Il consenso matrimoniale, can. 1057 § 1

consenso
Il matrimonio della Vergine Maria, scuola italiana, XVII sec.

Il can. 1057 § 1 CIC disciplina che “l’atto che costituisce il matrimonio è il consenso delle parti legittimamente manifestato tra persone giuridicamente abili; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana”. La collocazione del canone, immediatamente dopo il can. 1055 (matrimonio canonico) e il can. 1056 (proprietà essenziali) consente di affermare che il consenso rientra tra i requisiti essenziali del cd. matrimonium in fieri, ossia il momento iniziale e costitutivo – l’atto umano-giuridico che genera lo stato coniugale tra l’uomo e la donna. Esso si differenzia dal matrimonium in facto esse, che fa riferimento allo stato coniugale costituito dalla valida celebrazione del negozio giuridico matrimoniale – ovvero il risultato di quanto prodotto dal consenso ed esso coincide con l’istituto matrimoniale.

Requisiti del consenso

Perché un matrimonio canonico possa essere validamente costituito, occorre: 1) il consenso delle parti; 2) l’abilità giuridica (sia naturale che canonica) delle parti; 3) la manifestazione legittima del consenso. Il consenso dunque costituisce la causa efficiente del matrimonio. I requisiti necessari perché si possa parlare di valido consenso coincidono con quelli richiesti per qualsiasi altro tipo contrattuale. Pertanto, il consenso deve essere: a) interno; b) libero; c) deliberato; d) mutuo; e) manifestato con segni sensibili; f) tra persone abili; g) deve riguardare una determinata persona.

Consenso esternamente e legittimamente manifestato tra persone giuridicamente abili

Il consenso al matrimonio deve essere manifestato all’esterno sia per la dimensione contrattuale che per quella sacramentale. Diversamente non esisterebbe né l’atto giuridico, né il sacramento. Inoltre, deve essere manifestato secondo la forma giuridica prevista dalla legge (can. 1108 CIC). Pertanto, la celebrazione deve avvenire pubblicamente e secondo la prescritta solennità. Inoltre, il can. 1057 chiede che il consenso sia manifestato tra persone giuridicamente abili. Occorre evidenziare che tutti sono giuridicamente abili al matrimonio, a meno che non siano proibiti dal diritto (can. 1058). Il riferimento legislativo è alla capacità naturale di ogni uomo di contrarre matrimonio, purché fisicamente e moralmente idoneo. È chiaro che la presenza di un impedimento rende inabile la persona ad esprimere un valido consenso matrimoniale.

Il can. 1057 § 2

“Il consenso matrimoniale è l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio”. Per comprendere il senso della disposizione in esame, occorre chiedersi in che momento si perfezione l’atto di volontà, se prima del matrimonio (preparazione) o durante scambio del consenso (celebrazione) oppure dopo il matrimonio (consumazione). Il consenso che dà vita all’atto coniugale è solo il cd. consenso de praesenti.

Precedenti storici

L’attuale disciplina è frutto di un lungo percorso dottrinale e giurisprudenziale, volto ad individuare l’esatto contenuto dell’atto di volontà. Intorno al X secolo gli Scolastici sostenevano la teoria della copula: il momento costitutivo del matrimonio si aveva con l’unione sessuale degli sposi (elemento essenziale di questa teoria era la benedictio in thalamo), per cui solo il matrimonio consumato era valido e indissolubile. La scuola che si fondava sul diritto romano sosteneva la teoria del consenso: il matrimonio veniva visto come comunione spirituale di vita, il cui atto costitutivo risiedeva nella reciproca manifestazione del consenso dei contraenti, diventando indissolubile a prescindere dalla sua effettiva consumazione.

Un tentativo di conciliazione tra le due teorie fu offerto da Graziano nel XII secolo. Egli distinse il momento consensuale da quello successivo della consumazione. Su questo orientamento, si sviluppò la scuola dei commentatori attraverso le Decretali. Fu così avviata la distinzione tra consenso de praesenti e consenso de futuro: nel primo caso, nasceva un’unione stabile e indissolubile, vera causa efficiente del matrimonio; nel secondo si aveva un’unione solubile, provvisoria, in quanto il consenso si esprimeva in relazione al futuro matrimonio.

La legislazione vigente

A differenza del Codice del 1917 che, al can. 1081 §2, prevedeva come oggetto del consenso il cd. ius in corpus, in riferimento agli atti idonei alla generazione della prole e tale disciplina risentiva evidentemente della teoria della copula di tradizione scolastica, il vigente canone prevede che l’unico atto di volontà che costituisce validamente il matrimonio è lo scambio del consenso durante la celebrazione.

Oggetto di questo consenso è il patto irrevocabile, con cui l’uomo e la donna danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio. Dunque, il suo contenuto è orientato unicamente alla reciproca (mutuo) donazione-accettazione di se stessi (sese), cioè della persona nella sua totalità. Tale requisito definisce inoltre uno dei fini del matrimonio canonico: il cd. bonum coniugum.

Riferimenti bibliografici

[1] L. CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico. Commento giuridico-pastorale, vol. 2, EDB, Bologna, 20113, p. 266 ss.

[3] V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Jovene, Napoli, 1987, p. 470 ss.

[4] F. CAPPELLO, Tractatus canonico moralis de sacramentis. De matrimonio, vol. V, Sumptibus et Typis Petri Marietti Editoris, Torino-Roma, 1950, p. 289 ss.

[5] A. BOGGIANO PICO, Il matrimonio nel diritto canonico, Utet, Torino, 1936, p. 300 ss.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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