La pena della scomunica nella sua evoluzione storica

scomunica

Codice del 1917

Nell’ambito del diritto penale canonico disciplinato nella prima Codificazione, del 1917, il focus viene posto sull’autorità, ovvero la gerarchia della Chiesa e non l’individuo (1). Il sistema penale, ma in particolar modo le censure latae sententiae avevano lo specifico compito di rafforzare la catena di comando e di conseguenza di valorizzare l’aspetto dell’obbedienza (2). Il principio di autorità era fondamentale nel periodo storico della prima codificazione e ciò si riflette sull’intero sistema penale ed in particolar modo sulle pene latae sententiae che venivano adoperate per finalità disciplinari ed autoritarie (3).

Periodo di riforma e revisione

Nel periodo di revisione del vecchio Codice di diritto canonico e di preparazione del nuovo venne messo in dubbio il ruolo delle sanzioni nell’ambito ecclesiale in generale, ma in particolar modo il ruolo delle pene latae sententiae. Un movimento dottrinale si batté a favore dell’abolizione di questa tipologia di pene, basando la loro pretesa su svariate argomentazioni, tra cui il fatto che nelle pene latae sententiae si creasse una sorta di commistione tra penitenza e pena oppure il fatto che non venisse preso in considerazione il grado di responsabilità del reo per la modulazione della pena (4).

Altro punto di critica fu l’automatismo che caratterizza questa tipologia di sanzioni. La corrente di pensiero sostenuta dai riduzionisti non fu pienamente condivisa, dato che “ci sono infatti alcuni delitti che per la loro gravità richiedono una siffatta pena, con specialissima riserva e con assoluzione in foro interno. In tal modo si consegue lo scopo della pena e si ottiene il bene delle anime”(5). Questa corrente dottrinale, favorevole al mantenimento delle pene latae sententiae prevalse, infatti la Commissione di riforma decise di mantenere questa tipologia di sanzioni, ma di limitare la loro applicazione ad una serie ristretta e ben determinata di casi (6).

Ambito penale e ambito penitenziale

All’interno della stessa sanzione convivono due ambiti distinti eppure intimamente legati tra di loro, ovvero l’ambito penale e l’ambito penitenziale. Per questo motivo la natura delle pene latae sententiae venne definita anfibia, tale tipologia di sanzione rimarrà sempre “per una parte pena e per l’altra penitenza” (7). Questi due ambiti, paragonabili alle due facce di una medaglia, si differenziano sostanzialmente nel percorso che porta il fedele a riconciliarsi con la Chiesa.

Mentre entrambi i soggetti, sia il peccatore che lo scomunicato, si trovano in uno stato di non piena comunione con la Chiesa, essi si differenziano l’uno dall’altro per il percorso che dovranno intraprendere per tornare alla pienezza della comunione (8). La “contritio cordis“, anche definita sincera conversione interiore, è essenziale sia per la pena che per la penitenza. Mediante tale conversione ed evoluzione interiore il reo dovrà giungere al punto di autodisciplinarsi e di dare esecuzione in modo spontaneo alla sanzione comminatagli.

Finalità della scomunica

Le pene latae sententiae sono pene medicinali, pertanto mirano a guarire le ferite dell’anima, gli sbagli ed i dolori (9). La guarigione, sia spirituale che sociale, del reo è il vero obiettivo che si vuole raggiungere. Dunque in quest’ottica si può comprendere come “la scomunica, prototipo di tutte le sanzioni canoniche, nella sua essenza non è un male inflitto dalla volontà del legislatore, bensì la constatazione di una situazione di fatto: quella di non-comunione in cui il fedele stesso si pone con il suo comportamento anti ecclesiale. La Chiesa non costituisce questa situazione di rottura della “communio”, ma la constata e eventualmente la dichiara affinché essa emerga nella coscienza del fedele e in quella di tutta la comunità dei fedeli” (10). La pena nell’ambito del diritto canonico viene impiegata per la riconciliazione, l’espiazione e per la rigenerazione della comunione (11).

Codice del 1983

Nel nuovo Codice di diritto canonico, frutto della rielaborazione da parte della Commissione a ciò preposta, si può riscontrare uno spirito coercitivo meno marcato. É dunque presente un cambiamento, ma non tale da impedire la condivisione con il primo Codice delle teorie penali miste, che effettuano un connubio tra le due scuole di pensiero, quella che sostiene la teoria delle pene assolute-retributive e quella che sostiene le pene relative-utilitariste (12). La nozione di pena che prevale dunque, in entrambe le codificazioni, è quella prevista nella duplice funzione: retributivo-emendativa (13). La vera differenza che caratterizza il nuovo Codice rispetto al precedente, in riferimento alle pene latae sententiae, è la centralità che viene attribuita alla particolare gravità del delitto. Infatti:

“la sistematica del 1983, a differenza del CIC del 1917 e del CCEO, ha voluto ribadire la centralità dell’aggettivo gravitare collocandolo a monte dell’articolato normativo penale. Il codice del 1917 non aveva infatti eletto la grave colpevolezza a criterio informatore del regime soggettivo del delitto, inserendola, al contrario, ai margini della normativa sulla pena” (14).

Applicazione della pena

Uno degli argomenti più forti a favore dell’abrogazione delle pene latae sententiae in passato fu quello dell’applicazione automatica di tale pena, che non ammetteva alcuna previa ammonizione, tale da permettere al reo di ravvedersi (15). Il reo che viene colpito da una sanzione vede limitati i suoi diritti e le sue libertà, pertanto si pone egli stesso in una “condizione costrittiva di libertà”. Il legislatore affida dunque allo stesso fedele il compito di decidere se dare o meno esecuzione alla pena e di conseguenza al processo medicinale-emendativo (16).

