Il Concilio Vaticano I e i prodromi del Codice del 1917

Vaticano I

L’approfondimento della storia del diritto canonico inizia ad avvicinarsi ai giorni nostri.

Con quest’articolo sarà approfondito il periodo compreso tra il XIX secolo e l’inizio del Novecento, fino alle soglie della promulgazione del Codice pio-benedettino.

Si tratta di un periodo di grande riflessione ecclesiologica, di una Chiesa che, stretta nella morsa dei nazionalismi e dell’affermazione della supremazia del diritto statale su ogni altra forma di regolazione, rivendica la propria natura di societas iuridice perfecta.

Sono anche gli anni in cui si pongono le basi per i nuovi rapporti con una civiltà che tende alla secolarizzazione e alla negazione della centralità di Dio.

Il diritto canonico nell’Ottocento

Lo sconvolgimento che l’Illuminismo e la Rivoluzione francese hanno portato in Europa non lasciarono indenne la Chiesa cattolica.

La Francia divenne la propugnatrice di una laicità anticlericale, che condusse a gravi persecuzioni.

L’equiparazione della fede alla superstizione e la diffusione di un’idea teista e individualistica della religione divennero la causa di un progressivo isolamento dei cattolici.

Inoltre, l’avventura dispotica di Napoleone, che si spinse fino a imprigionare Papa Pio VII nel 1813, sbaragliò l’organizzazione ecclesiastica, sempre più in difficoltà nel compiere la propria missione non solo evangelizzatrice, ma anche di assistenza sociale.

Alle ingerenze giurisdizionalistiche, che comportarono la soppressione di alcuni ordini religiosi e l’incameramento dei beni ecclesiastici, si aggiunse il disconoscimento del diritto canonico, ritenuto inadatto a comporre gli interessi nella nuova società.

Ne sono esempi l’introduzione del matrimonio civile come unica forma di connubio civilmente rilevante (in Francia nel 1804 e in Italia nel 1866), l’abolizione del privilegio del foro ecclesiastico, la soppressione delle facoltà di teologia e delle cattedre di diritto canonico nelle facoltà giuridiche.

A questa grave situazione, la Chiesa rispose, da un lato, con un potenziamento dell’attività missionaria in ambito extraeuropeo, e, dall’altro, con la riaffermazione della propria indipendenza dallo Stato e della superiorità del diritto canonico, finalizzato alla salvezza eterna, rispetto al diritto secolare, che si limita a garantire il benessere terreno.

Il Concilio Vaticano I

Nella burrasca che stava per colpire lo Stato Pontificio a causa dell’Unità d’Italia, la Chiesa raggiungeva un punto fermo: convocato da Pio IX con la bolla Aeterni Patris, l’8 dicembre 1869, si apriva in Vaticano il Concilio Ecumenico.

Quest’assise, interrotta dalla debellatio dello Stato Pontificio e l’annessione di Roma all’Italia, è nota per la solenne dichiarazione del dogma dell’infallibilità papale.

Non solo, durante il Concilio fu promulgata la Costituzione dogmatica sulla fede cattolica Dei Filius, che riaffermò la dottrina del Dio Creatore di tutte le cose, la dimostrabilità razionale dell’esistenza di Dio, il carattere essenziale della Rivelazione e la non contraddittorietà tra scienza e fede.

Tornando al dogma dell’infallibilità, è bene riferirsi alle parole stesse del documento conciliare in cui è sviluppata la verità di fede, la Costituzione Pastor Aeternus:

Itaque nos […] docemus et divinitus revelatum dogma esse definimus: Romanum pontificem, cum ex cathedra loquitur, id est, cum omnium christianorum pastoris et doctoris munere fungens, pro suprema sua apostolica auctoritate doctrinam de fide vel moribus ab universa ecclesia tenendam definit, per assistentiam divinam, ipsi in beato Petro promissam, ea infallibilitate pollere, qua divinus Redemptor ecclesiam suam in definienda doctrina de fide vel moribus instructam esse voluit; ideoque eiusmodi Romani pontificis definitiones ex sese, non autem ex consensu ecclesiae irreformabiles esse.

