La Traditio Apostolica, un’opera intrisa di liturgia e diritto

Dieric Bouts,Trittico di Sant’Ippolito, 1464, Olio su tavola, Bruges, Cattedrale di San Salvatore

 

Scorrendo tra le pagine della storia della Chiesa dei primi secoli, dopo aver – seppur brevemente – accennato alle rudimentali norme scritte nella Didaché posiamo il nostro sguardo su un altro testo appartenente, come la Didaché, alle opere fondamentali delle collezioni pseudo-apostoliche.

«Le collezioni pseudo-apostoliche, formatesi soprattutto in Oriente, possono essere suddivise in tre grandi gruppi: opere fondamentali, collezioni di collezioni ed opere di contorno. Le opere del primo gruppo sono fondamentali in senso letterale, dal momento che le successive collezioni trassero da qui il proprio materiale». [1]

Sant’Ippolito, Biblioteca Apostolica Vaticana

La Traditio apostolica, scritta intorno al III secolo è attribuita all’antipapa Ippolito[2] (Asia 170 – Sardegna 235).

 

Sant’Ippolito l’antipapa

Secondo la ricostruzione tradizionale, Ippolito è un uomo vicino alla cultura greca e fu esponente della teologia del Logos. Secondo Ippolito, la generazione del Logos si palesa nel cuore, che la teologia cristiana, considera centro propulsore della vita umana.
Il cuore diventa quindi simbolo di intimità dell’uomo, dei suoi pensieri e dei suoi desideri. La nascita del pensiero, (lógos) avviene dunque nel cuore dove, come ci ricorda l’apostolo Paolo, «Cristo abita per mezzo della fede nei nostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricompi di tutta la pienezza di Dio» ( Ef 3,17-19).
Del resto i primi scrittori cristiani parlano di una nascita del Logos dal cuore del Padre: da Ippolito questa idea giunge al grande vescovo di Milano Ambrogio, per il quale il Verbo “balza fuori” dal cuore del Padre, anche nel cuore dei credenti.
Da Ambrogio il pensiero si trasmette  al Doctor Gratiae Agostino e a papa Gregorio Magno, attraverso il quale giunge ai commenti medievali al Cantico dei Cantici, influenzando significativamente i tanti testi della mistica medievale.

Sant’Ippolito fu a Roma avversario deciso di papa Callisto e contro questo si propose come antipapa, rimanendo in questa sua opposizione anche con i successivi pontefici Urbano I (222) e Ponziano (230). Venne deportato in Sardegna da Massimino il Trace (235) assieme a papa Ponziano (con cui in seguito si riconciliò), e in Sardegna morì martire.

 

La Tradizione apostolica

La Traditio apostolica un testo della massima importanza nella storia della liturgia. Tra le opere di Ippolito, la Traditio occupa un posto del tutto particolare proprio per gli argomenti trattati; infatti, la quasi totalità dell’attività letteraria di Ippolito è incentrata sull’esegesi biblica.  La versione originale, scritta in greco, è andata perduta ma a noi è giunta una versione ricostruita attraverso diverse e frammentarie traduzioni e interpretazioni inserite in altri Codex come la Costituzione della Chiesa egiziana conservata nel Sinodo alessandrino e in un manoscritto latino della biblioteca capitolare di Verona [3]. Quest’opera è considerata il più significativo documento della storia della liturgia e delle istituzioni ecclesiastiche. La struttura attuale della Traditio è composta da 42 capitoli divisi in tre grandi categorie: l’organizzazione della gerarchia ecclesiastica, i regolamenti che disciplinano la vita dei laici e la prassi liturgica in cui si vanno presentando l’organizzazione e le usanze della comunità all’interno della Chiesa, la nomina dei Vescovi, la preparazione al sacramento del Battesimo; vi si trova, inoltre, un’anafora che durante il Concilio Vaticano II, quando papa Paolo VI chiese che nel nuovo Messale Romano venissero inserite altre Preghiere Eucaristiche da affiancare al Canone Romano, gli esperti del Consilium ad exequnendam constitutionem de sacra liturgia inserirono e che noi conosciamo come la Preghiera Eucaristica II [4]. Da questo è facile immaginare come storici e liturgisti abbiano trovato in questo testo un pozzo di importante materiale da studiare.

