La separazione perpetua dei coniugi con permanenza del vincolo coniugale

Alessandro Allori, Cristo e l’adultera, 1577, Basilica di Santo Spirito, Firenze

Dopo aver regolato la separazione dei coniugi con scioglimento del vincolo coniugale per dispensa dal matrimonio rato e non consumato QUI (can. 1142), per privilegio Paolino (cann. 1143-1147) e Petrino (cann. 1148-1149), il CIC/1983 disciplina altresì i casi di separazione che prevedono la permanenza del vincolo matrimoniale.

La Chiesa si è preoccupata di regolare la separazione manente vinculo innanzitutto per difendere, sia a livello pubblico che privato, la dignità del matrimonio da comportamenti che ne contraddicono la sua stessa essenza intesa come totius vitae consortium (can. 1055 § 1) in cui i coniugi danno e accettano reciprocamente sé stessi (can. 1057 § 2); ne sviliscono le proprietà essenziali dell’unità e dell’indissolubilità (can. 1056); e ne offendono le finalità del bene dei coniugi e della procreazione e educazione della prole (can. 1055 § 1).

Prevedendo l’estremo rimedio della separazione, inoltre, la Chiesa ha inteso mettere i coniugi di fronte alle loro responsabilità, precisamente in merito all’offesa arrecata alla scelta matrimoniale fatta e allo stato di vita assunto [1]. A tal fine, il Legislatore ha previsto due diverse fattispecie di separazione con permanenza del vincolo, quella potenzialmente perpetua che comporta l’interruzione definitiva della convivenza coniugale (can. 1152), e quella temporanea che invece sospende per un tempo determinato la convivenza fintanto che permane la legittima causa che l’ha provocata (can. 1153).

Il dovere-diritto alla convivenza coniugale (can. 1151)

È il caso di evidenziare che, proprio nel contesto della separazione, il CIC/1983 al can. 1151 conferma anzitutto il dovere diritto reciproco dei coniugi di osservare la convivenza coniugale, invitandoli a conservare il «convictus coniugalis» per una totale e concreta condivisione di vita. Ciò nonostante, il can. 1151 prevede altresì un’importante eccezione per i casi in cui i coniugi siano scusati da una causa legittima.

La Chiesa infatti riconosce il diritto di interrompere la convivenza coniugale solo in presenza di situazioni o condizioni di vita che giustificano una simile concessione, nella speranza però che la coppia possa riuscire a superare le difficoltà intervenute. Sotto il profilo pastorale, la Chiesa non manca di esortare le comunità ecclesiali, guidate dai rispettivi pastori, ad assicurare una sollecita assistenza alle coppie in crisi, anche attraverso l’opera di consulenza e di sostegno svolta dai consultori di ispirazione cristiana [2].

Separazione dei coniugi perpetua in caso di adulterio (can. 1152)

Il can. 1152 considera causa legittima di separazione perpetua unicamente l’«adulterio», una gravissima violazione della fedeltà coniugale che turba profondamente la vita dei coniugi, rendendo spesso intollerabile i rapporti interpersonali.

Giustifica lo ius solvendi convictum coniugalem, l’adulterio inteso come unione carnale di un uomo o una donna, uniti da valido matrimonio, con una comparte di sesso diverso dal proprio che non sia il legittimo coniuge. È necessario che l’unione sessuale extraconiugale sia libera e volontaria, esente da costrizione, né estorta con violenza o dolo. Deve risultare moralmente certa, potendosi pertanto individuare – con certezza morale – il coniuge adultero e l’effettiva consumazione dell’adulterio; dubbi, supposizioni e sospetti non sono di per sé sufficienti [3].

Condizioni per esercitare il diritto a interrompere la convivenza coniugale

Ferma restando la viva raccomandazione del Legislatore rivolta al coniuge innocente di concedere il perdono alla comparte adultera, mosso da carità cristiana, e a non interrompere la convivenza coniugale per il bene della famiglia, tuttavia gli riconosce il diritto di separarsi  alle condizioni indicate dal can. 1152 § 1.

Per esercitare tale diritto, il coniuge che ha subìto l’adulterio non deve aver:

  • condonato la colpa alla comparte adultera, sia in maniera espressa che in maniera tacita (adulterio condonato);
  • approvato o acconsentito, esplicitamente o implicitamente, o, peggio, istigato il coniuge a fine di lucro o per raggiungere un particolare scopo (adulterio acconsentito);
  • dato causa all’adulterio con la propria condotta (adulterio occasionato);
  • commesso egli stesso adulterio, macchiandosi perciò dell’identica colpa (adulterio contraccambiato).

