Can. 1098: il consenso matrimoniale ottenuto con dolo. Tra novità e limiti

dolo

Il matrimonio, in quanto istituto giuridico, ha degli elementi che ne stabiliscono la validità. Primo fra tutti, il consenso, che ne è l’atto costitutivo proprio.

Al can. 1057 troviamo una delle rarissime definizioni che dà il Codice, che presenta il consenso come l’atto della volontà che costituisce il matrimonio. E aggiunge che deve essere “manifestato legittimamente”.

Il consenso, infatti, in quanto atto di volontà è un atto interno, personale, che appartiene alla sfera intima dell’uomo e della donna. Si richiede che questo atto interno sia manifestato “legittimamente”, cioè nella forma e nei modi prescritti dal diritto, di modo che diventi un atto anche esteriore e conoscibile.

Emergono, così, due degli elementi essenziali per porre in essere un valido consenso, ovvero, la collaborazione che deve coesistere tra l’intelletto e la volontà dei nubendi. Senza di essa, i nubendi non sarebbero giuridicamente abili, come stabilito dallo stesso can. 1057 in riferimento specifico al matrimonio, e dal can. 124 per l’atto giuridico in genere.

Ciò garantirà all’uomo e alla donna di fare una scelta cosciente e libera. E proprio la libertà è un altro degli elementi che caratterizzano la decisione di realizzare il patto nuziale. Patto che diventa così un atto pienamente umano, tramite la coesistenza di questi tre elementi: il pieno uso dell’intelletto, della volontà e della libertà.

Nel momento in cui uno o più di questi elementi venissero a mancare al momento della celebrazione del matrimonio, allora si parlerà, o di vizio del consenso, o di consenso o matrimonio nullo.

Un esempio in proposito, è dato dal can. 1098, riguardante il consenso matrimoniale ottenuto tramite dolo.

Il dolo: definizione

Can. 1098 – Chi celebra il matrimonio, raggirato con dolo, ordito per ottenere il consenso, circa una qualità dell’altra parte, che per sua natura può perturbare gravemente la comunità di vita coniugale, contrae invalidamente.

Questo canone fu una delle novità della codificazione dell’83, poiché nel codice del ’17 non si dava ancora specifica rilevanza al dolo nel diritto matrimoniale.

Tuttavia, non essendoci nel CIC alcuna definizione di azione dolosa, per capire meglio la fattispecie di cui parla il canone, faremo riferimento ad alcune specificazioni da fonti esterne, in chiave comparatistica.

Il dolo nel diritto romano

La prima è una citazione di Labeone, riportata nel Digesto, e che definisce il dolo come: omnis calliditas, fallacia, machinatio, ad circumveniendum, fallendum, decipiendum, alterum adhibita. Ovvero, ogni astuzia, inganno, macchinazione che viene adibita per raggirare, far cadere e ingannare l’altro.

Il codice civile italiano

Maggiori elementi emergono da un’altra fonte, il codice civile italiano, agli artt. 1439 e 1440:

art. 1439 c.c. – Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe contrattato.

Quando i raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile se essi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio.

art. 1440 c.c. – Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni.

In questi articoli, si ha una prima distinzione di due tipologie di dolo:

  • dolo determinante (art. 1439): determina cioè la vittima a stipulare un atto che, se non fosse stata ingannata, non avrebbe concluso. Causa annullamento del contratto.
  • dolo incidente (art. 1440): l’inganno incide sulle condizioni contrattuali, in quanto, se non fosse stata indotta in errore, la parte raggirata avrebbe stipulato l’atto a condizioni diverse. Non causa l’annullamento del contratto.

Il codice civile pone l’attenzione sul dolo-inganno, inteso come vizio del consenso o della volontà della parte ingannata (deceptus), tramite una condotta di chi inganna (deceptor). Pone dunque l’accento, sull’azione. Consiste in un fatto.

Il codice penale italiano

Una spiegazione più tecnica invece, anche se dal focus differente, si trova all’art. 43 comma 1 del codice penale italiano:

art. 43 c.p.- Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione.

Tale formula definitoria, nel tempo è stata ritenuta come solamente parziale; ma è possibile estrapolarvi altri elementi del dolo.

Innanzitutto esso consta di due componenti psicologiche: la previsione (o coscienza), e la volontà; in reciproco rapporto tra loro.

  • L’elemento intellettivo, o coscienza, si pone più come previsione di accadimenti futuri conseguenti dalla propria condotta. Ci sarà, dunque, la presenza di un nesso causale tra l’azione e l’evento previsto.
  • L’elemento volitivo comprende la volontà consapevole di realizzare il fatto. L’intenzione.

Il dolo, inoltre, può essere:

  • commissivo: vengono poste delle azioni al fine di ingannare.
  • omissivo: nascondere, non rivelare elementi importanti, creare un silenzio doloso che porta in errore.

