«Provvedimenti amministrativi disciplinari e Ius defensionis». Una pubblicazione che si fa proposta per il diritto amministrativo canonico

defensionis

Presupposti dello ius defensionis

Un corretto esercizio dello ius defensionis deriva dal corretto esercizio di due processi: l’argomentazione e la dimostrazione, entrambi caratterizzati dalla razionalità nelle sue varie sfumature: razionalità impersonale – nell’ambito della dimostrazione – o razionalità personale, sensibile, per quanto concerne invece l’argomentazione.

Proprio a partire da questi elementi – argomentazione, dimostrazione e razionalità nelle sue varie forme – si svilupperà il nostro lavoro.

Concentrandoci sul Diritto amministrativo canonico, e particolarmente sui provvedimenti di natura disciplinare, si dovrà analizzare in che modo questi ultimi siano garanti di un corretto esercizio dello ius defensionis, in che modo la prassi permetta al soggetto destinatario del provvedimento stesso di poter esprimere ed esporre le proprie ragioni o risposte alle accuse mosse nei suoi riguardi, come l’Autorità competente attui una corretta autotutela che garantisca l’emanazione di un Atto inoppugnabile e il più possibile condiviso e accettato dal destinatario.

L’idea fondamentale della tesi è quella di un Diritto amministrativo rivolto all’efficacia dell’azione di governo, alla partecipazione e corresponsabilità dei soggetti attivi e passivi del provvedimento, un governo ecclesiale che non si muova nello schema di amministratore e amministrato, ma, contrariamente, in un ambito comunionale nelle multiformi espressioni dello Spirito.

Sono tre i nodi cruciali:

  1.  Il primo è relativo al rapporto esistente tra Diritto canonico e ius defensionis: in che modo nel corso del tempo, nello sviluppo storico e giuridico delle fonti sia maturata l’idea e il concetto di un diritto di difesa, anche laddove non esisteva ancora una norma specifica che facesse espresso rifermento, vedendo come sempre il Legislatore ha avuto cura e attenzione a che il soggetto potesse rispondere alle accuse mosse nei suoi riguardi. Focalizzandoci sul punto della questione, da tematiche più generali si passa ad analizzare le innumerevoli prescrizioni normative che riguardino le garanzie date dall’Ordinamento allo ius defensionis, piuttosto che alla ricerca della verità (cfr. cann. 1507; 1508 §§ 1-2; 1511; 1598 §1; 1620,7° C.I.C.), ma non prima di aver chiarito come la dialogicità si innesti nel processo canonico tramite tre elementi: argomentazione, dimostrazione e razionalità, dando luogo all’istituto del contraddittorio dal quale partiremo per dare luogo alla nostra ipotesi, alla fine del lavoro. Al termine del primo capitolo anche uno sguardo sufficientemente analitico alla prassi della Curia Romana e del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, dopo aver verificato l’essere mera legittimità o piena giurisdizione della Giustizia amministrativa canonica.
  2. Il secondo si riferisce alla prassi, soprattutto relativa a due specifici provvedimenti, ovvero a) la rimozione di un Parroco; b) la dimissione di un Religioso dall’Istituto di vita consacrata di ascrizione. Particolarmente da quest’ultimo potremmo vedere come la prescrizione codiciale – in alcuni casi – sia particolarmente attenta allo ius defensionis. Per l’affinità (e talvolta la commistione) della tematica, passeremo poi ad una sommaria analisi dell’applicazione della via amministrativa nei processi penali, ovvero quando l’Ordinamento canonico permette di irrogare una pena tramite decreto, evitando il processo giudiziale, nonché delle motivazioni, delle condizioni e dell’opportunità dell’utilizzo di questa via piuttosto che della via giudiziale.
  3. Il terzo ed ultimo punto esplica due concetti fondamentali: 1. la discrezionalità, 2. la corresponsabilità. Questi fungono da fondamenta sulle quali “costruire” la nostra proposta, la quale a sua volta si incentra su un terzo concetto – derivante, in qualche modo, dai primi due – quello della partecipazione. Questa, nel panorama del buon governo rivolto all’efficacia dell’azione, sarà un ausilio affinché possa emanarsi non un atto autoritario, ma autorevole, in grado di ricevere il consenso e l’accettazione – perché pienamente compreso nelle sue ragioni – del destinatario. Infine, proprio riprendendo l’idea di corresponsabilità e partecipazione, ecco la nostra ipotesi: vedere l’attuazione di una attività conciliativa per la risoluzione per le controversie sorte da Atto amministrativo, soprattutto disciplinare, nei tempi codiciali della remonstratio canonica, attività mirata ad un incontro dialogico delle diverse posizioni dei soggetti interessati. Posizioni ovviamente asimmetriche, ma comunque possibili da confrontare attraverso una dimostrazione e argomentazione relativa ai fatti e alle prove eventuali, che potranno essere debitamente confutate, contestate e discusse dal destinatario con l’Autorità competente.