Si tratta di una formulazione complessa che, a causa degli eventi che colpirono la Sede Apostolica in quel periodo, rimase priva di una completa riflessione sulla struttura della Chiesa, oggetto, poi, del Concilio Vaticano II.

Qui basti considerare che l’apostolo Pietro è stato posto da Cristo come capo della Chiesa in terra e che, con la trasmissione dell’ufficio, ogni Pontefice è successore di Pietro e vicario di Cristo.

Da ciò deriva la pienezza e il carattere supremo della potestà del Papa, attributi che ineriscono in via ordinaria all’ufficio.

Precisazioni sull’infallibilità

Sotto il profilo dell’infallibilità, è bene sgombrare il campo da facili fraintendimenti: il Papa è infallibile non in ogni atto che compie o in ogni parola che proferisce, bensì nel momento in cui sono adempiute le condizioni per l’esercizio di questa prerogativa.

Pertanto, è uno speciale carisma, in virtù del quale lo Spirito Santo assiste e preserva dall’errore il Romano Pontefice singolarmente e, come verrà meglio precisato nel Concilio Vaticano II, il Collegio Episcopale in comunione con lui, nell’esercizio del munus docendi.

Limitandoci all’infallibilità papale, perché essa sussista, è necessario che:

  • il Papa agisca in qualità di pastore e dottore universale;
  • il pronunciamento sia definitivo;
  • il pronunciamento riguardi verità di fede e di morale;
  • il Papa faccia riferimento alla propria suprema autorità apostolica.

In definitiva, siamo davanti al cosiddetto magistero straordinario o solenne, non una manifestazione assolutistica, ma un servizio alla Verità, a tutela del popolo di Dio.

Le basi per la prima codificazione

La tendenza giuridicizzante che si era palesata verso la fine dell’Ottocento sfociò nella consapevolezza dell’esigenza di una riforma delle fonti canonistiche.

Fino a tutto l’Ottocento, il diritto era contenuto nel Corpus Iuris Canonici e nei documenti del Concilio di Trento: un materiale stratificato, ritenuto inadeguato per la Chiesa che si affacciava al mondo secolarizzato.

Vi furono numerosi dibattiti, stimolati dagli stessi Pontefici e abbozzati già nel corso delle discussioni del Concilio Vaticano I, tra chi era favorevole e chi contrario all’adozione della forma codicistica.

Infatti, il problema non era solo legato al riordino delle fonti, ma alla stessa opportunità di cristallizzare in norme generali e astratte il multiforme diritto della Chiesa.

Al contrario, a favore dell’opzione dell’adozione di un codice, militava l’azione di Pio X, espressa dal suo motto pontificio Instaurare omnia in Christo.

Era fondamentale ridare dignità e certezza al diritto canonico e superare ogni possibile obiezione alla natura giuridica delle relazioni nella Chiesa.

Il Codice pio-benedettino sarà un punto di non ritorno.

Anche se non riuscirà a resistere all’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, l’impronta istituzionale e disciplinare sarà un’eredità dalla quale non sarà più possibile prescindere.

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Bibliografia

  • G. Alberigo (a cura di), Conciliorum Oecumenicorum Decreta, III ed., Istituto per le Scienze Religiose, Bologna, 1973.
  • B. Berkmann, La codificazione del diritto compromette la sua flessibilità? Il diritto canonico comparato con altri diritti religiosi, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, n. 28/2017.
  • M. Dal Pozzo, La scienza costituzionale canonica nella codificazione del 1917, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, n. 3/2018.
  • N. A. De Las Asturias, Il Codice di Diritto Canonico del 1917 quale oggetto storico, in “Ius Ecclesiae”, n. 23/2011, pp. 745-764.
  • F. Falchi, La soppressione del corso autonomo di diritto canonico delle facoltà giuridiche disposta dal ministro Bonghi nel 1875, in  M. Miele (a cura di), Gli insegnamenti del diritto canonico e del diritto ecclesiastico dopo l’Unità d’Italia, Il Mulino, Bologna, 2015, pp. 375-469.
  • C. Fantappiè, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, Il Mulino, Bologna, 2011.
  • G. Feliciani, La codificazione per la Chiesa latina: attese e realizzazioni. Dobbiamo tornare alle Decretali?, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, n. 38/2018.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

 

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