Il divieto a passare a nuove nozze alla luce del MIDI

Premessa: la dimensione pastorale della sentenza di nullità matrimoniale

Il motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, promulgato 10 anni fa (2015-2025), al di là di alcune novità apportate per il processo di nullità matrimoniale (es. processo più breve, abolizione della doppia sentenza conforme, indagine pregiudiziale o pastorale) ha ribadito la natura pastorale del processo canonico, ma, bisogna riconoscere che «i fedeli che hanno ottenuto la dichiarazione di nullità di matrimonio e che intendono accostarsi al sacramento del matrimonio, sono accompagnati in questa nuova fase della propria esistenza in modo pressoché burocratico. Generalmente non viene loro proposto un itinerario formativo vero e proprio, di cui forse hanno maggiormente bisogno, specie nel caso in cui la dichiarazione di nullità ottenuta è accompagnata da un divieto apposto in sentenza» [1]. Pertanto, alla luce di questa breve premessa appare opportuno fare delle considerazioni presentando brevemente la normativa, la natura e la finalità del vetitum.

Questo al fine di meglio comprendere questo istituto canonico che ha dei risvolti non solo giuridici ma anche pastorali di grande importanza (ad es. la dimensione giuridica e pastorale di una sentenza di nullità matrimoniale per i pastori e la comunità ecclesiale [2] QUI e QUI) e così prevenire il perpetrarsi di celebrazioni di nozze religiose nulle o compiute in modo approssimativo.

Lettura giuridica della normativa: can. 1682

L’istituto canonico del divieto di passare a nuove nozze è oggi regolato dal novellato can. 1682 che dichiara:

«§ 1. Dopo che la sentenza che ha dichiarato la nullità del matrimonio è divenuta esecutiva, le parti il cui matrimonio è stato dichiarato nullo possono contrarre nuove nozze, a meno che non lo proibisca un divieto apposto alla sentenza stessa oppure stabilito dall’Ordinario del luogo.

§ 2. Non appena la sentenza è divenuta esecutiva, il Vicario giudiziale la deve notificare all’Ordinario del luogo in cui fu celebrato il matrimonio. Questi poi deve provvedere affinché al più presto si faccia menzione nei registri dei matrimoni e dei battezzati della nullità di matrimonio decretata e degli eventuali divieti stabiliti»

Il primo paragrafo sancisce che il diritto di passare a nuove nozze scaturisce dal fatto che la sentenza che ha dichiarato la nullità del matrimonio è divenuta esecutiva, quindi o è stato emesso il decreto esecutorio, nel caso di sentenza che per la prima volta ha dichiarato la nullità matrimoniale, o è stata ribaltata la dichiarazione di nullità, in caso di appello, e quindi nel decreto di conferma o nella sentenza conforme di secondo grado se ne dichiara anche l’esecuzione. Le eccezioni riguardano un eventuale divieto imposto dal tribunale a una o entrambe le parti o ulteriori adempimenti richiesti dalla legislazione particolare (in Italia ad es. la normativa circa la possibilità o meno di matrimoni solo canonici, contenuta nel Decreto generale della CEI il matrimonio canonico, n. 44 § 4). Il secondo paragrafo precisa l’atto dell’annotazione della nullità e degli eventuali divieti sui registri di matrimonio e di battesimo.

Natura del divieto

In dottrina e giurisprudenza è consolidato il fatto che la rimozione del divieto, essendo un atto amministrativo, compete esclusivamente all’Ordinario del luogo (ove si svolge la nuova pratica matrimoniale). Il divieto è una proibizione a contrarre nuove nozze, inconsulto Ordinario ovvero inconsulto tribunali, che il Tribunale ecclesiastico mediante il giudice impone alla parte o alle parti a cui è dichiarato nullo il matrimonio per simulazione, impotenza o qualche causa di natura psichica. La rimozione del divieto, a norma dell’art. 59 del Decreto sul matrimonio canonico, spetta all’Ordinario del luogo nel cui territorio si svolge l’istruttoria matrimoniale e sul quale incombe l’obbligo di verificare che la causa per la quale il divieto fu imposto sia cessata, e nel secondo caso previo parere e ascolto o consultazione del Tribunale che emette la sentenza e appone il divieto.

