Elementi di deontologia canonica

deontologia
Leonardo Da Vinci, Madonna dei Fusi (o dell’Aspo), dipinto a olio su tavola, 1501, conservato in una collezione privata a New York 

Principi deontologici fondamentali che regolano l’attività degli operatori dei tribunali ecclesiastici

In via preliminare, bisogna rilevare che l’ordinamento canonico – a differenza di quello statuale – non possiede una codificazione autonoma in cui sono raccolte le disposizioni di natura deontologica. Con l’auspicio che ciò in futuro possa avvenire per meglio favorire sistematicità e snellezza di consultazione, non si può nel frattempo negare che, in ordine alle quaestiones di etica professionale sollevate nei Tribunali, vi è sempre la possibilità di ottenere una risposta esaustiva ad esse, ricorrendo alle fonti legislative primarie, quali la Dignitas Connubii e il Codice. Va aggiunto inoltre che, in assenza di disposizioni specifiche per la regolamentazione di peculiari fattispecie concrete, è previsto comunque il rinvio alla legislazione statuale, secondo il disposto del can. 22 [1], per cui, nei limiti d’applicabilità, l’ordinamento canonico assorbe, facendo propri e cioè “canonizzando”, taluni princìpi di matrice civilistica.

I tribunali di prima istanza

Non vanno, inoltre, tralasciate le norme del Tribunale Apostolico della Rota Romana e la Lex Propria del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, che svolgono un ruolo fondamentale per quanto riguarda l’uniformità della giurisprudenza anche in ambito deontologico; su di esse però ci concentreremo in altro scritto, limitandoci in questa sede a delineare, seppur sinteticamente, i doveri che incombono sugli operatori dei tribunali ecclesiastici di prime cure. In quest’ultimi, il diritto sancisce che il munus vigilandi spetta al Vescovo, al quale sono proprie le facoltà di provvisione e di rimozione, cui partecipa anche il Vicario.

A questi, infatti, poiché competono i seguenti uffici, ossia quello di espletamento delle cause (can. 1425 § 3), di procedere alla sostituzione dei giudici per cause gravissime (can. 1425 § 5; DC 49), di stabilire circa i casi di ricusazione avverso i giudici (can. 1449 § 2; DC 68 § 2), nonché di designare difensori del vincolo e promotori di giustizia sostituti (art. 55 Dignitas Connubii), spetteranno – pur non essendo a esso espressamente attribuiti – anche gli stessi poteri di vigilanza del Vescovo [2].

I giudici

Circa i giudici, invece, nel can. 1421, §3, è stabilito che essi debbano, in funzione del proprio incarico, essere dotati di buona fama e che debbano possedere i titoli necessari a garanzia del corretto svolgimento dell’ufficio in questione. Nello specifico, sono richiesti il dottorato in diritto canonico o almeno la licenza. E’ nostra intenzione però soffermarci non tanto sulle questioni attinenti alla preparazione accademica – che non è affatto scontata tra l’altro – quanto sui doveri che vincolano il giudice nell’amministrazione del proprio incarico; analogamente alla legislazione civile, infatti, sono richieste imparzialità e terzietà, affinché il convincimento morale sia esente da condizionamenti interni e/o esterni, che possano ostacolare la ricerca della verità processuale. Appare superfluo ribadire i su menzionati principi, in quanto ben noti ai più, e per i quali segnaliamo la disciplina contenuta negli artt. 67 e 68 DC e 1448, § 1 cjc.

Si ritiene opportuno sottolineare, invece, un aspetto fondamentale che regola l’attività del giudice, consistente esso nella spinta verso il favor indissolubilitatis, inteso come convinzione operativa circa il bene in gioco nelle procedure matrimoniali, da cui si snoda il dovere di verificare la effettiva invalidità del vincolo sacro, senza incorrere in concessioni semplicistiche, né in pregiudizi in merito alla nullità da pronunciare [3]. Dunque, non sia il giudice né troppo superficiale nel pronunciarsi pro nullitate né troppo rigido, incorrendo in un difetto di ampiezza di vedute o, peggio ancora, in un atteggiamento restrittivo, derivante dall’aprioristico sospetto di non credibilità assoluta delle parti.

Gli altri funzionari

Sui cancellieri e i notai, la cui attività è rimessa alle disposizioni dei cann. 483 e 484, è stabilito che l’elemento necessario per lo svolgimento del munus in questione sia l’integra reputazione; essa, pur essendo un requisito rilevante sotto il profilo soggettivo, assume un più ampio significato se rapportato alla delicata funzione di autenticazione degli atti processuali; dunque, la violazione del dovere di trasparenza in tal senso darebbe luogo anche a sanzioni penali, ex can. 1391 cjc, che disciplina il delitto di falso.

