Prima Sedes a nemine iudicatur. Un principio canonico effettivo sin da sempre?

Con questa frase si vuole esprimere, un concetto che tutti noi cristiani diamo per scontato ovvero la supremazia del papato rispetto le altre sedi. Ma è sempre stato cosi? Quello che cercheremo di capire in questo articolo sarà proprio questo. Analizzando le fonti dei primi secoli, torneremo indietro nel tempo, dove tutto è iniziato, partendo da Pietro umile pescatore della Galilea.

Se da una parte nel Vangelo troviamo il fondamento Petrino[1], successivamente ci furono molte contestazioni e dubbi sul primato della chiesa di Roma , anche se questo principio si può ritenere valido fin dal inizio con esclusione di alcuni ben precisi momenti storici.

Inequivocabilmente la figura di Pietro viene messa in risalto da tutti e quattro gli evangelisti. L’inizio del mistero Petrino senza dubbio alcuno posa le sue radici nel Vangelo, per volontà di Cristo stesso [2]:

Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”[3].
Oppure ancora “l’ha costituito pastore del di tutto il suo gregge”[4] e istituendo i dodici apostoli “sotto la forma di un collegio o di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro”[5].

Un’altra considerazione che si può ricavare è che il primato di San Pietro fosse per gli apostoli stessi inattaccabile. Gli apostoli quasi sicuramente vennero a conoscenza del rinnegamento di Pietro. Questo dato lo deduciamo dalla presenza del testo sia nei sinottici (Mc 14, 66-72; Mt 26, 69-75; Lc 22,56-62), sia nel Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,37-50 Gv 18,15-18-25-27).  Sembra impossibile che gli apostoli vengano lasciati allo scuro di un evento di così grande rilievo. Partendo da questo dato possiamo affermare che se non avesse avuto direttamente da Cristo stesso il suo mandato, Pietro non avrebbe potuto continuare il suo servizio a capo delle Chiesa.

Le prime testimonianze di cui conserviamo memoria sul primato iniziarono ad affiorare alla fine del I secolo e durante il II. I documenti più importanti a riguardo sono; la lettera di S. Clemente romano ai Corinzi e la lettera di S. Ignazio di Antiochia ai romani. Questi documenti ci permetto di capire il ruolo fondamentale della Chiesa di Roma e la propria competenza sulle altre chiese.

La Lettera di S. Clemente non si presenta come un intervento personale ma come un intervento della Chiesa romana di cui lui era a capo: “la Chiesa di Dio che pellegrina a Roma alla Chiesa di Dio che pellegrina in Corinto”. In questa lettera, S. Clemente, si rammarica di non essere intervenuto con celerità a una controversia ecclesiale che si stava svolgendo a Corinto. Nella stessa, inoltre, troviamo un invito alla concordia e all’unità, ma non rinuncia ad usare toni forti e richiami all’ordine. Ricordando la tradizione circa la successione dei ministeri nella Chiesa, facendo diventare la lettera, in alcuni tratti, addirittura minacciosa. Ribadendo, più volte, il primato personale del vescovo di Roma. Attestando così una responsabilità diretta della Chiesa di Roma nei confronti di quella Corinto.

La stessa consapevolezza la troviamo nella lettera di Sant’Ignazio di Antiochia ai romani il saluto che egli rivolge alla Chiesa di Roma è molto diverso da quello rivolto alle altre Chiese essa non è soltanto “la chiesa madre illuminata per volontà di colui che ha voluto tutte le cose che sono secondo la carità di Cristo”  ma è la Chiesa “Che presiede nel luogo della regione dei romani, degna di Dio, degno di onore, degna di beatitudine, degna di lode ben ordinata, casta e che presiede alla carità, avendo la legge di Cristo e il nome del padre”.

Queste affermazioni dunque non ci riportano soltanto ad un autorità morale, ma di fatto, al riconoscimento dell’autorità del primato di Roma. Di fatto la “supremazia” della Chiesa di Roma nel secondo e terzo secolo riguarda specificamente non tanto dei fattori politici, ma un sentimento legato alla dimora, e all’insegnamento al martirio di San Pietro e San Paolo nella città capitolina.

Altre due figure molto importanti sono quelle di Ireneo e Tertulliano che per affrontare gli gnostici sono costretti ad appellarsi alla fede trasmessa dalla tradizione apostolica conservata a Roma. Ireneo vescovo di Lione nella metà del II secolo indica nella comunione con Roma il criterio sicuro per conoscere l’autentica regola della fede, egli infatti scrive che la Chiesa di Roma : “È la chiesa più grande e più antica, conosciuta da tutti e stabilita a Roma dai gloriosi apostoli Pietro e Paolo[…] Pertanto a questa chiesa propter potentiorem principalitatem deve convergere ogni altra chiesa”. Risulta chiaro che il discorso di Ireneo riconosce più che una potenza politica, una autorità della Chiesa di Roma sulla fede e sulla comunione Cattolica.

Anche Tertulliano rispondendo ad alcuni eretici sostiene la supremazia della Chiesa di Roma:

la cui autorità è a disposizione anche di noi africani, felicissima chiesa alla quale gli apostoli hanno donato tutta la loro dottrina col loro sangue, dove Pietro ha subito una passione simile a quella del Signore”[12].

