Perenzione e rinuncia nel processo canonico

perenzione

Il termine “istanza” indica l’insieme degli atti che i soggetti della relazione giuridica processuale, realizzano dalla citazione alla fine del giudizio. Il Legislatore stabilisce che l’inizio dell’istanza si ha con la citazione e non con la contestazione della lite. Dalla citazione, infatti, ha inizio la relazione processuale tra attore e convenuto e se ne determina la durata: Così il can. 1453 CIC:

Giudici e tribunali provvedano, salva la giustizia, affinché tutte le cause si concludano al più presto, di modo che non si protraggano più di un anno nel tribunale di prima istanza, e non più di sei mesi nel tribunale di seconda istanza.

Un processo può avere diverse istanze, tante quanti sono i gradi, e una stessa azione può proporsi in una sola o in diverse istanze, in caso di appello. A motivo di tale distinzione potrà estinguersi l’istanza, ma non l’azione che si potrà proporre di nuovo.

L’istanza finisce o si estingue in via giudiziaria con la sentenza definitiva oppure in altri modi previsti dal diritto. Tali modi possono essere diretti, come la perenzione e la rinuncia, e indiretti, come l’estinzione della stessa azione o la restituzione della cosa oggetto di litigio. In via extragiudiziale l’azione si estingue con la transazione, il compromesso e la riconciliazione [1]. In questo articolo, andremo ad analizzarne i modi diretti, ovvero la perenzione e la rinuncia.

 

La perenzione

La perenzione è l’estinzione o la fine dell’istanza per inerzia, inattività o negligenza delle parti, durante il tempo previsto dalla legge. Ha luogo se nessun atto processuale sia stato posto dalle parti nell’arco di 6 mesi, tranne che vi sia stato un impedimento. La legge particolare può stabilire termini diversi di perenzione (can. 1520 CIC).

La perenzione ha effetto ipso iure verso tutti e dev’essere dichiarata d’ufficio. Qualora l’avvenuta perenzione sia dovuta a negligenza dei tutori, dei curatori, degli amministratori o dei procuratori, la parte può anche chiedere un’indennità al fine di essere ristorata dai danni patiti in conseguenza dell’intervenuta perenzione. Da notare che i soggetti, nei cui confronti la parte presenta richiesta di indennizzo, devono dimostrare di non aver colpa relativamente all’avvenuta perenzione dell’instantia litis: ciò significa che la norma ha stabilito una presunzione di colpa, in quanto non è la parte a dover dimostrare al riguardo la culpa, ad esempio del tutore o del procuratore, ma saranno quest’ultimi a dover provare la propria non colpevolezza in merito.

La perenzione estingue gli acta processus (contestazione della lite, citazioni, intimazioni, notificazioni…), ma non gli acta causae (dichiarazioni delle parti, deposizioni dei testi, documenti, perizie, prove in genere, sentenze…). Anzi questi possono avere valore in un’altra istanza tra le stesse parti e sullo stesso oggetto. Se la perenzione si dà in caso di appello, essa, come la rinuncia, ha valore definitivo, poiché si produce la res iudicata, ai sensi del can. 1641, 3° CIC.

 

La rinuncia

Il Legislatore prevede la possibilità di rinunciare sia all’istanza, sia agli atti processuali. La rinuncia all’istanza sostanzialmente comporta la rinuncia agli acta processus, per cui essa si identifica con la rinuncia a tutti gli atti processuali. Occorre però fare una distinzione: la detta equiparazione può ritenersi valida solo nel caso in cui colui che rinuncia è l’attore, ovvero colui che ha agito in giudizio. Solo lui può rinunciare all’istanza, o a tutti gli atti del processo. Quando invece il rinunciante è il convenuto, questi non può porre nulla l’istanza, né tramite la rinuncia ad essa (che non gli è consentito), né per mezzo della rinuncia a tutti gli atti del processo: in tale ultimo caso, infatti, si deve ritenere che la rinuncia a tutti gli atti del processo equivalga a una semplice manifestazione di volontà con la quale lo stesso rinuncia al compimento di ogni atto processuale per la sua difesa.

Diversa è invece la fattispecie della rinuncia parziale agli atti processuali, la quale per esempio può concernere uno o più atti che debbano ancora compiersi, come per esempio la rinuncia all’escussione di un teste, o alla prova documentale.
In ultimo, è bene rammentare il disposto del can. 1724 CIC relativo al giudizio penale, il quale stabilisce che il promotore di giustizia può rinunciare all’istanza per mandato o con il consenso dell’Ordinario che ha deliberato l’avvio del processo, essendo altresì richiesta, a pena di invalidità, l’accettazione dell’imputato, a meno che questi non sia stato dichiarato assente dal giudizio [2] .

Can. 1724 – §1: In qualunque grado del giudizio il promotore di giustizia può rinunciare all’istanza, per mandato o con il consenso dell’Ordinario che ha deliberato l’avvio del processo. §2. Perché la rinuncia sia valida occorre che sia accettata dall’imputato, salvo questi non sia stato dichiarato assente dal giudizio.

 

Note 

[1] L. SABBARESE, Manuale di Diritto Canonico, Neldiritto Editore, Lecce, 2021, pp. 538-539.

[2] C. PAPALE, I Processi. Commento ai canoni 1400-1670 del Codice di Diritto Canonico, Urbaniana University Press, Città del Vaticano, 2017, pp. 222-228.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

  

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