Il “nuovo” modello diagnostico dimensionale del DSM-V nell’ambito della incapacità matrimoniale

diagnostico
Claude Monet, La passeggiata, 1875, National Gallery (Washington)

Introduzione 

Negli ultimi anni, il mondo della psichiatria e della psicologia ha visto un cambiamento significativo nell’approccio diagnostico, grazie all’adozione del modello dimensionale introdotto nel DSM-5 (Diagnostic and statistical Manual of mental disorders). Si tratta di un modello alternativo, proposto nella sezione III del Manuale, che va a integrarsi con quello categoriale già in uso nelle precedenti versioni del DSM. 

È facilmente intuibile quanto tale cambiamento di prospettiva nell’indagine clinica abbia generato implicazioni pratiche assai rilevanti anche in contesti estranei a quelli puramente medici, incluso quello del Diritto Canonico, con specifico riferimento alle fattispecie di nullità matrimoniale per incapacità ex can. 1095 (in particolare nn. 2 e 3). Ciò premesso, si analizzeranno di seguito proprio tali influssi, dopo aver delineato i tratti essenziali e le principali differenze tra i due citati modelli diagnostici.

Il modello diagnostico categoriale

Alla luce del criterio categoriale, i disturbi psichici sono classificati come condizioni (categorie, appunto) ben distinte le une dalle altre, sulla base di parametri predeterminati che, solo se integralmente soddisfatti, possono confluire in una diagnosi. 

A titolo esemplificativo, ai fini della diagnosi del Disturbo depressivo maggiore, il DSM-5 indica il criterio diagnostico relativo ai possibili sintomi: al riguardo, è necessario che il soggetto sperimenti almeno cinque delle indicate manifestazioni cliniche (tra cui necessariamente una di esse dovrà coincidere con umore depresso o perdita di interesse o di piacere), per un arco temporale di due settimane. Qualora essi sintomi fossero in numero inferiore alla soglia minima indicata oppure si risolvessero spontaneamente prima del termine delle due settimane non potrebbe giungersi alla diagnosi del Disturbo, e ciò indipendentemente dal livello di disagio, anche significativo, effettivamente sperimentato dal paziente.

Tale modello puramente qualitativo, da un lato, conduce a innegabili vantaggi, facilitando la  diagnosi clinica, la predisposizione di adeguati piani terapeutici e la stessa comunicazione tra professionisti, attraverso l’uso di criteri valutativi standardizzati; dall’altro, il suo approccio del tipo “o tutto o niente”, “o hai il disturbo o non lo hai” rischia di tralasciare la rilevanza clinica di determinate condizioni – cd. sub-soglia – non perfettamente sussumibili nelle rigide categorie indicate. 

Cenni al “nuovo” modello dimensionale e sua applicazione nella diagnosi e valutazione dei disturbi di personalità

Come anticipato, il DSM-5 ha introdotto un approccio diagnostico alternativo, di tipo dimensionale, che guarda ai disturbi lungo un continuum. In altri termini, non si tratta più solo di stabilire “se” una persona sia o meno affetta da un dato disturbo, ma anche di misurarne la gravità e il grado di compromissione nei vari aspetti della vita. Pertanto, alla luce del modello dimensionale è possibile riconoscere rilevanza patologica allo stato di un soggetto in ragione della effettiva gravità e pervasività dei sintomi manifestati, sebbene questi non rientrino nei parametri standardizzati di cui al sistema categoriale, per numero e/o durata.  

Con riferimento alla categoria clinica dei disturbi di personalità, il primo criterio diagnostico indicato dal modello dimensionale riguarda il livello di compromissione del funzionamento della personalità, sia all’interno del dominio del Sè che del dominio interpersonale. Nell’ambito del funzionamento del Sè rientrano l’Identità e l’autodirezionalità, ossia la consapevolezza di sé e la capacità di perseguire obiettivi personali coerenti con il proprio vissuto e le proprie inclinazioni; nel funzionamento interpersonale sono ricomprese le categorie di Empatia e Intimità, che si riferiscono alla capacità di comprendere gli altri e di instaurare relazioni significative.

Ciascuno degli aspetti appena specificati viene valutato alla luce di una scala che segnala il livello, in misura crescente, di compromissione del funzionamento di personalità.

