Tano Festa, gli sposi, tecnica mista su tela, 1986
Articolo 2 delle Regole procedurali del MIDI
La questione della coscienza in riferimento alla nullità matrimoniale è un argomento che merita una seppur breve e non esaustiva puntualizzazione, anche in vista di un corretto itinerario di discernimento e integrazione o di un concreto iter processuale, il quale ha come finalità aiutare a conoscere la verità sul matrimonio [1]. Oggigiorno non è raro trovarsi davanti a fedeli che ritengono “in coscienza” il loro matrimonio nullo. Cosa comporta questo loro convincimento in coscienza in relazione alla nullità matrimoniale? Può esserci un conflitto?
Tale questione, tuttavia, non è nuova ma già San Giovanni Paolo II ne aveva parlato nell’Esortazione postsinodale Familiaris consortio al n. 84 affrontando il tema della situazione canonica dei fedeli divorziati risposati che «sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido». Quanto riportato da FC 84 è stato ripreso da Papa Francesco in Amoris laetitia (=AL) 298. Precedentemente ad AL si è affrontato questo argomento anche nel m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus (=MIDI) dove all’art. 2 RP si parla di quei «fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo» (MIDI, Regole Procedurali [=RP] art. 2).
Da questo testo, si suppone che esistono questi fedeli e che la loro “convinzione soggettiva della nullità” potrebbe essere il fondamento per dare inizio a un eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale. Si comprende, al tempo stesso, l’attenzione e la preoccupazione di Papa Francesco per coloro che hanno avuto un matrimonio finito male e vivono in una situazione che la Chiesa considera “irregolare”, in quanto un matrimonio non può essere sciolto con il divorzio. Per questo nel cercare di rendere più accessibile e snello lo strumento della nullità del matrimonio il Pontefice ha esortato anche ad avere un’attenzione pastorale verso queste situazioni di “irregolarità” (cfr. AL 244) e convincimento che hanno alcuni fedeli circa la nullità del matrimonio. Tuttavia, questo non significa che si sia voluto stravolgere il giudizio di nullità e renderlo una sorta di “divorzio della Chiesa”. La Chiesa, infatti, resta ferma sul principio dell’indissolubilità [2], ma può agire sulle modalità con cui viene accertata la nullità del matrimonio.
Prassi della Chiesa e la nullità di coscienza
Nei documenti del Papa, dunque, non vi è fondamento che il fedele stesso, con o senza avvalersi di un consulente, consideri valido o “putativo” il suo secondo matrimonio civile, né tantomeno che possa ricevere i sacramenti. Ma quando la convivenza è totalmente rotta e non può essere ripristinata, deve essere spiegata la differenza tra un fallimento, a causa dei loro comportamenti, e la nullità matrimoniale. A riguardo, Papa Benedetto XVI precisò che «là dove sorgono legittimamente dei dubbi circa la validità del Matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza» (Sacramentum Caritatis, 29).
La fondatezza in merito si deve verificare mediante due momenti: si inizia di fronte all’operatore pastorale (parroco, strutture diocesane a servizio di questi fedeli, operatori della giustizia) per poi continuare l’intervento pastorale del giudice. In sintonia con Benedetto XVI, Francesco ha più volte richiesto che venga condotta una “indagine pregiudiziale o pastorale” che «accoglie i fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo» (MIDI, Art. 2 RP). Nel considerare le due possibilità (quelli che sono convinti della nullità o che dubitano della validità), Francesco ha chiesto di propendere verso una pianificazione più aperta possibile in questi casi. Pertanto nel MIDI e poi in AL si propone di sviluppare una pastorale dell’accoglienza di questi fedeli divorziati verso cui va compiuto un discernimento personale nei singoli casi, tenendo conto della convinzione soggettiva della nullità quando esiste, alla luce degli insegnamenti della Chiesa e della dottrina canonica-processuale sul sacramento del matrimonio in quanto fatto pubblico.
Per cui, come è stato ribadito in dottrina «secondo la migliore tradizione cattolica, la coscienza ha indubbiamente una dignità unica e un ruolo indispensabile nel formulare l’esigenza pratica, ora e qui, della legge. Per dirla con le parole del Beato John Hery Newman, “la coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo”. Nel caso delle situazioni irregolari vi è però da tenere presente che la norma dell’indissolubilità è di “diritto divino” e che questi casi hanno un carattere pubblico-ecclesiale. Ciò significa che la coscienza è vincolata alla legge divina senza eccezioni e qualora vi fosse la convinzione soggettiva che il precedente matrimonio era nullo, l’unica via per dimostrarlo deve essere quella del foro esterno, ossia del tribunale ecclesiastico» [3].
Attenzioni da aversi per operatori della giustizia e della famiglia
Alla luce di ciò si comprende che davanti a situazioni di fedeli convinti in coscienza della loro nullità matrimoniale, presbiteri, operatori della pastorale familiare e della giustizia devono porre molta attenzione e compiere un accurato accompagnamento e discernimento per comprovare la coincidenza di quella convinzione con la realtà e, nel caso concreto, darle rilevanza ecclesiale al fine di un’autentica e possibile integrazione di questi fedeli, evitando una deriva incline a un relativismo. Inoltre, in una fase previa al giudizio, sono chiamati sempre a tutelare la verità del sacramento attraverso la raccolta dei dati sulla storia personale e matrimoniale, integrando l’itinerario personale del singolo fedele e conoscendone la propria condizione di fragilità matrimoniale sino a raccogliere eventuali elementi utili, che potranno essere di aiuto agli operatori della giustizia nell’iter processuale per raggiungere, nella soluzione dei casi, l’effettiva verità, «la quale deve essere sempre fondamento, madre e legge della giustizia» [4].