Finalità del divieto (vetitum)

Il divieto a nuove nozze, benché possa essere considerato una sorta di restrizione dello ius connubii (cf. can. 18), è da intendersi come tutela per un futuro matrimonio e protezione non solo della parte alla quale il divieto è imposto ma anche alla nuova comparte. Questa finalità è quanto mai opportuna esplicitarla specie in questo momento storico in cui diversi fedeli hanno sempre più poca consapevolezza di ciò che significhi realmente il matrimonio, il quale «tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno» [3]. Pertanto, «il divieto, eventualmente apposto (con tutte le cautele che un atto così grave impone), dovrebbe essere letto come un successivo contributo offerto alla comunità ecclesiale, nell’ulteriore discernimento sulle scelte future che il fedele, onerato dal divieto, assumerà nella sua vita» [4].

Leggendolo sotto questa angolatura, come è stato saggiamente osservato:

«l’istituto del vetitum mette in luce, tra l’altro, la dimensione pastorale della sentenza di nullità matrimoniale, dimostrando la sollecitudine dei giudici nella tutela del sacramento del matrimonio davanti alle propensioni divorzistiche con cui spesso anche i fedeli si avvicinano ai processi matrimoniali canonici. In più, il divieto provvede alla salvaguardia della buona fede del futuro coniuge di fronte ai pericoli del dolo e della simulazione. Il vetitum ricorda che il sacramento non dovrebbe perdere il suo valore, riaffermando, allo stesso modo, la sua dignità (can. 1055 § 2) e la rilevanza delle sue conseguenze […] Inoltre, con l’istituto del vetitum, i giudici non si pronunciano solo sull’idoneità dei destinatari al matrimonio, per poi abbandonarli a se stessi. Invero, essi li affidano alle cure materne della Chiesa, che attraverso le sue strutture ed istituzioni pastorali li accompagna. In tal modo si garantisce tanto il sostegno pastorale, quando una efficace preparazione da parte dell’autorità competente che interviene proprio in ragione della sua sollecitudine, salvo restando il ricorso agli esperti, specie se si tratta di affrontare questioni di rilevanza specialistica e perciò più tecnica, come nel caso di aspetti psicologici e/o psichiatrici. Infine, il vetitum richiama all’obbligo di un’accurata preparazione prenuziale, peraltro richiesta dal dettato dei cann. 1063 e 1064. Infatti il fedele raggiunto da un divieto di contrarre nuove nozze deve riferirsi anzitutto all’autorità competente, per verificare che il capo di nullità, in base al quale il precedente matrimonio è stato dichiarato nullo, sia stato superato, potendosi al contempo assicurare una efficace preparazione matrimoniale. Ma con ciò, l’autorità competente non svolge un ruolo di controllo rigido, atteso pure che, peraltro, il vetitum ha la sua ragion d’essere in funzione della liceità del nuovo matrimonio canonico e non è certo in funzione della validità. In tal senso, perché possa essere aggiunta al vetitum una clausola dirimente è necessario l’intervento della suprema autorità della Chiesa, stante il disposto del can. 1077 §2» [5].

Il vetitum: un’opportunità per meglio esercitare lo ius connubii

Questo istituto canonico del vetitum dunque, se ben compreso può incoraggiare, in senso ampio, un’azione pastorale capace di aiutare i futuri sposi a giungere al matrimonio mediante una decisione libera, responsabile e ponderata, anche tramite un catecumenato matrimoniale. Si tratta di far comprendere alla coppia la differenza tra “prepararsi al giorno del matrimonio” e “prepararsi alla vita matrimoniale” con la persona con la quale deciderà di sposarsi. Questo comporta, da parte di coloro che accompagnano i futuri sposi di compiere un maggiore sforzo nell’accertarsi che i contraenti conoscano (non solo teoricamente ma soprattutto praticamente) la natura e le implicazioni del matrimonio.

