Ernesto Treccani, fanciulle, olio su tela, collezione privata
Premessa generale
La transizione di genere — da intendersi quale processo psicologico, sociale e/o medico mediante il quale una persona intenda modificare la percezione della propria identità sessuale [1] — solleva questioni rilevanti nell’ambito del diritto canonico, in particolar modo per quanto concerne il diritto matrimoniale e i sacramenti relativi allo stato di vita. Il crescente riconoscimento, da parte di numerosi ordinamenti civili, della possibilità di procedere alla rettifica legale e/o chirurgica del sesso, ovvero alla soppressione della sua indicazione nei documenti ufficiali, pone la Chiesa dinanzi a sfide pastorali, giuridiche e sacramentali non trascurabili.
Tali questioni, lungi dal potersi circoscrivere a un piano meramente disciplinare o prudenziale, toccano aspetti fondamentali della struttura ecclesiologica e sacramentale della Chiesa, che esige chiarezza ontologica e certezza giuridica circa l’identità del fedele.
Identità sessuale e fondamento naturale
Nel quadro del diritto canonico, fondato sulla legge naturale e illuminato dalla dottrina perenne della Chiesa, l’identità sessuale non è considerata una costruzione culturale né una dimensione soggettivamente determinabile, bensì una realtà oggettiva, iscritta nell’ordine della creazione. Essa si fonda sul sesso genetico, che costituisce un elemento essenziale, stabile e non modificabile della persona umana.
Alla luce di tale principio, il diritto della Chiesa non può riconoscere come legittime le modifiche anagrafiche del sesso che risultino in contrasto con il dato biologico originario. Il can. 219 CIC, che sancisce il diritto di ciascun fedele a scegliere liberamente il proprio stato di vita, presuppone che tale scelta si fondi sulla verità antropologica della persona, comprensiva della sua identità sessuale naturale.
Il registro dei battezzati e l’immutabilità del dato originario
L’identità ecclesiale del fedele viene stabilita, in primo luogo, attraverso l’iscrizione nel registro dei battezzati (can. 535 CIC), che rappresenta fonte pubblica, autentica e permanente dello stato canonico della persona. In tale libro vengono annotati gli elementi fondamentali riguardanti il battesimo, il matrimonio, l’ordine sacro e la professione religiosa perpetua.
Sebbene il registro possa essere aggiornato mediante annotazioni successive, i dati originari — segnatamente il nome e il sesso indicati al momento del battesimo — devono essere conservati inalterati. Qualora un battezzato, dopo aver ottenuto la rettifica anagrafica del sesso, richiedesse la modifica del proprio atto di battesimo, tale richiesta non potrebbe essere accolta [2]. Il parroco, in tali circostanze, è tenuto a negare ogni alterazione del dato sacramentale originario, che conserva valore giuridico e teologico permanente.
Implicazioni canoniche della transizione di genere nei sacramenti riguardanti lo stato di vita
L’attuale legislazione civile, in vari ordinamenti, consente la modifica legale del sesso, anche senza intervento chirurgico [3], o l’omissione dell’indicazione del sesso nei documenti ufficiali [4]. Ciò compromette la possibilità, per l’ordinamento canonico, di identificare correttamente il soggetto, poiché l’identità sessuale, in prospettiva ecclesiale, è un elemento ontologico e costitutivo, fondato sulla natura creata e pertanto immutabile. Le conseguenze di tale situazione si riflettono in modo peculiare sui sacramenti e sugli stati di vita ecclesiali che implicano una vocazione specifica: matrimonio, ordine sacro e vita consacrata.
Matrimonio
Ai sensi del can. 1055 §1 CIC, la differenza sessuale genetica rappresenta un elemento costitutivo del matrimonio, che esiste inter virum et mulierem. Una persona che abbia ottenuto una rettifica civile del sesso, qualora intenda contrarre matrimonio con un individuo del medesimo sesso biologico, non potrebbe dar luogo a un vincolo valido, anche qualora ciò apparisse formalmente conforme sul piano anagrafico. La mancanza del requisito essenziale della diversità sessuale renderebbe nullo l’atto matrimoniale ab initio.
