L’uditore e il principio di immediatezza

uditore
Jacopo Tintoretto, Cristo davanti a Pilato, 1566-1567, Albergo della Scuola Grande di San Rocco, Venezia

Il can 1428, § 1

Il can 1428, § 1 CIC stabilisce che il giudice o il presidente del tribunale collegiale possono designare un uditore per svolgere l’istruttoria della causa, scegliendolo tra i giudici del tribunale o tra le persone approvate dal Vescovo a tale incarico. Il ruolo dell’uditore (o istruttore, come è a volte chiamato) è quello di raccogliere le prove, ovvero, decidere sull’ammissibilità delle stesse e ordinare e gestire la sua produzione. Com’è ovvio, mentre il ponente dev’essere designato tra i membri del collegio (cfr. can. 1429 CIC), nel caso dell’uditore la legge tace sul punto, per cui sarebbe da ritenersi possibile che l’uditore sia anche membro del collegio.

Alcune criticità

Da un lato, se si nomina un istruttore ad extra, come la legge pare permettere, ne segue che né il giudice unico né alcuno degli altri membri del collegio abbia presenziato alla produzione delle prove. Ad essi perverranno le prove formalizzate, ovvero, il risultato delle prove cristallizzato negli atti di causa. Il giudice o il collegio non si troveranno dinanzi alla deposizione di un teste, ma dinanzi ad un verbale che raccoglie la deposizione del teste. Il giudice non potrà porgli altre domande (il che potrebbe correggersi attraverso la facoltà di cui al can. 1600, § 1 CIC, a patto di allungare il processo e di rifare un’escussione che può essere già ‘inconsapevolmente contaminata’ dalla prima e dal fatto che certe domande hanno senso in una situazione o discorso concreto hic et nunc), non avrà percepito direttamente il suo atteggiamento, il suo modo di rispondere, il linguaggio non verbale… Estremi questi che soli sarebbero privi di ogni rilievo dinanzi ad una lettura molto rigida e ristretta (poco realista) di quello che è la psicologia della testimonianza.

Lo stesso dicasi della deposizione delle parti o della recognitio peritiae se viene decisa dall’istruttore (can. 1578, § 3 CIC), ossia, di quelle prove che si caratterizzano per l’oralità (la problematica sarebbe minore nel caso della prova documentale, perché il giudice o il collegio possono confrontarsi direttamente e personalmente col documento in questione). Varrebbero le stesse considerazioni per l’accesso e l’ispezione giudiziaria (cann. 1582-1583 CIC). Naturalmente, potrebbe obiettarsi che tutto questo dovrebbe venire diligentemente gestito dalla capacità e competenza dell’uditore.

Tuttavia, occorre non dimenticare la differenza tra i requisiti richiesti all’uditore (il Codice permette che a questo ruolo vengano assunti chierici o laici, che rifulgano per buoni costumi, prudenza e dottrina ex can. 1428, § 3 CIC) e ai giudici (chierici con dottorato o licenza in diritto canonico ed integra fama ex can. 1421, §§ 1 e 3 CIC). Ci sia consentito suggerire, obiter dicta, che magari ci si aspetterebbe un’ambizione maggiore nel disciplinare i requisiti per ricoprire un ruolo che non è burocratico: basta ricordare che il vaglio di liceità e utilità delle prove, tra l’altro suscettibile di ricorso (can. 1527, §1 CIC e can. 1428, §3 CIC) spetta all’uditore, come pure la sua corretta formalizzazione (can. 1428, § 3 CIC, in fine).

Il principio d’immediatezza

Nella dottrina processuale secolare e nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nonché nei sistemi processuali di non pochi Stati, acquista un peso notevole il principio d’immediatezza, che richiede che vi sia un’identità di persona tra il giudice che si trova ad emanare la sentenza e il giudice che ha presenziato personalmente alla produzione della prova (produzione che, nell’ordinamento canonico, ha luogo nella fase chiamata istruttoria, sebbene essa sia, a ben vedere, un vero e proprio dibattimento).

Un uditore che sia diverso dal giudice unico o che non sia uno dei membri del collegio si pone in aperto contrasto con suddetto principio. Potrebbe sostenersi che si tratta di proteggere la terzietà dell’organo giudicante. Simile tesi pare logica nel caso della separazione tra indagine previa (che di per sé non è affidata ad un soggetto munito di potestà giudiziaria, come invece accade in qualche ordinamento secolare), ma non nel caso della valutazione della prova sensu lato considerata. Non si tratta di contaminazione, ma appunto di aprire la strada alla ricostruzione dei fatti, ovvero, se fare ciò a cui il giudice dovrebbe essersi preparato. Com’è possibile valutare una prova e farsi un’idea se in verità ci si confronta con un pezzo di carta? Certo che nel processo le dinamiche di formalizzazioni sono inevitabili, ma occorre scegliere le modalità che più permettano un approccio epistemico, funzionale (anche in chiave scientifica) alla ricostruzione dei fatti.

Una possibile soluzione

Nel caso di tribunali collegiali, una via di mezzo parrebbe essere quella di nominare come istruttore uno dei membri del collegio: così perlomeno uno (e per di più un giudice) ha assunto con immediatezza le prove. Tuttavia, per gli altri membri del collegio (e dunque la maggioranza) non sarebbe così. Sarebbe magari troppo richiedere una più stretta identità tra il giudice (o i giudici) che presenziano la prova e il giudice (o i giudici) che dovranno emanare la sentenza?

In dottrina non manca chi sostiene che i nuovi mezzi di comunicazione tecnologica possono in qualche modo allargare la potenzialità dello stesso principio d’immediatezza. Nel senso spaziale l’assunto è chiaro (ad esempio la parte che depone tramite videoconferenza dall’altra parte del mondo), nel senso temporale è anche immaginabile (i giudici potrebbero accedere successivamente a registrazioni delle deposizioni, e valutarle quasi quasi come se fossero lì, avendo sempre a disposizione le facoltà del can. 1600 CIC). Questo vorrebbe dire che è giunto il momento di una maggior ammissione e utilizzo di questi mezzi, nella misura in cui sia possibile garantire benefici e salvaguardare i diritti in gioco, quale la libertà del teste, l’autenticità della sua deposizione e via dicendo.

La questione ha sfaccettature diverse e sicuramente non convincono approcci unilaterali, il che ci spinge alla riflessione. Una cosa pare, però, chiara: occorre cercare sempre le vie più funzionalmente epistemiche per la formalizzazione dei fatti e per la ricostruzione degli stessi.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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Marc Teixidor

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