Praedicate Evangelium: elaborazione, innovazioni e limiti

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Durante la Conferenza Stampa del 21 marzo, che Vox Canonica ha potuto seguire direttamente dalla Sala Stampa Vaticana, in occasione della pubblicazione della nuova Costituzione Apostolica di papa Francesco Praedicate Evangelium, sono intervenuti l’Em.mo Card. Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi; S.E. Mons. Marco Mellino, Segretario del Consiglio dei Cardinali; e il Prof. Gianfranco Ghirlanda, S.I., Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana. Durante la conferenza sono state illustrate sia le varie fasi del lavoro di elaborazione della Costituzione Apostolica, sia le novità da essa apportate.

Elaborazione della Costituzione Apostolica

Con la Praedicate Evangelium, pubblicata il 19 marzo 2022, in vigore dal prossimo 5 giugno, «giunge a conclusione un cammino iniziato nove anni or sono; da quando, cioè, insieme con l’annuncio della costituzione di un Consiglio di Cardinali per consigliarlo nel governo della Chiesa universale, papa Francesco annunciò pure l’avvio di una riforma della Curia Romana (13 aprile 2013)» ricorda il Card. Semeraro.

Riforma che, prosegue il Cardinale, «ha senz’altro analogie con le due precedenti riforme curiali: la Costituzione Regimini Ecclesiae universae (1967) di san Paolo VI e la Costituzione Apostolica Pastor Bonus (1988) di San Giovanni Paolo II».

L’espressione Praedicate Evangelium è tratta da Mc 16,15: un mandato che, come aveva scritto San Giovanni Paolo II in Redemptoris missio, costituisce «il primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all’intera umanità nel mondo odierno» (n. 2).

Nel processo di redazione, infatti, fu individuato come principio ecclesiologico ispiratore quello della missionarietà, inteso come base per la riforma delle strutture, il che esige la conversione pastorale, facendo in modo che esse diventino tutte più missionarie. Diversamente – sottolinea Mons. Mellino – la riforma sarebbe solamente una riorganizzazione dell’impianto funzionale ecclesiastico.

Questo principio fa parte di un insieme di ben dodici criteri-guida della riforma, richiamati da papa Francesco nel discorso del 22 dicembre 2016, in particolare: individualità; pastoralità; missionarietà; razionalità; funzionalità; modernità; sobrietà; sussidiarietà; sinodalità; cattolicità; professionalità; gradualità.

Tutti criteri che ruotano attorno ad un unico termine costitutivo: il servizio. Esso, oltre a delinearne la natura esprime altresì lo spirito con cui la Curia è chiamata ad operare, sia verso il Santo Padre che verso i Vescovi.

Innovazioni introdotte con la Riforma

Tra le novità apportate all’interno della Curia Romana, troviamo la costituzione di nuovi Dicasteri e l’accorpamento di altri. E’ stato costituito infatti, il “Dicastero per l’evangelizzazione”, presieduto direttamente dal papa, frutto dell’accorpamento della “Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli” e del “Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione”.

Elevato a Dicastero anche l’Elemosineria Apostolica, o “Dicastero per il servizio della carità”, col fine di esercitare in qualsiasi parte del mondo l’opera di assistenza e di aiuto verso i poveri, i vulnerabili e gli esclusi, a nome del Romano Pontefice. Anche il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi è stato elevato a Dicastero per i Testi Legislativi, confermando gli stessi fini, ovvero promuovere e diffondere nella Chiesa la conoscenza e l’accoglienza del Diritto canonico, offrendo l’assistenza per la sua corretta applicazione.

All’interno del Dicastero per la dottrina della fede, viene inserita la commissione per la tutela dei minori vittime di abusi, con l’incarico di «fornire al Romano Pontefice consiglio e consulenza ed altresì proporre le più opportune iniziative per la salvaguardia dei minori e delle persone vulnerabili».

I fedeli laici

Decisamente innovativa la parte relativa agli incarichi di curia, con particolare riferimento ai fedeli laici. Al n. 5 dei Principi e criteri, si legge : «Per tale ragione qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di quest’ultimi».