La via giudiziale quale strumento di verità
In conclusione, il cosiddetto convincimento di nullità di coscienza chiede di essere sottoposto al vaglio, alla verifica da parte del giudice, e sottratto al servizio di interessi individuali e di forme pastorali, sincere forse, ma non basate sulla verità, che invece andrà ricercata e orientata verso la salus animarum. Inoltre, «quando si tratta di affrontare problematiche delicate (come ad esempio quelle dei divorziati risposati), la via da intraprendere non sembra individuabile nel propugnare in ambito processuale improponibili “nullità di coscienza”, quanto, piuttosto, quella di impegnarsi con tutti gli strumenti giudiziari a disposizione perché si vada formando una prova di (tale rilevanza ed efficacia da asseverare non solo la coscienza del giudice [can. 1602 § 3 CIC], con il conseguimento della sua morale certezza, ma anche e soprattutto la) coscienza della parte che s’è messa in gioco nel processo: una prova di coscienza, dunque, anziché una “nullità di coscienza”» [5].
Inoltre, benchè possa apparire che Papa Francesco nella riforma matrimoniale ha sentito l’esigenza di dare rilievo alle convinzioni di coscienza dei fedeli questa va affiancata alla sincerità delle convinzioni soggettive ai «mezzi di verifica oggettiva che sono propri di un’attività come quella giudiziale […] Così, l’opzione fatta per la sola via giudiziale esige di attrezzarsi, anche nella fase pastorale previa al processo, affinché la rinnovata attenzione al dolore delle persone e ai loro personali convincimenti di coscienza non porti a sbiadire l’autenticità di ogni discernimento e, in concreto, la specificità del discernimento processuale, la cui dinamica, proprio perché si svolge “in contraddittorio”, è in grado di aiutare la persona a porre la sua verità soggettiva in relazione di verifica costruttiva e auto-critica rispetto ad altri elementi veritativi, soprattutto rispetto alle verità dell’altro coniuge» [6].
Per cui, «solo sulla base del riconoscimento della verità della propria situazione esistenziale (non sulla base di un infingimento o di prospettazione ambigue in merito) può essere costruito [anche] un sensato cammino pastorale e spirituale» [7]. Quest’ultimo sarà, poi, teso ad integrare ogni fedele ferito all’interno della comunità ecclesiale, ed «in certi casi» (cfr. nota 351 di AL 305) – ove sia impossibile o inopportuno l’avviare un iter processuale – accompagnarlo verso un «preciso processo di discernimento, teso al formarsi della certezza della coscienza fino a poter accedere al sacramento» [8].
Pertanto, appare chiaro che la natura pubblica del matrimonio richiede che la parola sulla verità del matrimonio provenga non dai coniugi ma dall’autorità, che ha il compito di pronunciarsi autorevolmente sullo stato personale dei fedeli che dubitano della validità del loro matrimonio apportando una pace alle loro coscienze.
Note
[1] A riguardo, si può definire il processo come «lo strumento per stabilire nel foro esterno l’oggettiva fondatezza delle convinzioni di coscienza dei fedeli [laddove NdA] la differenza tra le convinzioni di coscienza soggettive dei coniugi e la fondatezza oggettiva delle medesime rende precipua finalità del processo canonico l’accertamento della verità reale, senza assecondare che ciascuno si senta giudice di se stesso, ma anche senza che l’astrattezza delle norme obblighi a rassegnarsi a verità processuali non reali»: M.J. Arroba Conde, «Il m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus in relazione al concetto di “giusto processo”», in Aa.Vv. (a cura di), Quaestiones selectae de re matrimoniali ac processuali, LEV, Città del Vaticano 2018, 14-15.
[2] Cfr. Francesco, Mitis Iudex Dominus Iesus, LEV, Città del Vaticano 2015, 6, 8.
[3] K. Nykiel, «Unioni irregolari e ricezione dei sacramenti alla luce del Magistero della Chiesa», in Aa.Vv. (a cura di), Divorziati – Nuove nozze, Convivenze. Quale accompagnamento ministeriale e pastorale?, Ed. IF Press, Roma 2014, 28-29.
[4] Ioannes Paulus Pp. II, Allocutio Le sono vivamente grato, 25 Ianuarii 1988, in AAS, 80 (1988), 1185.
[5] S. Berlingò, «La prova di coscienza nelle cause canoniche di nullità del matrimonio», in G. Dalla Torre – C. Gullo – G. Boni (a cura di), Veritas non auctoritas facit legem. Studi di diritto matrimoniale in onore di Petro Antonio Bonnet, LEV, Città del Vaticano 2012, 129.
[6] M. J. Arroba Conde, «L’attenzione alla parte convenuta nella fase previa», in Monitor Ecclesiasticus 133 (2018), 68-69.
[7] P. Bianchi, «Il servizio alla verità nel processo matrimoniale», in Ius Canonicum 57 (2019), 87.
[8] G. Zannoni, “In uscita” incontro all’amore. Leggendo Amoris laetitia, Ed. Marietti, Genova 2017, 139.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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