Nella libertà del fedele risiede anche la sua responsabilità. Pertanto si forma una corresponsabilità tra colui che è titolare del munus regendi, ossia il legislatore o il giudice, ed il reo (17). In virtù di questa simbiosi tra libertà e responsabilità e della collaborazione tra chi deve infliggere la pena e chi deve darle applicazione, la comminazione della pena latae sententiae non viene più percepita come una pena vendicativa, bensì come testimonianza di giustizia, in quanto pena medicinale secundum conscientiam (18).

Conclusione

In luce di quanto sovra esposto si giunge alla conclusione che essendo la scomunica una pena medicinale secundum coscientiam, essa richieda al fedele non una cieca e passiva obbedienza, bensì il suo rispetto secundum conscientiam. Le norme attinenti la scomunica hanno inoltre una funzione importantissima, non solo per il singolo fedele ed il suo ravvedimento, bensì anche per la comunità ecclesiale, perché permettono agli altri fedeli di avere conoscenza del fatto criminoso compiuto da uno di loro e li mette in guardia circa il profondo disvalore di determinate azioni (19). Il messaggio, con cui si conclude questo articolo, è lo stesso che Papa Giovanni Paolo II trasmise nel suo primo discorso ai giudici della Rota Romana, e riassume perfettamente l’essenza di questa sanzione in oggetto:

“la pena comminata dall’autorità ecclesiastica (ma che in realtà è un riconoscere una situazione in cui il soggetto stesso si è collocato) va vista… come strumento di comunione”(20).

Note

 

  1. Cfr. G. FELCIANI, Diritto e potere nella codificazione del diritto canonico, in Diritto e potere nella storia europea. Atti in onore di B. Paradisi, vol. III, Firenze, 1982, p. 1101.
  2. Cfr. F. ANTOLISEI, Manuale di Diritto penale. Parte generale, Milano, 1980, p. 9.
  3. Cfr. P. PETRUZZI, Chiesa e società civile al Concilio Vaticano I, Roma, 1984, p. 54.
  4. Cfr. D. CITO, Appunti sul contributo scientifico del Prof. Velasio De Paolis durante i lavori di revisione del diritto penale della Chiesa Latina, in J. CONN, L. SABBARESE (a cura di), Iustitia in caritate. Miscellanea di studi in onore di Velasio De Paolis, Urbaniana University Press, Città del Vaticano, 2005, pp. 459-472: 469.
  5. R. MAZZOLA, La pena latae sententiae nel diritto canonico. Profili comparati di teoria generale, CEDAM, Padova, 2002, cit., p. 36.
  6. Cfr. D. CITO, Appunti sul contributo scientifico del Prof. Velasio De Paolis durante i lavori di revisione del diritto penale della Chiesa Latina, in J. CONN, L. SABBARESE (a cura di), Iustitia in caritate. Miscellanea di studi in onore di Velasio De Paolis, Urbaniana University Press, Città del Vaticano, 2005, pp. 459-472: 469.
  7. R. MAZZOLA, La pena latae sententiae nel diritto canonico. Profili comparati di teoria generale, CEDAM, Padova, 2002, cit., p. 52.
  8. Cfr. M. VENTURA, Pena e penitenza nel diritto canonico postconciliare, p. 59.
  9. Cfr. C. VOGEL, Penitenza e scomunica nella chiesa antica e durante l’alto medioevo, p. 65.
  10. L. GEROSA, Delitto e pena nel diritto canonico, in Dig. Disc. Pen., vol. III, Torino, 1989, cit., p. 356.
  11. Cfr. R. BOTTA, La norma penale nel diritto della Chiesa, Bologna, 2001, p. 51.
  12. Cfr. L. GEROSA, La scomunica è una pena? Saggio per una fondazione teologica del diritto penale canonico, Studia Friburgensia, nr. 64, Fribourg, 1984, pp. 187-189.
  13. Cfr. L. GEROSA, La “excommunicatio” è una “poena” o una “poenitentia”? Brevi riflessioni canonistiche sulla natura specifica del “De sanctionibus in Ecclesia”, in Scritti in memoria di P. Gismondi, t. 1, vol. II, Milano, 1998, p. 99.
  14. R. MAZZOLA, La pena latae sententiae nel diritto canonico. Profili comparati di teoria generale, CEDAM, Padova, 2002, cit., p. 222.
  15. Cfr. V. DE PAOLIS, De legitimitate et opportunitate poenarum latae sententiae, in iure penali canonico, in Periodica, 1973, p. 320.
  16. R. MAZZOLA, La pena latae sententiae nel diritto canonico. Profili comparati di teoria generale, CEDAM, Padova, 2002, cit., p. 170.
  17. Cfr. P. FERRARI DA PASSANO, Il principio di sussidiarietà, in Civ. Catt., 1998, p. 545.
  18. Cfr. S. BERLINGÒ, L’ultimo diritto. Tensioni escatologiche nell’ordine dei sistemi, Torino, 1998, p. 87.
  19. R. MAZZOLA, La pena latae sententiae nel diritto canonico. Profili comparati di teoria generale, CEDAM, Padova, 2002, cit., p. 187.
  20. Papa Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, in Acta Apostolicae Sedis 71, 1979, p. 415.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Loading

Immagine di Chiara Gaspari

Chiara Gaspari

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Iscriviti alla Newsletter