L’ascrizione o l’incardinazione dei chierici can. 265

incardinazione
Particolare di mosaico, il corpo di San Marco portato in Basilica, Basilica di San Marco, Venezia
 

L’incardinazione dei chierici altro non è che l’appartenenza degli stessi ad una Diocesi o ad un Istituto religioso. La parola latina incardinatio viene da cardo, che significa cardine o perno, ovvero la parte estrema di una cosa per mezzo della quale un’altra è unita ad essa in modo che dipenda da quest’ultima (Es: i cardini di una porta). Dunque incardinazione altro non è che la necessità stabilita dal diritto che i chierici dipendano o da una chiesa particolare o da un’altra struttura che abbia la facoltà di incardinare (Istituto religioso, Società di vita apostolica ecc…). A tal proposito il can. 265 recita:

“Ogni chierico deve essere incardinato o in una Chiesa particolare o in una Prelatura personale oppure in un istituto di vita consacrata o in una società che ne abbia la facoltà, o anche in una Associazione pubblica clericale che abbia ottenuto tale facoltà dalla Sede Apostolica, in modo che non siano assolutamente ammessi chierici acefali o girovaghi”.

Cenni storici

Nella Chiesa primitiva, il legame tra il chierico e la chiesa per la quale era ordinato era indissolubile. Per essere ordinati si doveva avere un titulus ordinationis [1], ovvero l’ascrizione ad una determinata chiesa, comunità o ad un luogo di sepoltura di un martire. Il titulus era un documento che serviva ad accertare la legale proprietà di un determinato immobile, il più delle volte si trattava di case private, donate alla comunità e che continuano a portare il nome del proprietario originario. I chierici, a causa delle persecuzioni, si stabiliscono in tali proprietà per svolgere lì il ministero che hanno ricevuto ed esercitarlo a servizio di quella determinata comunità che fa riferimento a quella proprietà, quindi a quel titulus.

Pure per i monaci la situazione era pressappoco identica, come sappiamo all’inizio i monaci non erano chierici, ma poi pian piano nei monasteri più grandi si ebbe la necessità di avere almeno un presbitero per le liturgie e così qualche membro fu ordinato presbitero. Questi ultimi veniva ordinati col titolo di ordinazione come ascrizione al monastero. Il Concilio di Arles (314) al can. 2 stabilisce che il chierico ordinato per un luogo particolare deve rimanere là e al can. 21 proibisce che un chierico eserciti il ministero in un’altra chiesa e sancisce che chi ha abbandonato la sua chiesa deve essere deposto e scomunicato [2]. 

Fu il can. 6 del Concilio di Calcedonia (451) alla fine, proibendo le ordinazioni assolute, cioè quelle fatte senza un riferimento ad una chiesa specifica, alla sepoltura di un martire o ad un monastero, stabilendo che fossero considerate irrite, nel senso che l’ordinato non poteva esercitare il ministero ricevuto; anche Graziano fa riferimento a questo assunto nel suo Decreto.

La Chiesa medioevale

Venendosi a formare in questo periodo delle “chiese proprie” per cui sono i signori feudali a scegliere e istituire i sacerdoti nelle loro chiese e a provvedere loro del sostentamento, si inizia a permettere anche il passaggio ad un’altra chiesa col consenso del proprio Vescovo, il quale rilascia le lettere dimissorie, talvolta senza sincerarsi che il chierico sia assunto effettivamente nell’altra diocesi. Dal XII sec. il titulus ordinationis che stava ad indicare la chiesa per la quale si era ordinati venne sostituito dal titulus beneficii, che stava ad indicare il fondo dei beni che sottostava all’ufficio che il chierico ricopriva.

Disciplina nei secc. XVI-XVIII

Il Concilio di Trento, preoccupato del sostentamento del clero, stabilì che un chierico fosse legittimamente ordinato solo col titolo del beneficio, ma per la necessità ammise anche che potesse essere ordinato col titolo del patrimonio o delle pensione. Sempre il Concilio di Trento stabilì che fosse ordinato solo chi fosse utile e necessario alla sua chiesa, in modo da non avere chierici senza un’applicazione ministeriale, infine stabilì che i chierici forestieri potessero celebrare i sacramenti in un’altra diocesi solo con le lettere commendatizie del loro ordinario. Ls disciplina di Trento che legava i chierici alla propria Diocesi rimase in vigore fino al XVIII sec.

Disciplina nel XIX sec. 

Diminuiti i benefici, per lo più l’ordinazione avviene col titolo di servizio della Diocesi; il Vescovo assegna al chierico un ufficio nella Diocesi e provvederà al suo sostentamento. Poiché l’ordinazione veniva fatta non ad utilità del chierico bensì della Diocesi, il Vescovo poteva affermare i suoi diritti nei confronti del chierico e trattenerlo nella sua Diocesi anche contro la sua volontà. L’incardinazione diventa così un mezzo di subordinazione dei chierici all’autorità e un titolo per il sostentamento. 

La disciplina nel CIC del 1917

Il Codice del ’17 stabiliva che con la tonsura si avesse l’incardinazione o ad una Diocesi o ad un Istituto religioso, così stabiliva il can. 111 §2: 

“Per receptionem primae tonsurae clericus adscribitur seu, ut aiunt, incardinatur diocesi pro cuius servitio promotus fuit”. 

All’incardinazione era strettamente legato il titolo canonico di ordinazione, che assicurava il sostentamento del chierico (titulus beneficii, titulus patrimonii, titulus pensionis). In tal modo, il fine dell’incardinazione nel CIC del 1917 era piuttosto la tutela e la disciplina dei chierici. Il legame con la Diocesi assunto con giuramento era perpetuo, tuttavia era prevista l’escardinazione per aver ottenuto un beneficio residenziale in un’altra Diocesi, anche se detto passaggio da una Diocesi ad un’altra era scoraggiato, e l’ordinario non poteva incardinare un chierico altrui senza che questi non dichiarava di volersi legare in perpetuo al servizio della nuova Diocesi.

L’attuale legislazione, il CIC del 1983

Nel codice del 1983 l’incardinazione si ha con l’ordinazione diaconale, l’incardinazione regola: l’obbligo del servizio di una chiesa particolare o di un’altra struttura prevista dal diritto; un giusto sostentamento; la tutela della disciplina. Il fine dell’attuale incardinazione è quello di stabilire che nella Chiesa non si possano ammettere chierici acefali o girovaghi.   

Note

[1] Crf. G. Sarzi Sartori, L’incardinazione in una Chiesa particolare, in Quaderni di diritto ecclesiale 15/2 (2002), p. 125.

[2] Cfr. M.J. Mullaney, Incardination and Universal Dimension of the Priestly Ministry, Roma 2002, pp. 14-15.

[3] Per approfondire Vd. G. Ghirlanda, Il Sacramento dell’Ordine e la vita dei chierici, Roma 2019, Cap. III. 

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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