Ippolito sente la necessità di erigere questo testo per esporre l’essenza della tradizione apostolica che dev’essere soprattutto l’essenza stessa della Chiesa che rimane fedele alla sua tradizione. La Chiesa ha quindi l’onere di conservare, far conoscere e alimentare questa essenza primordiale e non allontanarsi dalle consuetudini e tradizioni dei primi Apostoli. Per questa ragione Ippolito scrive con scrupolosa attenzione tutto ciò che è necessario fare quando viene ordinato un vescovo, un presbitero o un diacono; altresì è scrupoloso nel richiamarci all’attenzione il modo in cui vanno istituite le vedove, le vergini, i lettori, i suddiaconi, i guaritori; ancora, dedica particolare attenzione ai catecumeni e al rito del battesimo, al digiuno, alla preghiera e anche al gesto del segno della croce.

 

L’organizzazione gerarchica della Chiesa

Sulla prima delle tre grandi parti del libro che, come abbiamo già accennato, si concentra sull’organizzazione della gerarchia ecclesiastica, parte da una descrizione dettagliata del cerimoniale e pone una distinzione netta – ancor oggi ben visibile nelle nostre celebrazioni – tra ordinazione e istituzione:

L’ordinazione (χειροτονία), riservata a tutti coloro che esercitano un vero e proprio ufficio liturgico, è la consacrazione necessaria per compiere una liturgia.

«Quando si ordina un sacerdote (il vescovo) gli imponga la mano sul capo, imitato dai sacerdoti, e preghi nel modo che abbiamo detto a proposito dell’ordinazione del vescovo…»[5], «quando si ordina un diacono, lo si scelga nel modo già detto, ma solo il vescovo gli imponga le mani. Nell’ordinazione del diacono imponga le mani solo il vescovo proprio perché il diacono viene ordinato non al sacerdozio, ma al servizio del vescovo con il compito di eseguirne gli ordini»[6]. Unica eccezione è riservata ai confessori della fede che non hanno bisogno dell’imposizione delle mani per essere ordinati perché «se un confessore è stato in prigione per il nome del Signore, non gli si faccia l’imposizione per ordinarla diacono o sacerdote, dal momento che, per la sua confessione, ha già la dignità sacerdotale; gliela si faccia, invece per ordinarlo vescovo»[7].

L’istituzione (κατάστασις), invece, riguarda tutti i laici, e consiste nel riconoscere lo stato di vita che vivono  «Non si imponga la mano sulla vergine: è unicamente la sua decisione che la fa vergine»[8] o i carismi che hanno ricevuto «Se uno dice: “ho ricevuto il dono della guarigione in una rivelazione”, non gli si faccia l’imposizione. I fatti stessi dimostreranno se ha detto la verità»[9]. Lo stesso avviene anche nell’assegnare un titolo «Quando si istituisce una vedova, questa non riceva un’ordinazione, ma solo il titolo. […] la vedova venga istituita con la sola parola e poi venga unita alle altre. Non le si faccia l’imposizione, in quanto ella non fa l’offerta né assume al compito liturgico. Del resto l’ordinazione è limitata al clero che svolge un ufficio liturgico, mentre la vedova è istituita per la preghiera che è dovere di tutti»[10]. L’istituzione, infine, riguarda anche quelle persone a cui viene affidato un compito «Il lettore viene istituito nell’atto in cui il vescovo gli consegna il libro: non gli si fa, infatti, l’imposizione delle mani»[11], «Non si imponga la mano sul suddiacono, ma lo si nomini perché sia al servizio del diacono»[12].

Nella descrizione dell’organizzazione della Chiesa cristiana la χειροτονία riservata ai vescovi è la prima cerimonia in ordine di esposizione, la più complessa e la più interessante fra tutte:[13]

«Sia ordinato vescovo colui che è stato scelto da tutto il popolo, purché sia irreprensibile. Si farà il nome del prescelto e, se esso incontrerà unanimità di consensi, si riuniranno, di domenica, il popolo, il collegio dei sacerdoti e i vescovi presenti. Questi ultimi, con consenso di tutti, impongano le mani sull’eletto, mentre i sacerdoti assistano senza far nulla. Tutti tacciano, ma preghino in cuor loro per la discesa dello Spirito Santo. Poi uno dei vescovi presenti, a richiesta di tutti, imponga la mano su colui che riceve l’ordinazione episcopale … »[14].

