Lo ius iudicandi del Romano Pontefice

Il Papa è capo degli Apostoli e servo dei servi di Dio, Capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale.

Ai sensi del can. 331 CIC, il Romano Pontefice è titolare di una potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, che può sempre esercitare liberamente, in quanto egli è al vertice di tutta la gerarchia ecclesiastica sia di ordine che di giurisdizione.

La potestà però non è “assoluta” giacché vi è la supremazia del diritto divino naturale e positivo. Infatti, negli «Stati d’ancien régime, grazie alla concezione dell’assolutezza del potere, il sovrano era legibus solutus, non aveva altra autorità o altra legge sopra di sé»; invece, ciò non è applicabile al diritto canonico perché in esso «non c’è assolutezza di potere e quindi in radice è di principio impossibile il verificarsi di situazioni del genere»[1].

Inoltre, tale suprema potestà del Papa implica necessariamente che la potestà dei Vescovi diocesani possa essere soltanto «relativamente piena», potendo essere affievolita dal Romano Pontefice, come affermano il decreto “Christus Dominus” e la cost. dogm. “Lumen gentium”.[2]

 

L’ambito giurisdizionale della Chiesa

Prima di proseguire, è bene chiarire l’ambito esclusivo di giurisdizione della Chiesa. Secondo il canone 1401 CIC, la Chiesa giudica cause aventi ad oggetto beni spirituali, come ad esempio la validità di un battesimo, di un matrimonio o di un’ordinazione sacra, e quelli annessi alle cose spirituali, ovvero quelle che hanno carattere accessorio rispetto a queste ultime, come legati pii, alienazioni etc.

Giudica inoltre la violazione delle leggi ecclesiastiche e di tutto ciò in cui ricorre la ratio peccati, da interpretarsi non in senso morale, ma giuridico e come tali concernenti il fòro esterno[3].  È chiaro dunque che tale potestà giudiziale non si estende alle cause che riguardano l’ambito civile.

 

Il canone 1405 §1: il foro personale del Romano Pontefice

Il canone 1405 §1 stabilisce il foro personale del Romano Pontefice a iure, con la conseguenza giuridica dell’incompetenza assoluta di qualsiasi altro giudice[4]. I soggetti contemplati dal canone 1405 par. 1, nn. 1-3 (capi di Stato, Padri Cardinali, Legati della Sede Apostolica e nelle cause penali i Vescovi), sono dunque per legge obbligati a rivolgersi al Romano Pontefice nelle cause previste dal can. 1401 CIC che abbiamo appena esaminato. Essi cioè sono per diritto sottoposti al foro personale del giudice supremo. Ma potrebbe un fedele qualsiasi deferire la sua causa al Santo Padre?

 

Commento al canone 1417 CIC

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo analizzare il canone 1417 CIC:

  • 1. In forza del primato del Romano Pontefice, qualunque fedele è libero di deferire al giudizio della Santa Sede la propria causa, sia contenziosa sia penale, in qualsiasi grado di giudizio e in qualunque stadio della lite, oppure d’introdurla avanti alla medesima.
  • 2. Tuttavia la richiesta interposta alla Sede Apostolica non sospende, salvo il caso di appello, l’esercizio della giurisdizione nel giudice che ha già cominciato a giudicare la causa; e questi può pertanto proseguire il giudizio fino alla sentenza definitiva, a meno che la Sede Apostolica non gli abbia comunicato di avere avocato a sé la causa”.

In riferimento al canone 1417 CIC, per “Santa Sede” si deve intendere esclusivamente il Romano Pontefice e non la curia romana. In virtù di questo, ogni fedele può deferire al giudizio della Santo Padre qualsiasi tipo di causa, in qualunque stadio del giudizio essa si trovi (in caso di lite pendente) oppure anche introdurla direttamente alla stessa[5].

Tuttavia questo non implica che al diritto dei fedeli di rivolgersi al Papa corrisponda un obbligo per quest’ultimo di giudicare le cause deferite alla Santa Sede[6]. È invece questo un diritto del Romano pontefice di avocare, ovvero auto assumere, a sé qualsiasi causa, accordando così ai fedeli la facoltà di chiedere tale avocazione, che può quindi essere concessa o negata.

