Intervista a don Renato Monacci, difensore del vincolo presso il Tribunale Ecclesiastico Etrusco

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Don Renato Monacci (1964), presbitero dell’Arcidiocesi di Lucca, parroco e difensore del vincolo presso il Tribunale Ecclesiastico Etrusco e Arcivescovile di Lucca, ha conseguito la Licenza in diritto canonico presso la Pontificia Università Gregoriana, specializzandosi in iurisprudentia matrimonialis canonica.

Don Renato, grazie per aver accettato di rilasciare questa intervista, volevamo chiederle: negli anni della Sua formazione, lo studio del diritto canonico fu una Sua libera scelta o furono i Suoi formatori ad “imporgli” di studiarlo? Ci racconti com’è nato l’amore per il diritto canonico.

La scelta di intraprendere una formazione canonistica più accurata non è nata direttamente da me, ma dall’esplicita proposta del mio Arcivescovo Mons. Giuliano Agresti, sinceramente avrei preferito perfezionarmi in storia della Chiesa o teologia dogmatica, ma lui fu paternamente insistente. Mi è successo un po’ come quando i miei genitori mi fecero iniziare a studiare il pianoforte: un po’ di fatica all’inizio, ma poi la piacevole scoperta di un interesse profondo. In questo devo ringraziare i docenti che ho avuto presso la Pontificia Università Gregoriana, profondamente radicati nelle fonti del textus Codicis, in particolare il Concilio Ecumenico Vaticano II.

In che modo il diritto canonico Le è stato d’aiuto in questi anni?

Sinceramente la formazione canonica mi ha dato uno sguardo d’insieme su tutta la vita della Chiesa, con la sua caratteristica di disciplina “ponte” fra, grossolanamente parlando, la teoria e la pratica.
Oltre a un maggiore senso della giustizia che non può essere applicata senza misericordia e guardando a quella superiore giustizia che è l’aequitas, della quale l’Ostiense diceva «Nihil aliud est aequitas quam Deus».

Visto che Lei svolge anche il ministero di parroco, che incidenza ha il diritto canonico con la pastorale?

Spesso il diritto canonico, maldestramente inteso, è visto come una specie di “nemico” della pastorale, quando, in realtà, è, a mio modesto giudizio, un suo prezioso alleato specie se non applicato in modo legalistico o come una ricerca di espedienti per eluderne lo spirito.

Sappiamo che attualmente è difensore del vincolo presso il tribunale ecclesiastico regionale etrusco, ci racconti qualcosa della Sua esperienza.

Sono diversi anni che svolgo questo servizio, com’è noto non è necessario essere sacerdoti per assolverlo, tuttavia l’esperienza sacerdotale mi ha dato l’opportunità di cogliere meglio la personalità dei ricorrenti e maturare nella capacità di discernere la volontà dal punto di vista giuridico.
Certo sarebbe auspicabile avere più tempo per una presenza il meno possibile limitata alla lettura degli atti istruttori.

Cosa risponderebbe a chi critica l’esistenza dei tribunali nella Chiesa?

I Tribunali sono un organo per amministrare la giustizia: non è possibile una vita insieme senza la tutela e la promozione della giustizia nelle relazioni. Certamente sono strumenti limitati, ma tuttavia necessari e che comportano un’attenzione particolare specie nella formazione dei ministri dei tribunali perché l’amministrazione della giustizia sia autenticamente ispirata allo spirito del Vangelo.

Potrebbe indicarci un testo che Le è stato d’aiuto nei Suoi anni di formazione o che semplicemente possa aiutare chi si approccia alla materia?

Sarebbero tanti i testi da proporre all’attenzione, mi limito a segnalare Il diritto nella Chiesa, mistero di comunione, compendio di diritto ecclesiale di G. Ghirlanda.

Quali sono le cause più frequenti oggi nei tribunali e perché secondo Lei?

Nell’ambito matrimoniale un capo di nullità molto invocato è quello per defectus discretionis iudicii per cause di natura psichica, specie l’immaturità affettiva. E’ un segno della maggiore attenzione della Chiesa alle scienze umane da valutare sempre secondo una retta antropologia cristiana.

Potrebbe lasciare un messaggio ai nuovi canonisti che si approcciano al diritto della Chiesa?

Personalmente credo che l’apporto dei nuovi canonisti sia fondamentale per sensibilità, creatività e capacità di vagliare quanto la sensibilità contemporanea nei tempi che mutano, richiede alla comunità cristiana nel rispetto della tradizione canonica: le nuove sfide che si presentano mi auguro che siano accolte e affrontate con rinnovata freschezza da chi si affaccia a questa disciplina.

 

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

 

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Giovanni Pingitore

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