Il codice penale pone dunque l’attenzione più sul dolo-intenzione, evidenziando il carattere psicologico dell’agente (deceptor). La sua intenzione di realizzare un dato fatto, che dovrà corrispondere all’evento che aveva programmato. Se viene a mancare questo nesso tra l’evento e la volontà del soggetto, non sarà un atto doloso ma colposo. Occorre che siano presenti tutti e tre gli elementi: previsione, volontà ed evento corrispondente alla previsione.

Il dolo e l’errore

Il dolo, dunque, – spiega il Chiappetta – «consiste in raggiri, manovre, artifici, diretti a trarre in errore una persona, viziandone la volontà e inducendola a compiere un atto che altrimenti non avrebbe compiuto o che sarebbe stato effettuato a condizioni e modi diversi».

L’errore è una falsa, erronea rappresentazione della realtà, un falso giudizio su un fatto, che può dipendere da varie cause. Per questo motivo occorre distinguere la fattispecie di errore da quella di errore doloso.

L’errore in genere può essere:

  • errore di fatto (cann. 1097; 1098): inerente a un fatto, una persona nella sua identità o in qualche qualità;
  • errore di diritto (can. 1099): su una legge o sulla conformazione di un istituto giuridico.

può essere, inoltre:

  • errore sostanziale (can. 126): circa l’identità stessa della persona (di fatto) o del matrimonio (di diritto). È sempre invalidante.
  • errore accidentale: riguarda solo una caratteristica della persona (di fatto); le proprietà essenziali del matrimonio o la dignità sacramentale (di diritto). Di norma non è invalidante, lo è solo in alcuni casi.

La distinzione sta nel fatto che nel caso di errore, la responsabilità ricade solamente su colui che erra, poiché ha percepito autonomamente in maniera inesatta quella data realtà indirizzando il proprio consenso di conseguenza.

Nell’errore doloso invece vi è l’azione attiva di un deceptor, un soggetto ingannante, che volontariamente, dolosamente, pone in essere una serie di azioni con l’intento di indurre in errore il deceptus, l’ingannato, per un determinato scopo. Questi, dunque, non è più l’artefice del proprio errore, poiché l’attenzione cade anche sul deceptor.

Il dolo nel diritto matrimoniale canonico

Di norma, gli atti posti con dolo non vengono resi nulli (cfr. can. 125 §2). Così come gli atti posti per errore che non vertono su un elemento sostanziale, valgono (cfr. can. 126).

Il can. 1098 fa riferimento sia ad un’azione compiuta con dolo, sia al fatto che questa venga rivolta ad una qualità dell’altra parte.

Si tratterebbe perciò di un caso di errore di fatto accidentale, e quindi valido.

Secondo il can. 125 §2, l’atto posto per timore grave, incusso ingiustamente, o per dolo, vale, a meno che non sia disposto altro dal diritto.

can. 126 – L’atto posto per ignoranza o per errore, che verta intorno a ciò che ne costituisce la sostanza, o che ricada nella condizione sine qua non, è nullo; altrimenti vale, se dal diritto non è disposto altro, ma l’atto compiuto per ignoranza o per errore può dar luogo all’azione rescissoria a norma del diritto.

Notiamo però, che la specificazione presente in entrambi i canoni “a meno che non sia disposto altro dal diritto” rende il can. 1098 un’eccezione ad ambedue i casi. Così come il can. 1097 §2 e il 1099.

Analisi del can. 1098

Can. 1098 – Chi celebra il matrimonio, raggirato con dolo, ordito per ottenere il consenso, circa una qualità dell’altra parte, che per sua natura può perturbare gravemente la comunità di vita coniugale, contrae invalidamente.

Affinché si tratti di un vero e proprio consenso emesso con dolo, devono concorrere i seguenti elementi richiesti dal canone:

  1. L’azione dolosa da parte del deceptor (che può essere il futuro coniuge o anche una terza persona), finalizzata intenzionalmente a ingannare l’altro. Azione dolosa che può essere sia commissiva che omissiva.
  2. Tale azione dolosa deve tendere ad ottenere il consenso. Si evidenzia qui la validità del dolo diretto. Il deceptor deve prevedere e volere l’ottenimento del consenso. Deve indurre l’altra parte al matrimonio. Se il dolo è rivolto ad altre finalità (indiretto) viene meno questo elemento.
  3. L’errore del deceptus deve ricadere su una qualità della persona che si intende sposare, che per sua natura può perturbare gravemente la comunità di vita coniugale. (es. religiosità, malattie, precedenti penali, sterilità ecc.) Ciò va valutato in base a un criterio oggettivo, ovvero in relazione all’essenza del matrimonio, alle sue proprietà e ai suoi fini.
  4. Deve esistere il nesso di causalità tra il dolo, l’errore e il consenso. Il dolo, cioè, deve aver causato quell’errore che ha portato l’altra parte a sposarsi, senza il quale non avrebbe acconsentito.