Attraverso, dunque, una conciliazione impostata sul modello del contraddittorio giudiziale – attuate le dovute differenze del caso – si giungerà ad un provvedimento autorevole, condiviso, accolto, che tuteli l’operato dell’Autorità (nell’ottica dell’efficacia dell’azione di governo), evitando ricorsi gerarchici e successive liti giudiziali.

Ius defensionis e Partecipatio

Riteniamo opportuno richiamare due concetti fondamentali, che hanno guidato l’intero lavoro.

In primis, lo ius defensionis, ossia la facoltà di poter di fatto essere a conoscenza dei fatti imputati, delle prove e delle argomentazioni avverse alla propria posizione al fine di poterle discutere e confutare, presentandone ragioni, argomentazioni, nel contesto di una argomentazione logico difensiva ben articolata.

È bene che nella procedura si abbiano rappresentazioni della realtà caratterizzate tanto da razionalità argomentativa, quanto da razionalità dimostrativa, in particolare per taluni elementi di maggior rilevanza o di carattere più tecnico.

Normalmente, bisogna rilevarlo, quello che si utilizza – in particolare con riferimento al processo, perché è quella la sede tipica del contraddittorio – è un processo di carattere argomentativo che dà luogo a conclusioni probabilistiche e talora non necessarie, ma non per questo prive di attendibilità.

In effetti, non perché deficitaria di razionalità dimostrativa, l’argomentazione non è sufficientemente rigorosa, di fatti sempre – nell’ascolto – presupponiamo una razionalità di quanto si afferma, e riguardo a quanto si espone siamo portati, comunque, a dare un giudizio critico che va a riconoscere una ragione, valida o invalida rispetto a quanto si asserisce.

Elemento fondante del provvedimento è la ragione, nel senso che l’Atto stesso deve recare in sé una motivazione logica, una ragionevolezza che possa in qualche maniera portare anche al convincimento del destinatario.

La ragione espressa offre un titulus, offre una qualificazione normativa in base alla quale avviene la legittimazione; la ragione data, poi, in quanto espressione del titolo normativo tramite il quale si può arrivare ad ottenere la legittimazione, potrà avere anche una forza idiosincratica e, quindi, essere valevole per terzi nella medesima situazione.

Offrire una ragionevole motivazione è certamente uno strumento che garantisce sia un corretto esercizio dello ius defensionis, sia un modo per arrivare al convincimento del destinatario e, dunque, alla condivisione del provvedimento e ad una maggiore efficacia dell’azione di governo.

In secondo luogo, il concetto di partecipazione, connesso a quello di efficacia dell’azione di governo ecclesiale in un ottica comunionale.

Alla luce di quanto ipotizzato, pacificamente possiamo affermare che la prospettiva della partecipazione al solo esercizio della potestà di governo potrebbe riuscire nell’intento di evitare controversie e liti giudiziali, al fine di  risolvere eventuali contrasti che potrebbero insorgere da posizioni differenti, in un dialogo pacifico e guidato da personale tecnico del Diritto.

Certamente, bisogna prestare attenzione a che la partecipazione del destinatario sia ben circoscritta nell’ambito esclusivo dell’esercizio della potestà e mai nella sua pienezza, perché – giova ricordarlo – la corresponsabilità di cui ogni fedele è investito nella Comunione ecclesiale e derivante dal comune sacerdozio battesimale, impone che ognuno contribuisca alla missione della Chiesa nell’ambito del proprio statuto funzionale, senza prevaricazioni di sorta.