Sottolinea dunque, il Prof. Ghirlanda, che «chi è preposto ad un Dicastero o altro Organismo della Curia non ha autorità per il grado gerarchico di cui è investito, ma per la potestà che riceve dal Romano Pontefice ed esercita a suo nome». E prosegue, «se il Prefetto e il Segretario di un Dicastero sono vescovi, ciò non deve far cadere nell’equivoco che la loro autorità venga dal grado gerarchico ricevuto, come se agissero con una potestà propria, e non con la potestà vicaria conferita loro dal Romano Pontefice. La potestà vicaria per svolgere un ufficio è la stessa se ricevuta da un vescovo, da un presbitero, da un consacrato o una consacrata oppure da un laico o una laica».

Il fondamento di questa decisione si trova innanzitutto nei cann. 208 e 204 CIC 1983, nei quali si riconosce l’uguaglianza nella dignità e nell’agire di tutti i fedeli in virtù del battesimo, per cui tutti i battezzati sono chiamati e hanno la responsabilità di cooperare all’attuazione della missione che Cristo ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo.

Non bisogna però pensare che la Costituzione Apostolica abroghi il Codice di Diritto Canonico, ricorda Ghirlanda. Poiché ci sono Dicasteri in cui è conveniente che ci siano dei laici, in altri casi si stabilisce che nelle questioni che riguardano i chierici siano i chierici a giudicare. Evidenzia, infatti, Mons. Mellino, che il laico o meno viene nominato per la peculiare competenza di quel Dicastero e le funzioni di quest’ultimo.

Aggiunge, infine, il prof. Ghirlanda, che è importante attenzionare il rapporto lavorativo con i laici, per i quali, a differenza di chierici e religiosi, si richiede un contratto a tempo indeterminato con eventuale trasferimento in altri settori in base alle necessità e alle competenze.

Invariati sia per laici che per chierici e religiosi, i 5 anni di durata dell’incarico. Per i quali pero, evidenzia Ghirlanda,  la Costituzione non pone alcun limite di rinnovo. I criteri che vengono valutati per rinnovare o meno un incarico allo scadere del quinquennio sono sicuramente l’effettiva competenza ed efficienza di chi lo svolge, avendo cura che non vi siano intenzioni di carrierismo e allo stesso tempo, che in seguito ad una serie di rinnovi successivi, la persona non si trovi a cadere nella tentazione del potere in quel dato ruolo.

Limiti della Costituzione Apostolica

Nel confronto coi giornalisti presenti in sala stampa, non si è potuto fare a meno di notare, oltre le note positive della Costituzione, anche alcuni limiti che essa presenta.

Uno di questi è senz’altro la lingua. La Costituzione è stata redatta esclusivamente in italiano, e in assenza di traduzioni, si rende complicata la ricezione da parte di chi non conosce questa lingua, è comunque un documento che riguarda la Chiesa universale. Ma, rassicura Matteo Bruni, Presidente della Sala Stampa Vaticana, che le traduzioni saranno disponibili nel rispetto dei tempi tecnici di realizzazione.

Una contraddizione sembra invece trovarsi all’art. 93 in cui si legge che il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti si occupa della regolamentazione e della disciplina della sacra liturgia per quanto riguarda l’uso – concesso secondo le norme stabilite – dei libri liturgici precedenti alla riforma del Concilio Vaticano II.

Tale articolo è in contraddizione con il motu proprio di papa Francesco Traditionis Custodes, la quale dichiara come unica espressione della lex orandi del Rito Romano, solamente i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II.

Mons. Mellino riconoscendo l’errore chiarisce che l’art. in questione fu formulato prima dell’uscita del motu proprio di papa Francesco, ma poi divenuto oggetto di svista. Tuttavia il nuovo testo è già in elaborazione e verrà inserito nella stesura definitiva della Costituzione nell’editio tipica. La correzione però – sottolinea Mellino – sarà solamente terminologica poiché la competenza del Dicastero sul tema rimane, come specificato all’art. 4 del motu proprio.

Nonostante questa Costituzione sia il compimento di quasi 10 anni di studi e lavori, non è certo la parola definitiva. Afferma Ghirlanda che in futuro se si ci saranno correzioni da attuare, verranno certamente fatte. Poiché «la riforma – ha affermato Semeraro – è un’istanza fondamentalmente spirituale e costitutiva della Chiesa». Quindi, riprendendo l’assioma Ecclesia semper reformanda, si può anche parlare magari, di una Curia semper reformanda.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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Alessia Guarrera

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