Diego Velázquez, San Tommaso confortato dagli Angeli cinto di purezza, 1632, Museo Diocesano de Arte Sacro de Orihuela
Il can. 599 C.I.C. specifica che il voto di castità è assunto «propter Regnum Cœlorum»[1] ed è il segno tangibile della fecondità del cuore indiviso: si concretizza nella «obligationem secumfert continentiæ perfectæ in celibatu»[2].
Alcuni accenni magisteriali pre e post conciliari
Per comprendere al meglio il Consiglio evangelico di castità dobbiamo qui menzionare, sebbene per sommi capi, soprattutto i preziosi e ricchi interventi di Giovanni Paolo II, che hanno dato un notevole contributo ad una migliore conoscenza e fondazione di questo consiglio evangelico; inteso tanto come tale, quanto come voto, ovvero tradotto nella forma giuridica. Occorre, in questa sede, tener presente il contesto antropologico, biblico e morale sul rapporto uomo-donna in generale, nel quale l’intendimento corretto della castità si inserisce. Il concetto di castità preconciliare intendeva la “purezza” assoluta come suo esatto corrispondente, come se non esistesse nessun’altra forma morale superiore.
Il peccato contra sextum assumeva i contorni del peccato mortale; ma nel contempo i direttori spirituali, per mettere d’accordo il fatto che tutti siamo peccatori con l’idea che il buon religioso non poteva aver colpe sessuali, avevano inventato per i consacrati la categoria del peccato veniale “involontario”, sicché il peccato, che di per sè è un atto volontario, era privato di un suo carattere essenziale, come a dire una “colpa senza colpa”. Questo peccato che non era peccato, era il massimo di colpa che si poteva ammettere per un buon religioso, cosa però che comunque era valutata con molta severità.
Aspetti teologici del voto
La riforma della Vita religiosa promossa dal Concilio ha messo fine a questa stortura che in certi casi provocava delle psicosi e spesso un eccesso di scrupoli, facendo diminuire d’importanza peccati ben più gravi. Ma, come spesso accade nella storia, la correzione troppo drastica o imprudente di un eccesso, provoca per reazione lo scatenarsi dell’eccesso opposto[3]. La castità professata mediante voto pubblico, così come espressa dal can. 599 C.I.C. ha come scopo primario un’intenzione strettamente connessa alla corruttibilità della natura umana: l’ascetica soggiacente alla castità mira a liberare lo spirito dalle caducità della carne per elevarlo ai legami spirituali e non più carnali che saranno nel Regno; un secondo scopo, connesso al primo, è quello dell’esaltazione della vita spirituale.
L’aspetto antropologico, con la sua dimensione maschio-femmina, tuttavia non va inteso in contrasto con questo aspetto puramente spirituale, del resto già contenuto nella reciprocità uomo-donna, la quale (reciprocità), soprattutto nella Vita religiosa, fa emergere con forza l’aspetto della reciprocità spirituale. La castità divina appare in alcuni modelli fondamentali, che manifestano ciascuno un aspetto della spiritualità cristiana. Innanzitutto il modello supremo è Cristo stesso, la cui castità è l’emblema della figliolanza divina redentrice. Subordinatamente a questo supremo modello sta la verginità di Maria, che è l’essere immacolati e la pienezza di grazia per eccellenza, propria della creatura totalmente consacrata a Dio. Questa finalità teologica del voto di castità è quella più alta, perché attiene alla visione beatifica, che è il fine ultimo soprannaturale della vita umana.
La visione beatifica è atto dell’intelletto dell’anima (separata) dopo la morte. In questo atto la dimensione sessuale evidentemente non ha alcuna parte, dato che il corpo è assente. La castità che devono vivere i consacrati, dunque, in quanto assunta «propter Regnum coelorum»[4] è segno della vita futura. Mediante la castità consacrata i Religiosi anticipano il Regno, dove non sussisteranno vincoli se non spirituali; inoltre la loro castità manifesta l’unione sponsale con Cristo. Di conseguenza la condizione di consacrato è incompatibile con la condizione coniugata, perché essa non e in grado di testimoniare la vita futura, né può esprimere il carattere sponsale con Cristo che è proprio della Vita consacrata[5]. A tale proposito, Giovanni Paolo ll ha autorevolmente precisato che:
«non possono essere comprese nella specifica categoria della vita consacrata quelle pur lodevoli forme di impegno che alcuni coniugi cristiani assumono in associazioni o movimenti ecclesiali, quando, nell’intento di portare alla perfezione della carità il loro amore, già ‘come consacrato’ nel sacramento del matrimonio, confermano con un voto il dovere della castità proprio della vita coniugale e, senza trascurare i loro doveri verso i figli, professano la povertà e 1’obbedienza»[6].
La sintesi giuridica
A ribadire l’unicità della professione del Consiglio evangelico della castità nella Vita consacrata, sulla base di quanto fin ora detto, il can. 599 C.I.C. esprime, dunque un aspetto peculiarissimo; nella specificità del dettato codiciale ritroviamo un triplice intento del Legislatore: 1. Individuare nel Consiglio evangelico della castità e nella sua traduzione giuridica del voto una precisa motivazione: il Regno dei Cieli, del quale la castità è anticipazione sulla terra. 2. Dare e riconoscere alla castità una funzione sacramentale, ovvero di segno tangibile, una funzione escatologica. 3. La castità è simbolo della fecondità del cuore indiviso: dell’amore sponsale tra Cristo e la sua Chiesa. Il contenuto giuridico, il senso di questo voto è quello di astenersi da ogni atto interno o esterno contrario al VI e IX comandamento del Decalogo. Questo consiglio, dunque, non ammette gradi, restrizioni, né particolarità stabilite dalle Costituzioni o dal Diritto proprio. Ammette soltanto distinzione nei mezzi ascetici della salvaguardia e l’osservanza del Consiglio evangelico.
Note
[1] Can. 599 C.I.C.
[2] Cfr. Idem.
[3] Per un approfondimento maggiore sul tema della castità, della purezza o più in generale della morale sessuale, si veda: A. Fumagalli, L’amore sessuale. Fondamenti e criteri teologico-morali, Bologna 2017. Per uno sguardo più ampio sull’argomento, si veda: A. Pigna, Consigli evangelici, virtù e voti, Bologna 1993.
[4] Can. 599 C.I.C.
[5] Cfr. L. Navarro, Aspetti canonici della consacrazione, in A.L. Orsoz (cur.), Vita consacrata e diritti umani nella Chiesa dell’Europa centro-orientale ed altri saggi di Diritto canonico, Budapest 2011, pag. 22.
[6] Joannes Paulus PP. II, Adhortatio apostolica postsynodalis: Vita Consecrata, diei 25 martii 1996, in AAS LXXXVIII (1996), n. 62.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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