Una proposta di concretizzazione dello ius defensionis

Tenendo presenti queste osservazioni preliminari, è stato possibile procedere all’ipotesi di una attività conciliativa per i provvedimenti amministrativi di natura disciplinare, nell’ottica dello ius defensionis.

Indubbiamente, come rilevato, non si potrà prevedere un tempo che esuli da quello già concesso dal Codice, al fine di evitare una dilatazione eccessiva delle controversie che sempre esprimono una frattura nella compagine ecclesiale.

In ragione di ciò, abbiamo ritenuto che tale attività potesse svolgersi nel tempo utile dei trenta giorni previsti per la remonstratio.

L’esigenza di non dilatare i tempi non può, però, fagocitare il diritto di ricorrere del destinatario, per questo si è prevista la non incidenza dell’eventuale attività conciliativa sui tempi del ricorso: non interrompe il decorso del tempo utile, non impedisce il ricorso all’Autorità gerarchicamente superiore, seppure questo dovesse essere presentato, potrà sempre essere ritirato nel caso di buon esito della conciliazione.

Importante, a nostro parere, che questa attività sia proposta dall’Autorità; quest’ultima potrebbe (e dovrebbe) sfruttarla per garantirsi una maggior autotutela.

È inutile negare che non si possa escludere un margine di errore in procedendo, quanto in decernendo spesso dovuto alla parziale informazione (se non talora errata) di cui l’Autorità dispone relativamente ad un fatto determinato.

Questo potrebbe portare in sede di ricorso gerarchico alla revoca o all’annullamento del provvedimento e ne risulterebbe una perdita di autorevolezza ed efficacia dell’azione di governo.

Al contrario, un’Autorità che sceglie di dialogare, rendendo partecipe il destinatario, in termini di argomentazione e dimostrazione dei fatti, delle prove contestati al soggetto interessato, un’Autorità che – in altri termini – con l’ausilio di un tecnico del Diritto che possa tentare di avvicinare le differenti posizioni e moderare anche il “contraddittorio”, sarà un’Autorità che emette un provvedimento inoppugnabile, sicuramente informato, condiviso e accettato, nonché attento al diritto di difesa del destinatario, il quale – avendo responsabilmente partecipato all’esercizio della potestà – non potrà che condividere quell’Atto amministrativo, quel provvedimento che è e resterà un Atto esclusivo dell’Autorità che l’ha emesso, ma che, allo stesso tempo, risponderà anche alle diverse istanze e necessità del destinatario.

L’ordinamento della Chiesa, d’altronde, offre già degli esempi – a nostro parere – nei quali il “sistema dialogico” riesce ad avvicinare differenti posizioni.

Il più significativo, lo abbiamo già sottolineato, è quello che il Codice prescrive per la procedura di dimissione del Religioso, ovvero che il Superiore Maggiore dia al Sodale la possibilità di conoscere e controbattere prove, elementi ed argomenti avversi alla sua posizione processuale. Certamente, tale possibilità offre degli strumenti significativi ed esemplari, ma (forse) non del tutto esaustivi.

Non solo, il Diritto dei Religiosi offre una ulteriore opportunità  – normata al can. 698 C.I.C. – seppure non esplicata: ricorrere al Moderatore Supremo per esporre direttamente la propria difesa (nei casi di cui ai cann. 695; 696 C.I.C.).

Particolarmente interessante la prescrizione del ricorso al Moderatore Supremo; come rilevato, infatti, non è formalizzabile una procedura fissa che possa essere valevole per tutti i casi, dunque una prescrizione “aperta” com’è quella del can. 698 C.I.C. potrebbe essere la “formula” maggiormente calzante per lasciare spazio ad una modalità operativa ad hoc per la varietà di materie che i provvedimenti amministrativo possono riguardare. In particolare per i provvedimenti di natura disciplinare l’impostazione di una modalità operativa adatta risulta essere di importanza fondamentale.

Come specificato, però, l’attività conciliativa a cui abbiamo fatto riferimento, muovendo i passi dalla prescrizione del can. 1733 C.I.C., non è una conciliazione in senso stretto.

