La certezza morale invocata nel can. 1342: un richiamo pericoloso se equivocato

certezza
Filippino Lippi, allegoria della Fede, affresco 1489/95, Cappella Filippo Strozzi, Basilica di Santa Maria Novella, Firenze

Scriveva saggiamente il Cardinale Pericle Felici in una sua prolusione del 1977 tenuta all’Arcisodalizio della Curia Romana sul tema le formalità giuridiche e la valutazione delle prove nel processo canonico: “È inutile invocare nuovi testi legislativi, sia pure più semplici, meno formalistici, se non vi saranno persone sagge ed esperte che sappiano far vivere la legge con sapienza, giustizia e carità, cioè con spirito pastorale”[1].

La certezza morale istituto squisitamente processuale

L’istituto della certezza morale è una peculiarità del diritto processuale canonico. Infatti se mentre negli ordinamenti secolari al giudice è richiesto il raggiungimento, pur in un’ottica di acquisizione probatoria molto stringente, del libero convincimento[2] quale certezza che porta alla pronuncia della sentenza; nell’ordinamento canonico tale requisito non è sufficiente, essendo richiesto invece il raggiungimento di un requisito ancora più profondo e pregnante quale appunto è la certezza morale, di cui abbiamo già ampiamente trattato QUI.

Già il diritto romano sia nel periodo classico e anche successivamente nel periodo giustinianeo esigeva nel giudice tale certezza. Scriveva l’Imperatore Adriano in una risposta a Valerio Vero: “ex sententia animi tui te aestimare oportere”[3].

Il Codice Piano-benedettino consacrò tale principio della certezza morale nel paragrafo 1 del canone 1869, che recitava: “Ad pronuntiationem cuiuslibet sententiae requiritur in iudicis animo moralis certitudo circa rem sententia definiendam”.

Ed anche il Papa Pio XII, nella Allocuzione alla Rota del 1° ottobre 1942 ribadì l’importanza della certezza morale, parlando di triplice certezza: quella assoluta, nella quale è escluso qualsiasi dubbio sulla verità ed il suo contrario; quella quasi assoluta, che è solo una maggiore o minore probabilità senza esclusione del timore del contrario; e quella morale, che sotto l’aspetto positivo esclude ogni fondato e ragionevole dubbio e sotto l’aspetto negativo non toglie in assoluto la possibilità del contrario e perciò è diversa da quella assoluta.

La certezza morale nel CIC 1983

Il principio della certezza morale è stato trasfuso ed ha trovato pieno accoglimento nel canone 1608 del CIC 1983. Tale norma recita nei paragrafi 1, 2 e 3: “Per pronunciare una sentenza qualsiasi si richiede nell’animo del giudice la certezza morale su quanto deve decidere con essa. Il giudice deve attingere questa certezza dagli atti e da quanto è stato dimostrato. Il giudice deve poi valutare le prove secondo la sua coscienza, ferme restando le disposizioni della legge su l’efficacia di talune prove”.

Tralasciando la menzione del paragrafo 4 del medesimo canone, che troverà trattazione in appresso, si evince che la certezza morale che il giudice è chiamato a maturare riguardo all’oggetto del processo che deve essere definito con la sentenza, non è una certezza fisica o metafisica, né tantomeno una mera probabilità o una convinzione, bensì deve basarsi su leggi logiche ed etiche che guidano la condotta umana.

La certezza morale ed il can. 1342 § 1 CIC

Il canone 1342 § 1 così come modificato dalla Costituzione apostolica Pascite gregem Dei entrata ormai in vigore dall’8 dicembre scorso, richiama il can. 1608, quindi il principio della certezza morale, con riguardo alla applicazione della pena con decreto extragiudiziale.

È opportuno riportare la norma che così recita: “Ogniqualvolta giuste cause si oppongono a che si celebri un processo giudiziario, la pena può essere inflitta o dichiarata con decreto extragiudiziale, osservato il can. 1720, specialmente per quanto riguarda il diritto di difesa e la certezza morale nell’animo di chi emette il decreto a norma del can. 1608. Rimedi penali e penitenze possono essere applicati per decreto in qualunque caso”.

Riserva normativa anche per la via amministrativa?

Il dettato di tale nuova norma sembrerebbe aprire la possibilità ad una domanda fondamentale, cioè “Se la certezza morale è legata al convincimento del giudice nella emanazione di una sentenza, come è possibile che essa venga estesa anche ai provvedimenti amministrativi inflittivi o dichiarativi di pene, che sentenze non sono?”

Potrebbe configurarsi una riserva normativa per cui adesso la certezza morale possa essere estesa anche ai provvedimenti non definitori di una controversia in via processuale, ma anche ai provvedimenti extragiudiziali che se pur applicano una pena al di fuori del processo, comunque non possono essere considerati alla stregua di una sentenza che rappresenta la fase finale di un intero procedimento.

In buona sostanza si apre a nuove interpretazioni l’applicazione dell’istituto della certezza morale non più visto strettamente legato al convincimento del giudice nella emanazione della sentenza, ma anche accostato ai provvedimenti amministrativi che sono da inquadrarsi nel rango dei decreti e non già in quello definitorio di una sentenza emanata al termine dell’iter processuale.

Note

[1] Cfr. Communicationes, IX (1977), 184.

[2] Cfr. P. Tonini, Diritto processuale penale, Milano 2018, 604-606.

[3] Cfr. G. Nicosia, Nuovi profili istituzionali essenziali di diritto romano, Catania 2002, 143.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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