Merita, altresì, particolare attenzione la figura del Difensore del Vincolo [4] (cfr.  artt. 55-56 DC), i cui requisiti di ammissione all’incarico sono gli stessi che il diritto canonico prevede per i giudici. Il suo ruolo, nello specifico, consiste nel valutare ed esporre gli elementi contra nullitatem, a sostegno e a tutela quindi della fondatezza del vincolo. Il dovere deontologico del Difensore del Vincolo, come Pio XII esortava, si sostanzia in una capillare collaborazione alla ricerca della verità, che avvenga secondo coscienza, attraverso la redazione di animadversiones non artificiose, conformi il più possibile cioè a parametri di oggettività [5].

I patroni e i procuratori

In ultimo, negli artt. 101 e 113 DC, si descrive l’ufficio dei Patroni e dei Procuratori. Giova ricordare che vi è una differenza tra le due figure, in quanto il compito del secondo, e cioè del procuratore (di cui nel can. 1481 cjc ss.), è spesso trascurato, nonché erroneamente assimilato ad un ufficio di mera supplenza alle funzioni del Patrono. Il procuratore, al contrario, è l’alter ego della parte, che ne chiede direttamente rappresentanza, nonché soggetto su cui incombono le più gravose responsabilità del processo, tra cui, a titolo esemplificativo, vi è quella di ricevere le notifiche; cosa questa non di poco conto, se consideriamo che, quando il procuratore è persona diversa dal patrono, è il primo   ad essere responsabile della ricezione di atti e comunicazioni.

Infine, si rileva quanto la deontologia dell’avvocato ecclesiastico venga inquadrata sotto il solo profilo sanzionatorio, per la cui prevenzione è opportuno che esso ispiri il proprio operato al principio di trasparenza e correttezza, attinenti principalmente al rapporto con il proprio assistito. Quest’ultimi sono indicati nel can. 128 cjc, riprodotto nell’art. 111, § 3° della Istruzione Dignitas Connubii, che prevede sanzioni verso coloro che con dolo o colpa, ponendo in essere un qualsiasi atto, arrecano danno ad un altro; in tal caso, il soggetto agente è tenuto a riparare e risarcire il danno cagionato [6].

In conclusione

Le funzioni  proprie si ciascun operatore ecclesiastico, pur essendo caratterizzate da profonde diversità strutturali, dovute appunto alla complessità dei compiti di ciascuno, presuppongono tuttavia alla base un’armonizzazione integrale degli obblighi deontologici. Quest’ultimi devono essere presi in considerazione non nella loro singolarità, in quanto appartenenti cioè ad una specifica categoria professionale, ma vanno inquadrati altresì in una prospettiva sinodale, dove le azioni del singolo assumono maggiore rilevanza se rapportate alle azioni della collettività giudiziaria. E’ solo infatti partendo da tale prospettiva sinodale, per nulla scontata o coincidente con un dato astratto, che potrà assistersi ad un progresso processuale che consenta di superare le criticità ordinarie con le quali, quotidianamente, ci si interfaccia nei tribunali della Chiesa.

 

Note

[1] Can. 22 cjc: “Le leggi civili alle quali il diritto della Chiesa rimanda, vengano osservate nel diritto canonico con i medesimi effetti, in quanto non siano contrarie al diritto divino e se il diritto canonico non dispone altrimenti ”.

[2] Cfr. D. Salvatori, Principi deontologici forensi nella prospettiva dell’ufficio del vicario giudiziale, in Quaderni di diritto ecclesiale 23 (2010), 8-9.

[3] Cfr. S. Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 28 gennaio 2002.

[4] Si consiglia, sull’argomento, la lettura del seguente articolo: Francesco Viscome, L’Ufficio del difensore del Vincolo dopo la Riforma dei processi matrimoniali di Papa Francesco, in Forum canonicum, XII (2017), 57-92.

[5] Cfr. P. Pio XII, Allocuzione alla Rota Romana, 2 ottobre 1944.

[6] Cfr. S.Scaglia, Notazioni per una deontologia sistematica dell’Avvocato canonista, in Biblioteca canonica, 10.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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Federica Marciano di Scala

Federica Marciano di Scala, avvocato della Rota Romana-avvocato civilista.

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Vox Canonica nasce nell’anno 2020 dal genio di un gruppo di appassionati giovani studenti di diritto canonico alla Pontificia Università Lateranense.

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