Vincenzo Irolli, in terrazza, olio su tela
Quando si è parlato del procedimento di Delibazione (QUI) si è detto che qualora la Corte di Appello adita accolga la domanda dell’attore, e renda esecutiva ed efficace la sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale nello Stato Italiano, potrebbe ritenere necessario emettere un provvedimento provvisorio di natura economica, in favore del coniuge ritenuto in buona fede, inconsapevole della causa di nullità, rinviando poi le parti al Tribunale competente per le statuizioni definitive. Trattasi dell’istituto del matrimonio putativo, che trova la sua disciplina negli artt. 128, 129 e 129 bis, e 584 del Codice Civile Italiano.
Cos’è il matrimonio putativo?
L’art. 128 del Codice Civile fornisce una definizione dell’istituto, ritenendolo come un matrimonio che, pur essendo stato dichiarato nullo, produce i medesimi effetti di un matrimonio valido nei confronti dei coniugi, o del singolo coniuge; che hanno contratto l’unione in buona fede, ignorando l’esistenza della causa di invalidità. L’istituto nasce, quindi, per tutelare la buona fede delle parti e della prole generata, derogando alla regola generale della retroattività totale della sentenza di nullità
Rapporti con la sentenza di Nullità del matrimonio
In virtù dell’efficacia dichiarativa dell’accertamento sulla nullità del matrimonio e della sua conseguente efficacia retroattiva, i coniugi dovrebbero considerarsi mai sposati. Questa regola, però, qualora venga accertato la presenza di un matrimonio putativo, non viene applicata. In forza dell’art. 128 del Codice Civile, invero, la sentenza di nullità non opererà più ex tunc, lasciando retroagire i suoi effetti come di consueto, ma avrà effetto solo ex nunc, vale a dire dal momento in cui l’accertamento della nullità diventa definitivo, relativamente al coniuge in buona fede.
La parte che invoca l’applicazione dell’istituto, ovviamente, avrà l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti, ex art 128 cc. L’invocazione della bona fides, da parte del presunto coniuge putativo, ovviamente, dovrà essere coerente con quanto emerso durante il procedimento canonico di nullità matrimoniale, nella ricostruzione del rapporto tra i coniugi e non smentito da quanto statuito nella sentenza ecclesiastica.
Presupposti
Perché possa applicarsi l’istituto del matrimonio putativo, però, occorre che siano dimostrati alcuni requisiti:
- quello oggettivo: che il matrimonio concordatario sia stato dichiarato nullo dalla sentenza, emessa da un Tribunale Ecclesiastico, divenuta definitiva.
Si evidenzia che l’istituto non trova applicazione al matrimonio privo di effetti nell’Ordinamento Italiano, come nel caso del matrimonio celebrato con rito religioso ma non trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune di celebrazione;
- quello soggettivo: la comprovata buona fede di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione.
Tale condizione deve intendersi come l’ignoranza dell’esistenza del vizio o della causa di invalidità del matrimonio; quindi, colui che contrae il matrimonio ritiene di contrarre un negozio valido. La buona fede, ovvero la mancata conoscenza del vizio, può dipendere da un errore di fatto o di diritto, ma rileva a prescindere dalla sua scusabilità; in applicazione del principio mala fides superveniens non nocet. L’invocata bona fides deve sussistere al momento della celebrazione delle nozze, non rilevando la successiva conoscenza della causa di invalidità del matrimonio.
Effetti tra i coniugi
Qualora solo uno dei due coniugi era in buona fede, gli effetti del matrimonio putativo si producono soltanto nei suoi confronti. Questo è l’unico caso in cui la sentenza di nullità non ha efficacia retroattiva, quindi la nullità del matrimonio non impedisce la produzione degli effetti di un matrimonio valido per il coniuge in buona fede. Le conseguenze, previste dalla disciplina, relativa al cd. matrimonio putativo, investono due ordini di situazioni: il regime patrimoniale ed i diritti successori.
Per quanto riguarda il regime patrimoniale (art. 129 e 129 bis cc), il coniuge, economicamente più debole, che abbia dimostrato la sua buona fede, potrà richiedere la corresponsione di una somma periodica, di mantenimento, da porre a carico dell’altro coniuge, in mala fede, per un periodo di tre anni. Quest’ultimo, inoltre, potrebbe essere onerato anche della corresponsione di un’indennità, a prescindere dalla prova di un danno effettivamente sofferto dal coniuge in bona fides, configurandolo come un vero e proprio risarcimento del danno e non come un dovere assistenziale, essendo indipendente dalle valutazioni sulle condizioni economiche del beneficiario.
Per quanto riguarda i diritti successori, l’art. 584 del codice civile statuisce, in favore del coniuge putativo, gli stessi diritti successori del coniuge, qualora la sentenza che ha dichiarato la nullità del matrimonio venga pronunciata successivamente alla morte del partner.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
©RIPRODUZIONE RISERVATA