Forme di Vita Consacrata: gli Istituti Religiosi (cann. 573; 607)

Istituti Religiosi

Uno dei temi in cui spesso prevale l’incertezza contenutistica e disciplinare è quello che riguarda la varie tipologie di Vita Consacrata e le differenze con le Società di Vita Apostolica. A tale scopo si è scelto di offrire un approfondimento, di natura generale, che possa garantire al Lettore un primo approccio al tema, iniziando la nostra trattazione con gli Istituti Religiosi.

Il Codice

Il Codice del 1983 disciplina gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita Apostolica nel Libro II, denominato Il Popolo di Dio (di cui abbiamo offerto una introduzione QUI), nella Parte III, dai cann. 573 al can 746. Il primo canone della sezione introduce alla comprensione di cosa sia la “vita consacrata” esplicitandone gli elementi costitutivi di essa, mediante l’indicazione dei tratti comuni ad ogni forma:

“§1. La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una forma stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo più da vicino per l’azione dello Spirito Santo, si dànno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa. In tal modo, dedicandosi con nuovo e speciale titolo al suo onore, alla edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, siano in grado di conseguire la perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso, preannuncino la gloria celeste”. 


È evidente lo spessore teologico contenuto nel §1 del canone, da cui emerge che: la vita consacrata è una forma di vita evangelica, che si realizza mediante la professione dei consigli evangelici e che consente di seguire Cristo più da vicino. Ciò è possibile grazie all’azione dello Spirito Santo, che sospinge il fedele spingendolo a donarsi totalmente a Dio, che diviene l’Amore sopra ogni altro amore. È quindi evidente che la vita consacrata, in ogni sua forma, è frutto dello Spirito Santo. La sua natura, di conseguenza, è carismatica e non sacramentale, né gerarchica.

Un’adesione teologica ma anche giuridica

Grazie a questa adesione interiore, il battezzato si dedica all’edificazione della Chiesa, ricercando la perfetta carità e aspirando a divenire segno luminoso, che preannuncia la vita eterna. Queste caratteristiche teologiche assumono nel Codice, anche una connotazione giuridica, che viene sintetizzata nel paragrafo successivo:

§2. Negli istituti di vita consacrata, eretti canonicamente dalla competente autorità della Chiesa, una tale forma di vita viene liberamente assunta dai fedeli che mediante i voti, o altri vincoli sacri a seconda delle leggi proprie degli istituti, professano i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza e per mezzo della carità, alla quale essi conducono, si congiungono in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero.


Con il termine Istituto il Legislatore ha inteso raggruppare le varie tipologie di comunità religiose che sono state riconosciute formalmente ed erette canonicamente: coloro che abbracciano tale forma di vita acquisiscono un nuovo status di vita giuridico. Il “legame” che unisce il battezzato all’ Istituto è un voto o un altro vincolo sacro, come una promessa o un giuramento. La scelta dipenderà dalle Leggi proprie dell’Istituto stesso nel quale si professa. Il contenuto del voto verte sulla castità, povertà e obbedienza (in casi rari può essere presente anche un quarto voto). Il vincolo è definito “sacro” dallo stesso Legislatore, dunque impegna il battezzato direttamente davanti a Dio.

Che ruolo svolge la Chiesa?

È da evidenziare il ruolo che ha la Chiesa che consiste nell’ accogliere ciò che è già esistente: infatti non è la Chiesa gerarchica a generare la vita consacrata, ma essa è frutto dello Spirito Santo, che la suscita e la sorregge. Alla Chiesa spetta il compito di interpretarla, regolarla, autenticarla, canonizzarla e sostenerla (cfr can. 576).

Il Codice disciplina, inoltre, alcune norme comuni a tutti gli Istituti di Vita Consacrata, che vanno dal can. 573  al can. 606, e solo successivamente introduce i canoni che specificano le varie tipologie. È da evidenziare una situazione anormale che si ha tra le norme comuni per gli Istituti di Vita Consacrata, infatti il Legislatore ha inserito, tra esse, anche la vita eremitica (can. 603) e l’ordine delle vergini (can. 604), pur non essendo affatto “istituti” di vita consacrata, bensì, forme individuali di consacrazione.

Gli Istituti Religiosi

Dopo aver compreso che cosa si intenda per vita consacrata, si può tentare un approccio particolare. È il Codice stesso che affronta il cammino con gradualità e dopo l’introduzione generale si avvia alle differenze, presentando: Gli Istituti Religiosi (cann. 607- 709); Gli Istituti secolari (cann. 710- 730) e le Società di Vita Apostolica (cann. 731- 746). In questo contributo approfondiremo gli Istituti religiosi, poiché la vita religiosa indica la forma di vita consacrata per antonomasia, ed è anche la forma più diffusa. Ad essa fanno riferimento tutte le altre forme. Il Legislatore ne evidenzia le caratteristiche portanti, teologiche e giuridiche, sulla base delle quali si potranno far emergere le differenze con le altre forme.

Il canone 607, nei suoi 3 paragrafi, consente di indicare le principali caratteristiche:

Can. 607 – §1. La vita religiosa, in quanto consacrazione di tutta la persona, manifesta nella Chiesa il mirabile connubio istituito da Dio, segno della vita futura. In tal modo il religioso porta a compimento la sua totale donazione come sacrificio offerto a Dio, e con questo l’intera sua esistenza diviene un ininterrotto culto a Dio nella carità.