Il paragrafo 2 del canone 1417 CIC, considera gli effetti dell’intervento del giudice supremo su richiesta dei fedeli: essa non ha effetto sospensivo, nel senso che non impedisce al giudice, che abbia già iniziato a trattare la causa, di proseguire ulteriormente sino all’emanazione della sentenza definitiva[7]. Il motivo di questa scelta è semplice: la domanda al Santo Padre non deve essere un espediente per allungare i tempi, ma deve avere una giusta motivazione.

Tuttavia ci sono due eccezioni in cui l’esercizio della giurisdizione da parte del giudice competente è sospeso: nel caso il fedele abbia presentato appello al Papa contro la sentenza, e nel caso in cui la Santa Sede comunichi al giudice di aver avocato a sé la causa.

In questi due casi, qualora il giudice decida comunque di proseguire la causa senza sospenderla, lo stesso verrà ritenuto assolutamente incompetente, con conseguente nullità insanabile della sentenza. Ci si potrebbe chiedere: ma il Papa può decidere di revocare la concessa avocazione? Sì, può farlo, con l’effetto che la causa viene restituita al tribunale inferiore nello stato dove si trovava al momento del ricorso[8].

Arrivati a questo punto, ci si domanderà come il Santo Padre possa esercitare in concreto il suo ius iudicandi. Ebbene, occorrerà fare riferimento ad un altro canone del nostro Codice di Diritto Canonico, per l’esattezza al can. 1442 CIC.

 

L’esercizio dello ius iudicandi da parte del Romano Pontefice

Can. 1442 – Il Romano Pontefice è giudice supremo in tutto l’orbe cattolico, e giudica o personalmente o tramite i tribunali ordinari della Sede Apostolica oppure per mezzo di giudici da lui delegati.

Si legge nella prima parte del canone in esame che il Romano Pontefice è il giudice supremo in tutto il mondo cattolico; questo è un riferimento al canone 331 CIC già prima menzionato.

Nella seconda parte del canone invece, viene specificato in che modo il Papa esercita la sua potestà giudiziale. Può giudicare infatti personalmente, oppure tramite i tribunali ordinari della Sede Apostolica (ovvero la Rota Romana, la Segnatura Apostolica e il supremo tribunale della Congregazione per la Dottrina della Fede in tema di delicta reservata, per il fòro esterno, e la Penitenzieria Apostolica per il fòro interno), o tramite i giudici da lui stesso delegati.

 

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Note bibliografiche

[1] G. Dalla Torre, “Qualche riflessione su processo canonico e principio del «giusto processo»”, in Janusz Kowal – Joaquín Llobell (a cura di), in «Iustitia et iudicium». Studi di diritto matrimoniale e processuale canonico in onore di Antoni Stankiewicz, 3 (2010), p. 1305.

[2] «Episcopis (…) in dioecesibus ipsis commissis per se omnis competit potestas ordinaria, propria ac immediata, quae ad exercitium eorum muneris pastoralis requiritur, firma semper in omnibus potestate quam, vi muneris sui, Romanus Pontifex habet sibi vel alii Auctoritati causas reservandi» (Concilio Vaticano II, decr. “Christus Dominus”, n. 8a). Cfr. Concilio Vaticano II, cost. dogm. “Lumen gentium”, n. 27a.

[3] Cfr. Chiappetta, Il Codice di diritto, n. 5088.

[4] J. Jamin, Il foro personale del Romano Pontefice per i Capi di Stato, in «Ius Ecclesiae» 27 (2015), p. 563.

[5] C. Papale, I Processi. Commento ai canoni 1400-1670 del Codice di Diritto Canonico, UUP, Città del Vaticano, 2017, p. 43.

[6] Z. Grocholewski, Il Romano Pontefice come giudice supremo della chiesa, in «Ius Ecclesiae» 7 (1995), p. 48.

[7] C. Papale, I Processi, p. 44.

[8] P.V. Pinto, I processi nel Codice di diritto canonico, Commento sistematico al libro VII, UUP, Città del Vaticano, 1993, p. 88.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

 

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