Ragion per cui, mediante previ accurati accertamenti dell’autorità ecclesiale, è importante aiutare i futuri nubendi, affinché siano in grado nonché intenzionati a esercitare rettamente il loro diritto al matrimonio (ius connubii). A tal proposito,  appare opportuno evidenziare che il diritto a contrarre matrimonio non costituisce «una pretesa soggettiva che debba essere soddisfatta dai pastori mediante un mero riconoscimento formale, indipendentemente dal contenuto effettivo dell’unione. Il diritto a contrarre matrimonio presuppone che si possa e si intenda celebrarlo davvero, dunque, nella verità della sua essenza così come è insegnata dalla Chiesa. Nessuno può vantare il diritto a una cerimonia nuziale. Lo ius connubii, infatti, si riferisce al diritto di celebrare un autentico matrimonio. Non si negherebbe, quindi, lo ius connubii laddove fosse evidente che non sussistono le premesse per il suo esercizio, se mancasse, cioè, palesemente la capacità richiesta per sposarsi, oppure la volontà si ponesse un obiettivo che è in contrasto con la realtà naturale del matrimonio» [6].

Conclusioni: una reale sinergia tra tribunali ecclesiastici e pastorale familiare

Le considerazioni compiute quale segno di attenzione e di accompagnamento per il bene delle anime, ci fanno comprendere quanto la dimensione giuridica e pastorale insita in questo istituto canonico solleciti, anche, una maggiore consapevolezza circa la “sinodale” e fattiva interazione nell’azione pastorale tra tribunali ecclesiastici (da vedersi anch’essi nella loro specificità come organismi pastorali) e pastorale familiare, i quali avendo a cuore la salvezze delle anime sono chiamati a favorire un’attenta preparazione (sfida attuale della pastorale matrimoniale), che fughi la “cultura del provvisorio” per alimentare una “pastorale del vincolo” capace di suscitare un autentico desiderio di famiglia, così come di riscoprire la bellezza del matrimonio, spesso ignorata e travisata da una visione soggettivista ed egoista.

Questa “pastorale del vincolo” interpella la Chiesa perché si impegni sempre più nel compiere la preparazione al matrimonio come un dovere, sia giuridico che morale, dovuto verso l’altro coniuge, i figli, la società e la Chiesa. Per questo motivo è importante aiutare quanti decidono di sposarsi a scoprire la verità e la bellezza del matrimonio, con le sue proprietà essenziali da accoglierle come condizione per vivere un autentico matrimonio cristiano, certo di essere sorretti dalla grazia di Dio.

Per compiere ciò, come ebbe a dire papa Francesco, sarà necessario:

«favorire un idoneo contesto di fede nel quale celebrare e vivere il matrimonio. Un aspetto così determinante per la solidità e verità del sacramento nuziale, richiama i parroci ad essere sempre più consapevoli del delicato compito che è loro affidato nel gestire il percorso sacramentale matrimoniale dei futuri nubendi, rendendo intelligibile e reale in loro la sinergia tra foedus e fides. Si tratta di passare da una visione prettamente giuridica e formale della preparazione dei futuri sposi, a una fondazione sacramentale ab initio, cioè a partire dal cammino verso la pienezza del loro foedus-consenso elevato da Cristo a sacramento. Ciò richiederà il generoso apporto di cristiani adulti, uomini e donne, che si affianchino al sacerdote nella pastorale familiare per costruire “il capolavoro della società”, cioè “la famiglia: l’uomo e la donna che si amano” secondo “il luminoso piano di Dio”» [7].

Note

[1] P. Larocca, «Il divieto di passare a nuove nozze: aspetti pastorali. L’accompagnamento pastorale al matrimonio dei fedeli che hanno ottenuto la dichiarazione di nullità», in  Aa.Vv. (ed.), Giudicare, accompagnare e raggiungere la verità, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2021, 176.

[2] Cfr. H. Franceschi, «La sentenza al termine di un giudizio di nullità del matrimonio e la salus animarum: aspetti giuridici», in  Aa.Vv. (ed.), Giudicare, accompagnare e raggiungere la verità, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2021, 115-137.

[3] Francesco, Evangelii gaudium, n.  66.

[4] P. Larocca, «Il divieto di passare a nuove nozze: aspetti pastorali. L’accompagnamento pastorale al matrimonio dei fedeli che hanno ottenuto la dichiarazione di nullità», 180.

[5] L. Sabbarese, «Vetito transitu ad alias nuptias. Considerazioni sul novellato can. 1682», in Aa.Vv. (a cura di), Studi in onore di Carlo Gullo, vol. III, LEV, Città del Vaticano 2017, 739-760.

[6] Benedetto XVI, Discorso alla Rota Romana, 22 gennaio 2011.

[7] Francesco, Allocuzione alla Rota Romana, 2017.

 

Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit

(San Giovanni Paolo II)

 

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