“Bias cognitivi”: sfide inesplorate per gli operatori processuali

Bias
Willem den Broeder, “BrainChain”, acrilico su tela 

I «bias» cognitivi, tra pregiudizio e deviazione della razionalità

Per «bias» cognitivi possiamo intendere quelle distorsioni cognitive risultanti da una sistematica deviazione della razionalità nei processi mentali di giudizio, ovvero, una sorta di pregiudizi che operano nei meccanismi di decisione. Com’è ovvio, il processo canonico (che sotto questo profilo è anche un meccanismo complesso di decisione) non è estraneo a questo tipo di fenomeni, la cui incidenza riceve da molto tempo attenzione nel mondo anglosassone da parte della psicologia della condotta, cosa che ha cominciato ad interessare negli ultimi anni anche le dottrine processuali continentali. E’ ovvio che anche nel campo del processo canonico questi fenomeni esistono e dispiegano i suoi effetti. Serve dunque un approccio a questo fenomeno per le incidenze che ha sull’operato processuale. Il processo canonico ha un orizzonte epistemologico ampio che non perde occasione di arricchirsi con i contributi che possono offrire le scienze umane quale è appunto la psicologia. Quanto di seguito si espone ho avuto occasione di discuterne e rifletterne durante il convegno annuale dell’Associazione Canonistica Italiana, tenutosi ad Ascoli-Piceno nei primi giorni del mese di settembre del 2023 e di cui Vox ha dato notizia QUI

Quando siamo chiamati a prendere una decisione, adoperiamo delle procedure di semplificazione (chiamate dalla letteratura specializzata “euristiche”) che permettono di ridurre la complessità dell’informazione ricevuta, cosicché sia possibile prendere decisioni in modo efficiente. Tali procedure implicano inevitabilmente a volte errori o pregiudizi, ossia, delle distorsioni nella rappresentazione e conoscenza della realtà.

Alcune distorsioni

Alcune delle più rilevanti per quel che ci riguarda, e senza alcuna pretesa di esaustività, sarebbero:

  1. Euristica della rappresentatività (representativeness): il tribunale consta che una determinata evidenza appartiene ad una categoria (sulla base dell’apprezzamento di un indizio che giustifica tale ascrizione o sulla base di un’attribuzione indisponibile ex lege) e applica regole o parametri statistici desunti dalla categoria all’evidenza, in funzione delle quali assume decisioni.
  2. Bias di retrospettiva (hinsigth bias): il soggetto muta la sua prospettiva quando viene a conoscenza del risultato di un corso causale, in modo che il risultato gli appare inevitabile e proietta automaticamente le sue conoscenze verso il passato. Si tratta di un pregiudizio molto complesso, quasi impossibile da arginare completamente, che evidenzia la difficoltà di approdare a giudizi su fatti passati astraendosi completamente dal risultato posteriore di tali fatti. Vi sarebbero non pochi ragionamenti suscettibili d’incrinatura grazie a euristiche del genere. Si pensi a tutto il ragionamento sulla causalità ipotetica, sulla conditio sine qua non e all’eziologia dell’errore (error determinans, l’error causam dans…), la volontà interpretativa, la valutazione della sussistenza delle cause che giustificarono l’imposizione di un provvedimento cautelare ex can. 1722 CIC ecc.,
  3. Euristica della disponibilità (availability): il soggetto valuta la probabilità dell’accadimento di un evento prendendo in considerazione la facilità con la quale lo stesso soggetto può ricordare o immaginare esempi di casi simili. Tuttavia, la facilità dispositiva di ricordi di eventi simili non conferma l’ipotesi né attribuisce ad essa maggiore probabilità. Ad esempio, e pensando al can. 1095, n. 3 CIC: nella valutazione di una perizia (o lo stesso perito quando redige il suo votum) e dinanzi a determinate manifestazioni sintomatologiche, si potrebbe pensare subito ad una determinata causa psichica perché in passato è facile ricordare quadri sintomatologici o situazioni cliniche molto simili che erano legate ad una causa che impediva l’assunzione di questo o quell’onere coniugale. Tuttavia, il fatto che si riesca a ricordare con facilità una situazione simile non attribuisce più fondatezza probabilistica alla situazione in esame.
  4. Euristica della conferma (confirmation bias): il soggetto parte da un’ipotesi e filtra le informazioni che riceve, in modo che incoscientemente cerca e sopravvaluta gli elementi che confermano la propria posizione iniziale, arginando invece gli elementi che non la sostengono. Questi meccanismi sono quasi inevitabili nelle narrative processuali delle parti (l’avvocato filtra le cose secondo ciò che favorisce la propria tesi o meno, il Difensore del Vincolo parte della premessa dell’ipotesi della validità, il Promotore deve sostenere l’accusa…). Certamente il fine formale che orienta tutto il processo verso la verità (in merito alla concezione istituzionale del processo tratteggiata da Pio XII nel 1944) e la natura giuridica (e non meramente etica) dei doveri ad essa annessi sono un ottimo rimedio. Tuttavia, la miglior garanzia contro questo «bias» è proprio la funzione giudicante: il giudice sa (e non può aspettarsi altro) che la parte tenta di far prevalere la propria tesi. Ma è proprio in questa tensione dialettica che gli vengono offerti elementi utili per la ricostruzione dei fatti. 
  5. Procedura dell’ancoraggio e dell’aggiustamento (anchoring): il soggetto parte da un valore iniziale ancorato e poi progressivamente procede ad un aggiustamento e arricchimento di tale valore nella misura in cui ottiene informazioni addizionali. Uno scenario che meriterebbe attenzione sotto questo profilo è appunto quello della discussione collegiale (cfr. can. 1609, §§ 3-4 CIC). Uno dei membri potrebbe arricchire (aggiustamento) la propria posizione iniziale (ancoraggio) alla stregua di quanto palesato dal ponente e magari dell’altro membro del collegio.

In conclusione

Chiaramente gli esempi si potrebbero moltiplicare. E’ ovvio come questi fenomeni abbiano un’importanza notevole nel contesto di un processo che assume come fine formale appunto l’accertamento della verità dei fatti. A ciò si aggiunge che si tratta di sfide per tutti coloro che partecipano al processo canonico: giudice, testi, parti, periti, delegati all’indagine previa, consulenti dei servizi di consulenza pastorale e via dicendo.

Quid faciendum?

Da una parte, prendere consapevolezza dell’esistenza di queste sfide e della necessità di maturare conoscenze solide e fondate sulle stesse è magari il più importante traguardo. Sarebbe ideale che queste tematiche, tra l’altro, possano essere oggetto di studio anche in campo accademico e scientifico: non si tratta affatto di realtà metagiuridiche, ma di questioni che hanno a che fare con l’operato processuale e che incidono sull’effettività del favor veritatis. Occorrerebbe anche offrire agli operatori dei tribunali percorsi formativi adatti che includano formazione su questi punti.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Picture of Marc Teixidor

Marc Teixidor

Lascia un commento

Iscriviti alla Newsletter