Il secondo criterio diagnostico considerato attiene alla verifica della presenza di tratti di personalità patologici, organizzati nei cinque domini di affettività negativa, distacco, antagonismo, disinibizione e psicoticismo. A ciascuno di essi, poi, corrisponde un polo opposto, rappresentante il tratto “sano”, ossia stabilità emotiva, estroversione, disponibilità, coscienziosità, lucidità mentale. L’approccio dimensionale adoperato nella valutazione anche di tale criterio diagnostico risiede nel riconoscere che i tratti che specificano la personalità di ciascun individuo si collocano in un continuum che va dal “normale” al “patologico”, passando per livelli intermedi di disfunzionalità crescente.    

Inoltre, ai fini di una diagnosi il quanto più possibile puntuale e rappresentativa della realtà clinica del soggetto, l’indagine specialistica dovrà procedere anche attraverso l’esame dei criteri valutativi di pervasività e stabilità. In altri termini, sarà necessario ponderare sia l’estensione dei tratti patologici nelle diverse sfere della vita del soggetto, analizzando la sua capacità di adattamento, il modo di agire e di pensare nei vari contesti (pervasività), sia la persistenza e la continuità nel tempo dei tratti disfunzionali rilevati (stabilità).

La rilevanza del modello dimensionale nell’ambito della incapacità matrimoniale

Le esposte innovazioni diagnostico-valutative introdotte dal modello dimensionale consentono, senza dubbio, di riconoscere al meglio la complessità delle condizioni cliniche rilevanti nell’ambito dei processi canonici di nullità matrimoniale per incapacità di uno o entrambi i coniugi, ai sensi del can. 1095 nn. 2 e 3. 

In particolare, la delineata indagine sul funzionamento di personalità del Sè permette di rilevare dati significativi in merito alle facoltà critico-estimative ed elettive del nubente; nello specifico contesto matrimoniale, infatti, esse si traducono nella capacità del soggetto di riflettere adeguatamente su di sè, sui propri bisogni e sulla opportunità della scelta matrimoniale rispetto ai propri desideri e inclinazioni, oltre che di scegliere liberamente e consapevolmente l’altra persona. Una compromissione di tali facoltà estimative – rilevabile nell’ambito di un’indagine peritale – potrebbe tradursi sul piano giuridico in un giudizio di accertamento di grave difetto di discrezione di giudizio o di libertà interna.

Allo stesso modo, è facilmente intuibile come l’indagine proposta dal modello dimensionale circa il funzionamento interpersonale di personalità, negli specifici ambiti della empatia e della intimità, si coniughi perfettamente con l’oggetto principale di accertamento nelle fattispecie di incapacitas assumendi. Compito del Perito, infatti, è quello di indagare circa la presenza di tratti idonei a interferire sulla capacità del coniuge a intessere relazioni autentiche, profonde, stabili e improntate al perseguimento dei fini e delle proprietà matrimoniali. 

Conclusioni

Alla luce di quanto sin’ora esposto, è possibile rilevare gli aspetti del modello dimensionale applicato ai disturbi di personalità che maggiormente lo avvicinano alle esigenze della medicina canonistica. In particolare, il superamento dell’antitesi presente sino alla pubblicazione del DSM-5 tra “tratto” e “disturbo”, per cui solo al secondo poteva attribuirsi rilevanza patologica e, conseguentemente, valenza giuridica in termini di gravitas invalidante il consenso nuziale ha rappresentato una svolta significativa nell’indirizzamento dell’attività degli Operatori del diritto e, in particolare, dei Periti. 

Tale modello diagnostico, infatti, superando le strette classificazioni nosografiche di cui al modello categoriale, consente di personalizzare in modo puntuale la descrizione del profilo di personalità del soggetto, evidenziando quelle informazioni che risultano più utili nella ricostruzione di un possibile profilo di incapacità matrimoniale. 

Bibliografia

American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Milano 2014.

M. Luciano et al., Critiche e prospettive degli attuali sistemi di classificazione in psichiatria: il caso del DSM-5, in Rivista di Psichiatria 2016, 51 (3), pp. 116-121.

P. Gentili, T. Cantelmi, M. Aiello, Amori immaturi. Il contributo della psicologica e della psichiatria al Mitis Iudex, Città del Vaticano 2020, pp. 49-58.

M. Profita, T. Cantelmi, Nuove prospettive canonistiche in tema di tratti di personalità alla luce del DSM-5, in Studi Giuridici CXXXIII, Città del Vaticano 2022, pp. 10-49.

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Picture of Carlotta Marciano di Scala

Carlotta Marciano di Scala

Avvocato in Foro civile, dottoranda in Diritto Canonico.

Lascia un commento

Iscriviti alla Newsletter