 

La vita dei laici

Sulla seconda tematica che Ippolito di Roma prende in considerazione nel suo testo, tutto ruota attorno alle regole che devono aiutare la vita dei laici; ad esempio:

«Si esaminino i mestieri e le occupazioni di coloro che sono condotti a ricevere l’istruzione. Se uno gestisce un postribolo, smetta o sia rimandato. Se uno è scultore o pittore, gli si dica di non rappresentare idoli: smetta o sia rimandato. Se uno è attore o dà rappresentazioni in teatro, smetta o sia rimandato. È bene che ci insegna ai fanciulli smetta, ma gli si permetta di continuare se non ha altro mestiere. L’auriga che gareggia o colui che prendevate ai giochi pubblici, smetta o sia rimandato. Chi è il gladiatore o insegna ai gladiatori a combattere, o è un bestiario che combatte nel circo contro le fiere, o è un funzionario che si occupa dei giochi dei gladiatori, smetta o sia rimandato. Chi è sacerdote o guardiano di idoli, smetta o sia rimandato.[…] Chi ha potere di vitae di morte o il magistrato supremo di una città, smetta o sia rimandato. Il catecumeno o il fedele che vogliono dedicarsi alla vita militare siano mandati via perché hanno disprezzato Dio»[15].

Inoltre, nel testo si fa riferimento alle preghiere da recitare all’inizio dei pasti e alla fine insieme all’invito a mangiare con disciplina e moderazione; la benedizione dei frutti, il pasto delle vedove e la partecipazione al pasto comune.

 

La prassi liturgica

Infine, la terza parte del documento è incentrata sulla prassi liturgica. «Ogni fedele, prima di toccare cibo, si affretti a ricevere l’Eucaristia. Se la riceve con fede, qualunque cosa mortale gli si dia non potrà nuocergli»[16]Si fa riferimento alla cura da dedicare alla custodia dell’Eucaristia esortando a stare

«attenti affinché non gusti dell’Eucaristia un infedele o un topo o altro animale, né parte di essa cada o vada perduta. Il corpo di Cristo, difatti, deve essere mangiato dai fedeli e non deve essere disprezzato»[17].

Conclude l’antipapa Ippolito – e noi lo seguiamo – questo testo importantissimo ammonendo che «queste istruzioni, se si ricevono con gratitudine e con fede, procurano alla Chiesa l’edificazione e ai credenti la vita eterna. Do a tutti i saggi il consiglio di custodirle, poiché nessun eretico né altro uomo potrà condurre in errore chi osserva la tradizione apostolica. Difatti le eresie si sono moltiplicate perché i capi non vogliono istruirsi sull’insegnamento degli apostoli, ma fanno ciò che vogliono, seguendo il loro capriccio e non l’opportunità. Carissimi, se abbiamo tralasciato qualcosa, dio la rivelerà a coloro che ne sono degni, poiché egli governa la Chiesa affinché essa approdi al porto della pace»[18].

 

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Fonti

[1] Péter Erdö, (Tit. Orig.) Die Quellen des Kirchenrechts. Eine geschichtliche Einführung – (It) Storia delle fonti del Diritto Canonico), Marcianum Press s.r.l., 2008.

[2] Questa collezione, poi, è identificabile in quell’Apostoliké paradosis che si trova sulla statua nota come la statua di S. Ippolito, all’ingresso della Biblioteca Vaticana. L’attribuzione all’antipapa Ippolito, però, comporterebbe una collocazione cronologica intorno al 218, ma la dottrina, al riguardo, non è unanime: Pierre Nautin fu il primo a contestare l’attribuzione di quest’opera a Sant’Ippolito, e, in seguito, le ricerche archeologiche condotte sulla statua, dirette da Margherita Guarducci, mostrarono trattarsi originariamente della statua d’una donna, il cui capo venne in seguito sostituito con quello d’un uomo barbuto, né poté essere escluso con certezza che la scritta, su un lato del trono della statua, fosse stata aggiunta proprio allo scopo d’attribuire l’opera ad Ippolito. 

(Péter Erdö, (Tit. Orig.) Die Quellen des Kirchenrechts. Eine geschichtliche Einführung – (It) Storia delle fonti del Diritto Canonico), Marcianum Press s.r.l., 2008.)

[3] cfr. Rachele Tateo, La tradizione apostolica, ed. Paoline, 2010.

[4] Cfr. Relatio Peculiaris de prece Eucharistica secunda breviori.

[5] Ippolito, La tradizione apostolica, cap. 7.

[6] Ibid. cap. 8.

[7] Ibid. cap. 9.

[8] Ibid. cap. 12.

[9] Ibid. cap. 14.

[10] Ibid. cap. 10.

[11] Ibid. cap. 11.

[12] Ibid. cap. 13.

[13] Cfr. Ippolito di Roma, La tradizione apostolica, introduzione, traduzione e note a cura di Rachele Tateo, Paoline editoriale libri, 1995.

[14] Ippolito, La tradizione apostolica, cap. 2. 

[15] Ibid. cap. 12.

[16] Ibid. cap. 36.

[17] Ibid. cap. 37.

[18] Ibid. cap. 43.

 

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

 

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