E’ evidente, come dal punto di vista concettuale, il canone, racchiuda tutti gli elementi evidenziati riferiti al dolo, che emergono sia dal codice civile, che da quello penale.

La ratio legis

Nell’individuare la definizione di azione dolosa, si è visto come ogni ordinamento ponga un focus differente sul concetto di dolo, a seconda della ratio perseguita.

Diverse sono, infatti, le finalità delle norme analizzate:

L’art. 43 c.p., pone l’attenzione sulle diverse articolazioni della colpevolezza in cui si estrinseca l’elemento soggettivo del reato: dolo, preterintenzione e colpa. Si concentra, dunque, sull’atto delittuoso e sul soggetto che agisce dolosamente, al fine di provarne la colpevolezza e infliggergli la giusta pena.

L’art. 1439 c.c. segue invece una ratio legis più concorde a quella del can 1098. Ovvero, poiché nel caso di dolo, la volontà del contraente non è libera ma viziata; se l’inganno proviene dalla controparte, o da un terzo con la consapevolezza della controparte, l’esigenza di tutela del raggirato è assoluta e giustifica l’annullamento.

Il can. 1098 segue il medesimo principio. La finalità non è tanto sanzionare colui che inganna dolosamente, quanto tutelare la libertà decisionale del nubente. Senza la quale l’atto è nullo. (Non annullato, ma nullo).

L’eccezionalità del canone, nel Codice, risiede nel fatto che a causa del dolo, viene a mancare nella persona ingannata, quella coesione tra volontà, intelletto e libertà necessari affinché il consenso sia un atto veramente umano, deliberato, volontario, libero e di conseguenza valido. La vittima di dolo, indotta in errore, viene limitata nella sua libertà a causa di un’alterazione della realtà, restringendo così la sua libertà decisionale e basandola su una realtà deviata, oggettivamente non vera, manipolata da altri.

È importante, dunque che ognuno sia libero di poter scegliere senza inganni o condizionamenti il proprio stato di vita e la persona con cui condividere il consorzio di tutta la vita.

Limiti del can. 1098

Nella specificazione “ordito per ottenere il consenso”, viene sottolineato che a viziare il consenso è solamente il dolo diretto. Quello cioè che ha come scopo indurre l’altra parte a contrarre matrimonio.

Di conseguenza, se il dolo sussiste comunque nella coppia, ma persegue altre finalità, questo non vizia il consenso anche se determina un inganno e sia lesivo della libertà del partner.

Si nota come, nonostante si basino sulla medesima ratio legis, il can. 1098 si differenzi dal can. 1103 relativo al metus o timore:

Can. 1103 – È invalido il matrimonio celebrato per violenza o timore grave incusso dall’esterno, anche non intenzionalmente, per liberarsi dal quale uno sia costretto a scegliere il matrimonio.

L’incidentale “anche non intenzionalmente”, evidenzia la caratteristica del timore. Ha valore invalidante sia esso diretto o indiretto, cioè che si tratti di una minaccia indirizzata direttamente ad ottenere il matrimonio, o che sebbene non sia orientata ad esso, venga percepita come tale dalla parte che la riceve, andando comunque a influenzarne e limitarne la libertà di scelta.

Allo stesso modo, un’azione dolosa, un inganno, seppur indiretto, rimane tale e condiziona la libertà decisionale altrui. Condizionamento che può ricadere anche su una scelta matrimoniale, seppur non direttamente indirizzata ad essa.

Ma, secondo la normativa attuale, questo caso non comporterebbe la nullità del consenso.

Potrebbe, tuttavia, rimanere una questione aperta da affidare alla riflessione giuridica sempre in continua evoluzione.

 

Bibliografia

  • CHIAPPETTA L. – CATOZZELLA F. et al., Il codice di diritto canonico. Commento giuridico-pastorale. Libri I-II, vol 1, 2011;
  • ID., Il codice di diritto canonico. Commento giuridico-pastorale. Libri III-IV, vol. 2, 2011;
  • D’AURIA A., Il matrimonio nel diritto della Chiesa, LUP, Città del Vaticano 2007;
  • FIANDACA G. – MUSCO E., Diritto Penale. Parte generale, Bologna 2020;
  • SABBARESE L., Il matrimonio canonico nell’ordine della natura e della grazia, 4 ed., Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2016;
  • TORRENTE A. et al., Manuale di diritto privato, Milano 2019;
  • VALDRINI P., Comunità, Persone, Governo. Lezioni sui libri I e II del CIC 1983, LUP, Città del Vaticano 2013.

 

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

 

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