A proposito del condono della colpa, il § 2 ne precisa il significato attraverso due importanti distinzioni. Definisce «condono tacito» il caso in cui il coniuge innocente, scoperto l’adulterio del coniuge, continua la convivenza coniugale spontaneamente e con affetto maritale. Considera invece «condono presunto» l’ipotesi in cui il coniuge innocente, conosciuto con certezza l’adulterio, conserva per sei mesi la convivenza coniugale senza interporre ricorso alla competente autorità. Il termine di sei mesi inizia a decorrere dal giorno in cui è stato scoperto l’adulterio.

Ricorso alla competente autorità

È opportuno precisare che il coniuge innocente non può procedere autonomamente ad una separazione perpetua, essendo egli invece tenuto a ricorrere all’autorità ecclesiastica o civile. L’alternativa tra le due distinte autorità è consentita soltanto per il matrimonio concordatario, non anche per quello canonico per il quale è esclusivamente competente l’autorità ecclesiastica.

Il fatto che attualmente, sia a livello universale che a livello particolare, la Chiesa rimandi alle procedure civili di separazione dei coniugi, non significa che intenda delegare ad altri questa materia. Al contrario, continua a ritenere di Sua competenza questo ambito, ma rinvia alla legislazione dei differenti Stati per quanto attiene gli aspetti puramente civili, a meno che tale normativa non sia contraria al diritto naturale; e comunque riconoscendo sempre ai propri fedeli il diritto di ricorrere alle procedure canoniche per ragioni di coscienza. In tal senso si vedano i contributi sulla delibazione delle sentenze ecclesiastiche QUI, QUI e QUI.

Processi (can. 1692-1696)

Il can. 1692 § 1 stabilisce che la separazione personale dei coniugi battezzati, salvo che non sia legittimamente disposto altro per luoghi particolari, può essere definita mediante una procedura amministrativa che si conclude con decreto del Vescovo diocesano, oppure mediante una procedura giudiziale che invece si conclude con sentenza del giudice ecclesiastico competente. La scelta della via amministrativa o giudiziaria dipende dalla deliberazione del Vescovo diocesano, tenuto conto di una serie di circostanze, tra le quali, le richieste delle parti, l’immediata disponibilità o meno delle prove, l’eventuale difficoltà di giungere ad una soluzione condivisa quanto alle condizioni di separazione, ovvero in merito al sostentamento e all’educazione dei figli [4].

Nelle cause di separazione personale dei coniugi, il § 2 prevede che per ricorrere al Tribunale civile è necessario ottenere la licenza del Vescovo della diocesi dove la coppia aveva l’ultima dimora. Il Vescovo ha la facoltà – e non l’obbligo – di concedere la licenza. Tuttavia, può concederla se nella nazione ove si trova la diocesi, la decisione ecclesiastica non ottiene effetti civili; o se prevede prudentemente, in base alla legislazione della nazione, che la sentenza del Tribunale civile non sarà contraria al diritto divino; e comunque ponderate le peculiari circostanze della separazione in rapporto agli stessi coniugi e alle ripercussioni sul popolo di Dio.

Se la causa di separazione verte anche sugli effetti puramente civili del matrimonio (can. 1672), il giudice ecclesiastico competente a norma del can. 1673, deve fare in modo che la causa fin dal suo inizio sia presentata avanti al Tribunale civile, dovendo perciò rimandare i coniugi al Vescovo diocesano per la concessione della licenza richiesta dal § 2.

Doveri dei coniugi separati verso la prole (can. 1154)

Dichiarata la separazione, entrambi i coniugi sono ovviamente tenuti, sia congiuntamente che singolarmente, a sostenere ed educare la prole. Questo dovere fondamentale obbliga sia il padre che la madre (cfr. 1136), e perdura in tutta la sua gravità ed urgenza anche dopo la separazione.

Rinuncia al diritto di separazione (can. 1155)

Per la terza volta il CIC/1983 insiste per la riconciliazione, prevedendo al can. 1155 che il coniuge innocente «con atto degno di lode» possa riammettere alla vita coniugale la comparte colpevole anche dopo che sia intervenuta legittima separazione. Con tale gesto, il coniuge innocente rinunzia al diritto di separazione. A tal fine è però necessario che venga emesso un ulteriore provvedimento che prenda atto della riammissione del coniuge adultero alla vita comune.

Note

[1] E. Zanetti, «La Chiesa ammette la separazione fra coniugi? Motivazioni, circostanze e conseguenze», in Quaderni di diritto ecclesiale 13 (2000), p. 121.

[2] Conferenza Episcopale Italiana, decreto generale Sul matrimonio canonico (5.11.1990) n. 55.

[3] L. Sabbarese, Il matrimonio canonico nell’ordine della natura e della grazia – Commento al Codice di Diritto Canonico – Libro IV, Parte I, Titolo VII, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2019, p. 389.

[4] Pontificia Commissione per l’Interpretazione Autentica del Codice di Diritto Canonico, risposta del 25 giugno 1932, in X. Ochoa, Leges Ecclesiae, I, n. 1102, col. 1400.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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