Il concetto di «imposta giusta» nell’ordinamento statuale e possibile rapporto con le tasse e tributi ecclesiastici

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Bartolomeo Manfredi, Il tributo a Cesare, 1610-1620, olio su tela, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Il potere impositivo della Chiesa diventa molto più ampio quando è lo Stato a riconoscere tale prerogativa. In tal modo il tributo ecclesiastico acquista efficacia anche civile, poiché è la legge dello Stato ad attribuire effetti vincolanti, come avviene in Germania, Austria e Svizzera.

In questi Paesi i contributi fiscali (Kultussteuer, tassa di culto) destinati alla confessione religiosa vengono riscossi dall’agenzia tributaria statale che riceve gli elenchi dalle confessioni religiose.

Relativamente a tali sistemi occorre, comunque, richiamare quella misura (moderatum) e prudenza, propria dell’ordinamento canonico, per evitare di indurre una parte dei fedeli ad allontanarsi dalla Chiesa “per ragioni fiscali”.

Con riferimento ai profili statuali, non esiste conflittualità per espressi (e noti) richiami teologici, in relazione ai quali si deve dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio (Mt 22, 17-21). San Paolo, aggiunge: «Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse (…)».

Al riguardo, Papa Francesco ci ricorda come Gesù risponda alla domanda provocatoria, evitando ogni forma di polemica: «da una parte, riconosce che il tributo a Cesare va pagato, perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma soprattutto ricorda che ogni persona porta in sé un’altra immagine, quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza, della propria vita».

Ribadisce, inoltre, il Pontefice che: «pagare le tasse è un dovere dei cittadini, come anche l’osservanza delle leggi giuste dello Stato (…) Evadere tasse giuste significa rubare sia allo Stato sia ai poveri».

L’intervento del Papa risulta in linea con l’ecclesiologia conciliare «non pochi non si vergognano di evadere, con vari sotterfugi e frodi, le giuste imposte o altri obblighi sociali […] Ogni persona ha il dovere di contribuire, in carità e giustizia, al bene comune, secondo le proprie capacità e i bisogni degli altri, promuovendo e assistendo le istituzioni pubbliche dedicate al miglioramento delle condizioni della vita umana» (Cost. past. Gaudium et spes, 30).

Di particolare interesse il riferimento alle «giuste imposte» perché testimonia l’attenzione della Chiesa per la materia. Al tempo stesso apre nuove analisi prospettiche circa i criteri assunti per delineare un concetto (non semplice) di «imposta giusta», con la possibilità di estendere, in via analogica, tali criteri anche alle tasse e ai tributi ecclesiastici.

Affiora, quindi, un naturale collegamento tra l’imposizione fiscale e la spesa pubblica (o di funzionamento della struttura ecclesiale), cui risulta prevalentemente destinata.

Difatti, richiamando e allineando i precisi contenuti della Dottrina sociale della Chiesa alla questione in esame, emerge che in ogni Comunità civile e politica – aggiungo religiosa – l’obiettivo verso cui tendere è la creazione di sviluppo economico e sociale (in ambito ecclesiale parleremo di evangelizzazione).

In definitiva, un sistema trasparente orientato al «bene comune», quale espressione di fondamentali principi di solidarietà/equità, nella destinazione delle risorse pubbliche ed ecclesiali, soprattutto per garantire in modo effettivo lo svolgimento delle attività istituzionali e, più in generale, la protezione dei più deboli.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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Giuseppe Rivetti

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