L’analisi del canone 1398 § 2: l’imputabilità di religiosi e laici

1398
Paul Delaroche, 1833, l‘esecuzione di Lady Jane Grey (particolare), National Gallery, Londra

La tutela penale del minore è una delle risposte che la Chiesa offre per proteggere un bene e favorirne la crescita. Il diritto, soprattutto quando definisce beni e dispone sanzioni per chi viola, dà il suo apporto perché si crei un ordine giusto, nel rispetto della natura delle persone e della Chiesa, dove soprattutto chi è più fragile sia custodito. A tal proposito analizzeremo il can. 1398 § 2.

 

Novità del nuovo libro VI

Una delle novità più evidenti del nuovo Libro VI è l’inclusione di religiosi e laici come soggetti imputabili di delitto. Se il previgente canone 1395 § 2 CIC si riferiva solo ai chierici, l’attuale § 2 del can. 1398 CIC così recita:

“Il membro di un istituto di vita consacrata o di una società di vita apostolica, e qualunque fedele che gode di una dignità o compie un ufficio o una funzione nella Chiesa, se commette il delitto di cui al § 1, o al can. 1395 § 3, sia punito a norma del can. 1336 §§ 2-4 CIC, con l’aggiunta di altre pene a seconda della gravità del delitto”.

Dall’analisi del canone, ci accorgiamo subito che non si pongono differenze circa la tipologia del delitto, ma si distinguono invece le pene, che per il chierico sono la privazione dell’ufficio e altre giuste pene, non esclusa, se il caso lo comporti, la dimissione dallo stato clericale, mentre per i consacrati e i laici il rimando è al can. 1336 §§ 2-4: ingiunzione di dimorare in un determinato luogo, di esercitare atti di potestà e funzioni di governo, di esercitare diritti o privilegi, del diritto di voce attiva e passiva, e privazione di uffici, incarichi, potestà ecc… Va precisato però, che quando per il chierico si prevedono “altre giuste pene” esse possono essere ricondotte alle medesime elencate nel can. 1336 che al § 5 comprende anche la dimissione dallo stato clericale.

 

Le condizioni di imputabilità per i Membri di Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica

In merito ai membri di Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica, la loro esclusione dalla previgente normativa non significava legittimazione o impunità. Al contrario il can 695 § 1 CIC prevede che:

“Un religioso deve essere dimesso dall’istituto per i delitti di cui nei cann. 1397-1398 e 1395 CIC a meno che, per i delitti di cui nel can. 1395 § 2, il Superiore non ritenga che la dimissione non sia del tutto necessaria e che si possa sufficientemente provvedere in un altro modo sia alla correzione del religioso e alla reintegrazione della giustizia, sia alla riparazione dello scandalo”.

Con l’entrata in vigore della nuova normativa, allo stato attuale si pone un problema interpretativo: da una parte infatti la fattispecie penale per i religiosi è normata dal nuovo can. 1398 CIC, che è pure citato nel can. 695 CIC ma con originario riferimento al delitto di aborto; dall’altra parte, restando in vigore il can. 695 CIC, il suo rimando al can. 1395 CIC si riferirà agli atti contra sextum compiuti pubblicamente con violenza, minaccia o con abuso di autorità.

Circa la natura della dimissione la dottrina non è unanime. Si può però sostenere che il provvedimento di dimissione obbligatoria non rientri nell’ambito delle azioni penali della Chiesa, quanto piuttosto nella potestà amministrativa del superiore gerarchico. A conferma di ciò, si pone il fatto che contro una dimissione, si prevede il ricorso amministrativo, nei diversi gradi gerarchici fino alla Segnatura Apostolica [1].

 

Le condizioni di imputabilità per i fedeli laici

Per quanto riguarda i fedeli laici, per ciò che concerne le condizioni di imputabilità, il canone menziona chi gode di una dignità o compie un ufficio o una funzione nella Chiesa. Se per la nozione di “ufficio” si fa normalmente riferimento ai cann. 145 CIC e seguenti, più evanescente può essere la nozione di dignità. Un riferimento è dato dal nuovo can. 1326 § 1, 2 CIC che prevede una misura aggravante “da chi è costituito in dignità o chi ha abusato dell’autorità o dell’ufficio per commettere delitto”. In senso ampio dunque, là dove non coincide con un ufficio, “dignità” indica un titolo derivante da una nobiltà morale, una qualità che merita considerazione e rispetto e che per questa ragione trova una sua oggettività in una condizione canonica peculiare. Ad esempio, non vi è dubbio che in ordine al matrimonio, la parola “dignità” indichi una particolare levatura morale e spirituale, come è proprio di un sacramento che interessa uno stato di vita.

 

Fattispecie penali

Circa le fattispecie penali, se gli atti contro il sesto comandamento con minori sono tipizzati in modo consolidato nella giurisprudenza penale in riferimento ai chierici, non esistono precedenti per i fedeli in senso gerarchico. Per questo motivo non sarà possibile applicare le fattispecie degli uni agli altri. Non vi è dubbio che qualsiasi fedele debba evitare ogni atto che possa essere anche minimamente abusivo nei confronti di chiunque, soprattutto se minore. Ma non si può escludere la fattispecie in cui atti contro il sesto comandamento possano essere posti tra persone affettivamente legate da un vincolo di amore consensuale, di cui una ricopre un ufficio ecclesiastico, per esempio catechista, e l’altra è ancora minorenne.

La pena dunque per i soggetti di cui al can. 1398 § 2 CIC, non può essere ipso facto analoga a quella prevista per i chierici: sia per il differente grado di responsabilità dell’ufficio, che va valutato con attenzione, sia per le circostanze concrete che potrebbero evidenziare una legittimità morale di un atto che un’interpretazione rigorista della norma giudicherebbe delittuosa [2].

 

Bibliografia

[1] Cf. V. De Paolis, La vita consacrata nella Chiesa, Venezia 2015, pp. 575-576.

[2] M. Visioli, Il Diritto Penale della Chiesa e la tutela dei minori, in Il Diritto Penale al servizio della comunione della Chiesa, XLVII Incontro di Studio Centro Turistico – Park des Dolomites 28 giugno – 2 luglio 2021, Quaderni della Mendola, vol. 29 (2021), pp. 247- 250.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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Maria Cives

Maria Cives

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