La simonia: un excursus storico

simonia
Benozzo Gozzoli, La caduta di Simon Mago, tempera, 24 x 35 cm, 1461, Royal Collection (Hampton Court, United Kingdom)

La Simonia era, nel Medioevo, la compravendita di cariche ecclesiastiche. Più in generale, il termine, utilizzato dall’ XI secolo, indicava il commercio di beni sacri spirituali ottenendone vergognoso, ignominioso ed avido lucro.

Il nome simonia deriva dal nome di Simone Mago, taumaturgo samaritano convertito al cristianesimo, il quale, volendo aumentare i suoi poteri, offrì a San Pietro  del denaro, chiedendo di ricevere in cambio le facoltà taumaturgiche concesse dallo Spirito Santo. Il rimprovero che Pietro mosse a Simone fu:“Argentumtuum tecum sit in perditionem, quoniam donum Dei existimasti pecunia possideri[1]”.

La condanna della simonia nei primi concili della Chiesa

Dopo l’editto di Costantino del 313 d.C. la Chiesa cristiana poté disporre di beni terreni in sempre maggior misura, per cui si registrarono casi di ecclesiastici che si adoperarono per ottenere cariche e potere mediante denaro. La simonia, quindi, fu condannata già con il secondo canone della quinta sessione del concilio di Calcedonia nel 451 ed in seguito, nel concilio di Clermont del 535 ed in quelli di Orléans del 533 e del 549 in cui si stabilì la deposizione per i preti simoniaci, per coloro cioè che comprassero suffragi per la loro elezione.

La Symoniaca Heresis

A partire da Gregorio Magno, la simonia venne indicata come “Symoniaca Heresis”, ovvero cominciò ad indicare quella forma di corruzione per cui si conferivano gli ordini sacri, i sacramenti, cariche e benefici ecclesiastici a seguito dell’offerta di somme anche ingenti di denaro o di altri beni. Con Gregorio Magno si assistette infatti ad un cambiamento radicale significativo del modo di affrontare il problema della compravendita degli ordini sacri e degli uffici ecclesiastici. La lotta del papa non si limitò alla semplice predicazione, ma si concretizzò in diversi tentativi di riforma. Con il sinodo romando del 595 fu promulgato un decreto di riforma del clero in cui si proibiva tassativamente ogni forma di donazione o regalia in occasione di ordinazioni o nomine, e si poneva all’indice il cosiddetto “pastellum” un obolo dato agli ufficiali di curia per la scrittura di una carta o per l’apposizione di un sigillo. Le nuove disposizioni, molto rigorose, andavano a colpire, un abuso molto diffuso e che costituiva una forma strisciante di corruzione che allignava indisturbata presso il soglio pontificio, non senza suscitare malumori negli ambienti curiali. In epoca successiva si assistette a nuovi sviluppi sul tema[2].

La condanna della simonia nel concilio Trullano II e Nicea II

In Oriente la compravendita degli ordini, e più in generale dei sacramenti, ricevette una ferma condanna nel concilio di Trullano II, del 691-692, che stabilì la sanzione della deposizione per gli ordinanti e per gli ordinati in maniera simoniaca, nonché per chi amministrava sacramenti dietro compenso. Il concilio di Nicea II, svoltosi nell’anno 787, ai canoni da 2 a 5, stabilì una serie di prescrizioni per salvaguardare l’integrità del ministero ordinato, in particolare la cura da avere nella scelta dei canditati all’episcopato, l’immunità da ingerenze laicali nella scelta dei ministri sacri, l’obbligo per il vescovo di astenersi dal ricevere denaro, l’obbligo di non conferire gli ordini sacri dietro compenso, pena la deposizione per ordinati e ordinanti.

La simonia nella società feudale

La simonia è ampiamente testimoniata nell’età merovingia, ma si diffuse in modo particolare nella società feudale, più precisamente nell’epoca postcarolingia, quando, all’acquisto di dignità ecclesiastiche, si legò il godimento di grandi possessi fondiari, di veri e propri feudi e di ampi diritti giurisdizionali nelle campagne e nelle città. Ciò comportava, tra l’altro, che vescovi e di abati, per fronteggiare le spese incontrate, gravassero spesso sui loro sudditi. Con il Capitolare di Quierzy  (14 giugno 877) che sancì, di fatto, il passaggio per eredità delle cariche feudali maggiori, re e imperatori trovarono comodo assegnare grandi poteri temporali ai vescovi e, per di più, si riservarono il potere di nomina, spesso sulla base di criteri strettamente mondani, ignorando, quindi, completamente le attitudini etico-religiose del loro prescelto.

La lotta per le investiture e la simonia curiale

La nomina di ecclesiastici da parte di laici entrò nella prassi degli imperatori tedeschi con la politica clericale di Ottone di Sassonia detto ‘il Grande’ e fu anche alla base della lotta per le investiture nei secoli XI e XII. Al contrario, la Chiesa romana tentò di contrastare la simonia precisando la legislazione in merito e cercando di rendere la nomina dei vescovi autonoma dal potere laico, soprattutto nell’XI secolo con i Papi Riformatori, Leone IX, Gregorio VII, Innocenzo III, Urbano II e Pasquale II. Purtroppo, però, essa era profondamente connessa al potere politico-economico dei benefici ecclesiastici. Accadde che proprio l’accentramento del potere nella curia romana portò ad una diffusione del fenomeno anche in questa; in breve, alla polemica contro il clero simoniaco si unì quella contro la simonia curiale e neppure alcune nomine al soglio pontificio furono esenti da sospetti di simonia.

La condanna della simonia nel Decretum di Graziano

Quando, dopo anni di lotta, si giunse infine ad un accordo, la moltitudine di testi raccolti in occasione di quella polemica e le riflessioni da esse scaturite entrarono nell’opera degli scrittori ecclesiastici e nelle collezioni canoniche, fino a trovare accoglienza nella raccolta di Graziano, il Decretum o Concordia Discordantium Canonum. Il tema della symoniaca heresis si trova principalmente, anche se non esclusivamente, nella prima causa della seconda parte del Decretum, incisivamente definita dallo stesso autore come la “causas symoniacorum”. Era palese l’intento di esporre la dottrina dei padri e la disciplina della Chiesa sul problema della simonia, e più specificamente, delle ordinazioni simoniache.

La simonia dall’epoca moderna ai nostri giorni

I vari tentativi di riforma cattolica tra il Quattrocento e il Cinquecento, la riforma protestante, la controriforma cattolica affrontarono, da vari punti di vista (morale, canonico, politico), il tema finché il Concilio di Trento definì la legislazione in proposito.

Tornando al giorno d’oggi, il Catechismo della Chiesa Cattolica considera  la simonia un peccato contro il primo comandamento, insieme con l’azione di tentare Dio e il sacrilegio. Secondo il codice di Diritto canonico del 1983 (can. 188) la rinuncia di un ufficio, fatta per simonia non è valida e la provvista simoniaca di un ufficio ecclesiastico è nulla ipso iure; sono previste anche sanzioni canoniche (sospensione o interdetto) contro il conferimento o la ricezione simoniaca di un sacramento (can. 1380).

Note

[1] “Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare con denaro il dono di Dio”. Nuovo Testamento, Atti degli Apostoli, cap. 8, v. 20.

[2] A. Recchia, Symoniaca heresis. Denaro e corruzione nella Chiesa da Gregorio Magno a Graziano, in “Studia” vol. 82, Urbaniana University Press, Roma (2022), 31.

 

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

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Maria Cives

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