Per la stessa ragione per cui non è possibile mediare quando il bene in questione non ha natura privatistica, ma pubblicistica, così anche non sarà possibile conciliare (sic et simpliciter) differenti punti di vista per cercarne uno che a grandi linee sia conforme all’uno e all’altro interesse.

Dunque, se di attività conciliativa volgiamo parlare, dobbiamo farlo con le dovute cautele, ovvero specificando che si tratta di una conciliazione che altro non è se non un confronto di differenti posizioni, da parte di due soggetti in condizione asimmetrica, al fine di conoscere e comprendere le ragioni l’uno dell’altro per raggiungere una decisione opportuna (rispetto al bene pubblico, non agli interessi dei singoli) e allo stesso tempo condivisa perché partecipata.

Data però l’asimmetricità del rapporto nel quale si opera, il provvedimento che ne deriverà sarà : a) esclusivo dell’Autorità, b) mai contrario alla Legge oggettiva, c) opportuno rispetto al bene pubblico in questione. Allo stesso tempo però, data la partecipazione all’esercizio della potestà da parte del destinatario, anche condiviso e accolto, mentre da parte dell’Autorità sarà un Atto autorevole ed efficace.

Conclusioni

In conclusione, dunque, riteniamo sufficientemente fondata l’ipotesi di attuare una attività conciliativa che possa seguire lo schema dia-logico del confronto nel libero contraddittorio, con anche la presenza di patroni o tecnici del Diritto in grado di indirizzare ed assistere le parti.

Si noti che abbiamo ipotizzato uno schema da poter seguire, ma non una procedura formalizzabile da stabilire definitivamente.

Infatti, se riteniamo possibile stabilire quale soggetto e in che termini possa presentare la richiesta di conciliazione, le eventuali ripercussioni di tale attività conciliativa nei confronti della procedura codiciale per il ricorso; non riteniamo altrettanto possibile formalizzare una procedura.

Trattandosi di una conciliazione può essere dato uno schema, ma non una linea formalizzata fissa, infatti, sottoporre anche all’attenzione di terzi esperti in materia – soprattutto nel caso di provvedimenti disciplinari, nei quali il dissapore tra le parti potrebbe prendere il sopravvento – che coadiuvino gli stessi interessati, i provvedimenti di governo, nonché argomenti, elementi e fatti contrari all’Atto, assicura la possibilità di rivedere le decisioni assunte in precedenza, ottenendo due risultati importanti: la risoluzione pacifica della controversia e la riduzione ai minimi termini del “costo” esistenziale derivante da decisioni in materie delicate (come lo sono quelle disciplinari), molto spesso riguardanti lo stato di vita della persona.

Sarebbe un modo di “rileggere” la controversia stessa alla luce del fine (comune) ultimo: la Salus animarum.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

 

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Cristian Lanni

Nato nel 1994 a Cassino, Terra S. Benedicti, consegue, nel 2013 la maturità classica. Iscrittosi nello stesso anno alla Pontificia Università Lateranense consegue la Licenza in Utroque Iure nel 2018 sostenendo gli esami De Universo Iure Romano e De Universo Iure Canonico. Nel 2020 presso la medesima università pontificia consegue il Dottorato in Utroque Iure (summa cum laude) con tesi dal titolo "Procedimenti amministrativi disciplinari e ius defensionis", con diritto di pubblicazione. Nel maggio 2021 ha conseguito il Diploma sui "Delicta reservata" presso la Pontificia Università urbaniana, con il Patrocinio della Congregazione per la Dottrina della Fede e nel novembre 2022 il Baccellierato in Scienze Religiose presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, presso cui è iscritto ai corsi per la Licenza. Dal luglio 2019 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo dei Difensori del Vincolo presso la Regione Ecclesiastica Abruzzese e Molisana, operante nel Tribunale dell'Arcidiocesi di Chieti, dal settembre dello stesso anno è docente presso l'Arcidiocesi di Milano. Nello stesso anno diviene Consulente giuridico presso Religiosi dell'Arcidiocesi di Milano. Dal giugno 2020 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo degli Avvocati canonisti della Regione Ecclesiastica Lombarda. Dal 2021 collabora con il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Sardo e come Consulente presso vari Monasteri dell'Ordine Benedettino. Dal 13 novembre 2022 è Oblato Benedettino Secolare del Monastero di San Benedetto in Milano.

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