed eventualmente la sua approvazione. La costituzione di un’associazione, come pure l’adesione ad un’associazione già esistente, è esclusivamente frutto di una scelta libera e volontaria di ciascuna delle consacrate che decidono di aderire alle sue finalità e al suo statuto. L’uscita di una consacrata dall’associazione non comporta il venir meno della sua appartenenza all’Ordo virginum» (ESI n.65).

Il paragrafo terzo è stato inserito ex novo dal m.p. Competentias quasdam decernere. È evidente che tale paragrafo cerca di chiarire esclusivamente la questione della competenza, stante ad indicare di chi è l’autorità ad erigere l’associazione: il Vescovo diocesano nell’ambito della sua Diocesi e la Conferenza Episcopale a livello nazionale.

Per concludere

Infine, si evidenzia che tale tipo di consacrazione è esclusivamente rivolto alla donna che manifesta la sua consacrazione verginale e di dedizione alla Chiesa sotto la moderazione del Vescovo:

«Chiamate a far risplendere nella loro esistenza la carità che è principio dell’unità e della santità dell’intero corpo della Chiesa, le donne che ricevono questa consacrazione restano radicate nella porzione del popolo di Dio in cui già vivono e in seno alla quale si è compiuto il discernimento vocazionale e la preparazione alla consacrazione. A questa Chiesa particolare sono infatti legate da uno speciale vincolo di amore e di appartenenza reciproca. La Chiesa particolare, nelle sue diverse componenti, è chiamata ad accogliere la vocazione delle consacrate, accompagnare e sostenere il loro cammino, riconoscendo che la consacrazione verginale e i carismi personali di ciascuna consacrata sono doni per l’edificazione della comunità e la missione ecclesiale» (ESI n. 42).

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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Sr. Maria Romano

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