Laddove la transizione avvenga dopo la celebrazione del matrimonio, possono derivare gravi problematiche pastorali e canoniche: scandalo pubblico, abbandono della vita coniugale, richiesta di nullità. Una causa di nullità potrebbe essere avviata, tra gli altri, nei seguenti casi: ex can. 1095, n. 2 CIC qualora emerga un grave difetto di discrezione di giudizio, nel caso in cui la transizione mascheri una condizione psichica compromissoria al momento del consenso; ex can. 1095, n. 3 CIC qualora risulti un’incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, dovuta a disforia o a instabilità dell’identità di genere; ex can. 1097 § 2 CIC qualora vi sia stato errore sulla qualità della persona, nel caso in cui uno dei coniugi ignorasse la transizione dell’altro.
Ordine sacro
Il can. 1024 CIC stabilisce che solo il vir baptizatus può validamente ricevere l’ordine sacro. La mascolinità genetica è dunque condizione sine qua non per la validità del sacramento. Una persona che, pur risultando civilmente maschio a seguito di transizione, sia nata geneticamente femmina, non potrebbe essere ordinata validamente. Ancora più grave sarebbe il caso in cui la transizione fosse stata occultata: ciò implicherebbe non solo la nullità dell’ordinazione, ma anche responsabilità morali e giuridiche rilevanti. Qualora invece la transizione avvenisse post ordinationem, pur rimanendo valido il sacramento per la presenza del carattere indelebile, si configurerebbero gravi problemi di natura disciplinare, pastorale e dottrinale.
Vita consacrata
La distinzione tra istituti maschili e femminili (cf. can. 676 CIC) implica che l’ammissione del candidato debba avvenire sulla base del sesso canonico, ovvero quello determinato al momento del battesimo e registrato nel relativo libro. La rettifica anagrafica non ha rilevanza ai fini dell’ammissione valida in un istituto religioso: una persona transessuale non può essere accolta in un istituto corrispondente al genere acquisito, in quanto manca la base ontologica e giuridica richiesta per l’idoneità.
Conclusione
La questione della transizione di genere tocca ambiti cruciali dell’antropologia teologica, della disciplina ecclesiastica e della validità dei sacramenti. Il diritto canonico, in quanto ordinamento fondato sul diritto divino e naturale, è tenuto a tutelare l’identità ontologica del fedele, fondata sul sesso biologico, da ogni forma di alterazione artificiale o frode giuridica.
Fermo restando l’impegno della Chiesa nell’accoglienza, nel discernimento e nell’accompagnamento pastorale delle persone che si trovano in situazioni complesse, rimane imprescindibile il riferimento alla verità sull’uomo, alla natura dei sacramenti e alla coerenza dell’ordinamento canonico con l’ordine della creazione. In tale contesto, il discernimento sulla validità degli atti sacramentali — in particolare del matrimonio e dell’Ordine sacro — impone un’attenta verifica dell’identità reale della persona, che può richiedere, ove necessario, anche l’accertamento del sesso genetico.
Note
[1] Per maggiori approfondimenti si consiglia A. Crapanzano – B. Carpiniello – F. Pinna, Approccio alla persona con disforia di genere: dal modello psichiatrico italiano al modello emergente basato sul consenso informato, in Riv Psichiatr 2021, vol. 56, n. 2, pp. 120-128.
[2] Cfr. P. Gherri, Diritto amministrativo canonico. Attività codiciali, Giuffrè Editore, Milano, 2021, p. 481.
[3] A tal fine è intervenuta la Corte Costituzionale italiana con la sentenza n. 143/2024 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150/2011 nella parte in cui prescrive l’autorizzazione del tribunale al trattamento medico-chirurgico, osservando che il percorso di transizione può compiersi anche mediante trattamenti ormonali e sostegno psicologico comportamentale.
[4] Ciò non è possibile in Italia anche in virtù della già sopracitata sentenza della Corte Costituzionale ma lo è in altri paesi come Austria, Germania, Brasile, Belgio, Canada, Islanda.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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