Da vita consacrata a vita religiosa

Dalla nomenclatura “vita consacrata”, analizzata in precedenza, si passa a “vita religiosa”, volendo indicare con essa una modalità specifica di vivere la vita consacrata. Questa vita religiosa si caratterizza per la consacrazione di tutta la persona a Dio. Il battezzato, che abbraccia tale stato di vita, diviene un sacrificio offerto a Dio come una oblazione, così che: «La consacrazione totale del religioso manifesta ecclesialmente una specie di matrimonio sacrificale e cultuale con Dio, che allude alla vita futura» [1]

Il  Codice, dopo  aver indicato i tratti teologici della vita religiosa, nel §2 dello stesso canone, individua il concetto giuridico di Istituto religioso:

§2. L’istituto religioso è una società i cui membri, secondo il diritto proprio, emettono i voti pubblici, perpetui oppure temporanei da rinnovarsi alla scadenza, e conducono vita fraterna in comunità.

All’interno di un unico termine “Istituto”, il Legislatore fa rientrare tutte le varie tipologie che sono nate nei secoli, e che per diritto proprio sono denominate: Ordine, Congregazione, Religione, Fraternità, Famiglia, ecc… Invece, il termine società indica che si è davanti, non solo ad una ricchezza carismatica spirituale, bensì anche ad una realtà giuridica oggettiva: un insieme di persone che abbracciano uguali diritti e doveri spirituali e giuridici. Infatti, la partecipazione a questa “società” è garantita dalla professione dei voti, che per gli Istituti religiosi sono, solo ed esclusivamente, voti pubblici.

Il voto

Si esige allora un breve accenno anche sulla nozione di “voto” a cui il Codice, nel Libro IV (di abbiamo già trattato QUI), al Titolo V, dedica 8 canoni, dal can. 1191 al can. 1198. Esso indica, concretamente, una promessa, deliberata e libera, fatta a Dio di un bene possibile. Affinché sia valido, il voto di un Istituto religioso deve essere pubblico: cioè emesso nelle mani di un superiore ecclesiastico legittimo, e che sia da questo stesso accolto a nome della Chiesa. Negli IR, il voto è messo in relazione anche con la categoria del tempo, poiché esso può essere perpetuo: cioè emesso per tutta la vita; o temporaneo: dunque rinnovabile alla scadenza.

Inoltre, il Codice non presenta più alcuna distinzione tra i cosiddetti voti semplici e voti solenni, poiché giuridicamente l’effetto sostanziale è lo stesso, ma alcuni Istituti, per loro tradizione professano ancora voti solenni. Questi sono gli Ordini di antica tradizione, per i quali la “solennità” assume il significato specificato dal diritto proprio. Vi è poi, una ulteriore caratteristica degli Istituti religiosi: la vita dei membri deve essere vissuta in una comunità a questo stabilita. La vita fraterna, vissuta in comunità, diventa un elemento necessario e qualificante della vita religiosa. Essa emergerà anche come caratteristica specifica di essi, quando saranno posti in relazione ad altre forme di vita consacrata, che non la prevedono.

Il terzo e ultimo paragrafo, così specifica:

§3. La testimonianza pubblica che i religiosi sono tenuti a rendere a Cristo e alla Chiesa comporta quella separazione dal mondo che è propria dell’indole e delle finalità di ciascun istituto.

La testimonianza evangelica

È qui canonizzata la categoria della testimonianza evangelica che il religioso è chiamato a dare ai fratelli. Essa si manifesta nella separazione dai valori della mondanità, nell’esempio di una vita povera e semplice, e nell’indicare la supremazia dei valori del Vangelo con lo sguardo perennemente rivolto  alla vita eterna.

Infine, per rendere esaustiva la trattazione sugli Istituti religiosi, è da precisare che essi possono essere definiti come: Istituti Religiosi di diritto pontificio o Istituti Religiosi di diritto diocesano: la differenza risiede nel fatto che i primi dipendono totalmente dalla Santa Sede, essendo stati riconosciuti da Essa, mentre i secondi, godono, al momento, solo dell’approvazione del Vescovo diocesano, sono quindi legati ad una specifica diocesi. Alla luce dell’analisi compiuta sugli Istituti Religiosi, si potranno comprendere le differenze contenutistiche, teologiche e giuridiche, degli Istituti secolari e delle Società di Vita Apostolica a cui dedicheremo i successivi contributi.

Note e Bibliografia:

1. ANDRES D., Il Diritto dei religiosi. Commento esegetico al canone, EDIURCLA, Roma 1999, 62.

ANDRÉS D., Il Diritto dei religiosi. Commento al Codice, Roma 1984.

DE PAOLIS V., La vita consacrata nella Chiesa. Edizione rivista e ampliata a cura di MOSCA Vincenzo, Marcianum Press, Venezia 2010.

QUADERNI DI DIRITTO ECCLESIALE (a cura della Redazione), Codice di diritto canonico commentato, Áncora, Milano 2001.

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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Sr. Maria Romano

Sr. Maria Romano

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