Tertulliano inoltre è uno dei primi autori ecclesiastici a richiamarsi a Matteo 16,16-19 contro gli eretici argomentando così il primato Petrino. Per ottenere una manifestazione chiara, più vicina a come la intendiamo noi ora, del primato Petrino dobbiamo aspettare il III secolo. Esattamente con Papa Stefano (254-257) che obbligò tutti a riconoscere la validità del battesimo amministrato dagli eretici e scismatici.

Sempre nel III secolo troviamo l’intervento di Cipriano che rivolge un invito a Papa Stefano per risolvere una crisi ecclesiale in Gallia questi interventi non erano nuovi al Papa, infatti come in precedenza fatto in Spagna aveva annullato la decisione di un sinodo episcopale che trattava una questione concernente due vescovi. Questi atti erano interventi di giurisdizione compiuti fuori dall’Italia e riconosciuti da tutti appropriati, legittimando di fatto così la sede di Roma.

In occasione della crisi ariana il ricorso al papa si ipotizzò come un mezzo per mettere fine a condanne reciproche. Gli ariani infatti avevano condannato Atanasio nel concilio di Tiro (355) ma in un concilio svoltosi a Roma il papa Giulio I lo ritenne unico titolare legittimo della sede di Alessandria. Allo stesso modo il concilio di Antiochia del 341 contestò la possibilità di fare appello contro le decisioni di un concilio provinciale. L’autorità del Papa in questo momento è ben distante dalla nostra attuale concezione.

Una svolta significativa fu segnata dal concilio di Sardica che sostenne la possibilità di ricorrere a Roma dopo una sentenza di condanna pronunciata da un concilio. Di fatto il papa non poteva correggere la sentenza ma poteva porre la questione di nuovo e chiedere una riformulazione del giudizio, che implicitamente significava essere al di sopra del concilio, ma solo formalmente. Questa fu anche la prima volta in cui un concilio riconosceva il Primato di Roma affermando il suo fondamento storico-teologico. Da sottolineare la figura di Papa Damaso che dà nuova luce alla sede di Roma anche con l’utilizzo dell’espressione Sedes Apostolica e più specificamente in una lettera del sinodo romano del 378 indirizzata agli imperatori dichiara che:

se Damaso è pari agli altri vescovi per quanto riguarda la sua funzione, egli prevale su di loro per la prerogativa della Sede Apostolica”.

Se da un parte ci avviciniamo alla concezione moderna, da un’altra parte il concilio stesso chiede che il papa potesse essere giudicato soltanto da un concilio e dall’imperatore [13].

Per avvicinarci alla parola primato come l’intendiamo noi oggi, dobbiamo aspettare Siricio che applicò la parola Primatus alla sede apostolica [14] . Da questo momento in poi, la parola Primatus diventa monopolio di Roma con l’interpolazione introdotta nel 439 dal concilio di Nicea: “La chiesa romana ha sempre avuto il primato”.

La novella diciassettesima di Valentiniano III nel 445 ratifica questa espressione. In effetti il Primato romano si afferma quindi nel vocabolario verso la metà del V secolo al tempo di San Leone [15]. Anche i grandi padri della Chiesa, Sant’Ambrogio, San Girolamo, e Sant’Agostino hanno posizioni contrastanti sul Primato della Sede di Roma. I primi due restano relativamente discreti [16], ma proprio Sant’Agostino ha una posizione molto volubile sul primato di Roma e in base alla situazione che si crea modula il suo comportamento, tuttavia senza mai negare il Primato.

Per ovvie ragioni di spazio non mi è possibile continuare in maniera esaustiva l’esposizione ma posso affermare che se da un parte il primato di Roma si consolida sempre di più dall’altra parte non mancarono nel corso del primo millennio i momenti in cui esso venne messo in discussione e il giudizio della prima sede era legato ai concili e agli imperatori, definendosi in maniera definitiva come lo conosciamo noi molto probabilmente solo con l’avvio della Riforma Gregoriana dove troviamo nel Dictatus Papae (1075) al numero XIX “quod a nemine ipse iudicare debeat”.

Da questo momento in poi il primato e la supremazia della Chiesa di Roma si estenderà in maniera universale rimanendo di fatto la Chiesa punto di riferimento per tutte le altre chiese che guarderanno da sempre a Roma come la madre di tutte le chiese.

 

Note

________________

[1] Cfr. Nuovo Dizionario di Diritto Canonico a cura di Velasio De Paolis, in Romano Pontefice, p. 932.
[2] CVI, Pastor aeternus, cap. II.
[3] Mt 16, 18-19.
[4] Gv 21, 15-17.
[5] CVII Lumen Gentium 19.
[6] Cfr. Prima Sedes a Nemine iudicatur, Salvatore Vacca, pag 12.
[7] CVII Lumen Gentium 24.

[8] Cfr. Consonantia salutis: studi su Ireneo di Lione a cura di Enrico Cattaneo e Luigi Longobardo, pag 75.
[9] Lettera di S.Ignazio ai Romani.
[10] ibidem.
[11] Cfr. Ireneo, Adversus Haereses III, 1,1; 3,2.
[12] Tertulliano, De praescriptione XXXVI, 1-3.

[13] Cfr. Nello Cipriani, in Augustinianum 1998, il primato del Vescovo di Roma nel Primo Millennio.
[14] Cfr. Minge, Patrologia Latina (20,516).

[15] Jean Gaudemet, Storia del Diritto Canonico p.160.
[16] Ibidem p.162

 

“Cum charitate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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Giovanni Pingitore

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